La trilogia Die Hard… Scusate, la quadrilogia (i lapsus freudiani sono credibili nella scrittura? O piuttosto dovrei ammettere che questo era un modo originale per anticipare il mio giudizio sull’ultimo episodio della saga?) Die Hard è unanimemente riconosciuta come una delle migliori serie cinematografiche d’azione. Vado ad analizzarla nel dettaglio.
Trappola di cristallo (Die Hard, 1988)


C’è una buonissima sceneggiatura alla base dell’opera che, seppur in origine era stata prevista per un altro progetto, dà ad esso una peculiare cifra stilistica in un genere già saturo ai tempi. Innanzitutto le scintillanti battute e gli ironici leitmotiv che corrono all’interno della storia. E poi due trovate davvero divertenti che si imprimono nella memoria dello spettatore: 1) John McClane rimane scalzo per tutta la durata del film e non riesce mai a trovare il tempo di mettersi un paio di scarpe; 2) la migliore scena d’azione mai apparsa su schermo: Willis, braccato da biondissimi e aitanti terroristi, sanguinante, passa davanti un poster con una ragazza col seno nudo e ha la forza di toccarlo mormorando un “RAGAZZE” eccitato! E quando l’insopportabile “politically correct” era allegramente ignorato Hollywood poteva permettersi di far fare figure barbine all’F.B.I.: i due agenti si chiamano entrambi Johnson, grazie al loro maldestro intervento la rapina stava per riuscire e sono tanto burocratici da risultare incompetenti e spietati.

Come contraltare c’è invece l’esaltazione del poliziotto qualunque, dell’onesto ma eroico cittadino: là dove non riuscì l’F.B.I. poté John McClane. Il film è così ben calibrato da non far sentire nemmeno per un momento le due ore di durata. È presente, al centro della pellicola, anche un momento di relativa stasi ma la buona scrittura della sceneggiatura non lo fa avvertire come prolisso. In questo è aiutato dal riuscito inserimento di personaggi secondari simpatici: da quell’idiota dell’ispettore capo al corpulento Al Powell, interpretato da Reginald VelJohnson che tutti ricordiamo come il capofamiglia della serie “Otto sotto un tetto”. Il finale poi corre verso un climax emozionante: in un tripudio di esplosioni McClane sventa la colossale rapina e getta Hans Gruber dal trentesimo piano del grattacielo (il Nakatomi) dove è ambientata la vicenda. La faccia di Alan Rickman che in slow-motion, accompagnato da una musica potente, in un turbinio di fogli svolazzanti viene lasciato cadere è uno dei più bei frame cinematografici che mi porto dietro dall’infanzia!
58 minuti per morire – Die Harder (Die Hard 2, 1990)


Benché la storia sia ben sceneggiata, la pellicola si regge tutto sulla sua verve e quando per ragioni narratologiche deve lasciar spazio agli altri l’interesse scema presto, nonostante la buona caratterizzazione dei co-protagonisti. Troviamo di nuovo, in un obbligato cameo, il personaggio di Al Powell, che dalla centrale aiuta McClane, e l’antipatico giornalista del primo episodio sul quale si disegna fin troppo facilmente la critica a una stampa cinica. Con tronfia esaltazione patriottica si segnala la presenza di Franco Nero, il cui folto barbone basta negli Stati Uniti a renderlo spendibile per la figura del sanguinario rivoluzionario, nonostante la paciosità di tratti dell’attore italiano. Insomma, “58 minuti per morire” risulta essere un film più intelligente che coinvolgente, anche se alcune scene sono notevoli.

In particolare, si ricorda con un sorriso la scena dell’espulsione di McClane con il sedile per sfuggire all’esplosione dell’aereo e l’azzeccato finale dove il poliziotto riesce ad uccidere (l’arresto con relativa giusta detenzione non è previsto dagli ipertrofici americani) i terroristi e contemporaneamente a risolvere l’impasse dei velivoli costretti a sorvolare l’aeroporto senza poter atterrare. Questo secondo episodio, pur con la sua frammentarietà, può dirsi un degno prosecutore della saga. Da segnalare l’odio del personaggio per la tecnologia, che rappresenta una vera e propria svolta, poiché troverà un significativo rovesciamento nel quarto e (speriamo!) ultimo episodio della serie. Così si esprimeva infatti il nostro a riguardo: «Per quello che mi riguarda il progresso si è fermato alla pizza scongelata».
Die Hard – Duri a morire (Die Hard: With a Vengeance, 1995)


In questo episodio il regista gira per tutta New York e la pellicola trasuda amore per la Grande Mela come nel miglior Allen. Al di là degli scontati botti del genere ciò che rimane del terzo capitolo sono i serrati dialoghi, acidi e iconoclasti, in perfetto stile anni ‘90. La lezione tarantiniana è stata appresa e ormai il pubblico esige brillantezza di scrittura. Gli attori, come si diceva, sono in stato di grazia e oltre ai due protagonisti vorrei sottolineare la prova dei tanti colleghi di McClane, i soliti bravi caratteristi hollywoodiani. Piccola curiosità (che avevo notato anche senza leggere Wikipedia): l’attore che interpreta lo sfortunato poliziotto Ricky Walsh aveva già una piccola particina in “Trappola di cristallo”. Jeremy Irons, invece, seppur elegante, sembra un po’ spaesato e vaga dubbioso all’interno della storia offrendo una faccia monocorde.

Il ritmo del film è indiavolato, l’azione si sussegue frenetica e anche qui McTiernan si prende due ore piene per sciogliere il bandolo della matassa. Ma il finale, punto di forza degli altri due lungometraggi, qui è fiacco rispetto al resto della storia, per non dire che risulta pretestuoso e affrettato. Il regista si lascia prendere la mano e concede a McClane una passerella gratuita e fin troppo inverosimile: colpire un filo dell’alta tensione con due proiettili riuscendo così ad avere la meglio su un uomo con la mitragliatrice che spara da un elicottero richiede una sospensione dell’incredulità troppo esagerata. Sembra qui di poter scorgere l’annuncio della direzione videoludica dell’episodio successivo, con McClane ormai ridotto al rango di un banale protagonista fumettoso.
Die Hard – Vivere o morire (Live Free or Die Hard, 2007)


Willis ormai funziona a meraviglia e mena botte da orbi con la stessa sfrontatezza ed energia di sempre. Oltre ai proiettili spara anche le sue famose battute che a volte fanno centro (resta inimitabile quanto a costo della vita della figlia battibecca trivialmente con il boss), a volte annegano in un profluvio di gratuità (i deboli dialoghi con Long fanno rimpiangere a piè sospinto quelli ben più energici con Samuel L. Jackson). A metà film, il regista sceglie con coscienza di aumentare il carico di testosterone, forse per restare al passo con i moderni canoni: McClane lancia una macchina per distruggere un elicottero («Avevo finito le pallottole») e combatte sul vano dell’ascensore in bilico su un’automobile. Ecco, dover aggiornare o quantomeno stare al passo con i tempi inserendo alcuni personaggi stereotipati come l’algida e coriacea donna del boss (l’elegante ma inespressiva Maggie Q) o il nerd ciccione (un furbo Kevin Smith ancora alla ricerca della sua identità, dentro o fuori il Sistema) è sicuramente la piaga che affligge, come era facile prevedere, l’opera.

McClane resta il rozzo eroe per caso tanto amato ma, non coerentemente, fa impallidire tutte le sue precedenti mirabolanti imprese: ha la meglio su un F35 e si spara ad una spalla pur di uccidere il nemico. Come un qualunque supereroe si lascia anche andare alla retorica dell’uomo qualunque che deve diventare eroe quando il caso (cinematografico) lo richiede. Anche in questo episodio è presente un po’ di italianità: troviamo infatti il belloccio Edoardo Costa nei panni di un terrorista. Non che faccia fare al Belpaese una gran figura: fa sempre la stessa espressione, sia che cerchi di violare un computer, sia che spari al protagonista. Il finale è dannatamente ineluttabile: prima di salvare mondo e figlia, Willis trova il tempo di pronunciare (e scialacquare) i due tormentoni della saga in una sola, inutile battuta. Così anche i fan hardcore della saga sono contenti e si può dare l’avvio a un altro remunerativo episodio. In definitiva un buon film, pur sperando che questa sia la fine. Che Hollywood trovi altrove le sue idee e lasci riposare in pace quella che resta la miglior serie americana del genere action.
