A dieci anni da quei giorni tra il 19 e il 22 luglio 2001 non è cambiato nulla. Nulla oltre quello che hanno voluto che fosse. Praticamente nessun colpevole realmente incriminato, nessuno tra le forze dell’ordine, nessuno tra i facinorosi, i black block o come volete chiamarli. Dieci anni in cui si è parlato tanto di quei giorni, tutta l’attenzione sugli scontri, sulle inchieste, sulle martirizzazioni, ma poi tutta aria nei polmoni e tanto inchiostro gettato al vento. Da allora il vero protagonista, quello oscurato da tutto il resto dei tragici eventi, quel mare umano, quella collettività pacifica di sigle e gente comune con idee, spunti, comunione d’intenti si è piano piano sgretolato, frammentandosi. Il movimento nato a Seattle qualche anno prima ha finito per scomparire inghiottito nella storia (qui l’analisi di Naomi Klein, autrice del libro No-logo). Non è stato in grado di riorganizzarsi e di affrontare le sfide che da lì in avanti sarebbero venute. Nella sua grandiosità portava il difetto d’essere in fondo come i modelli che criticava: non sostenibile sul lungo periodo. Eppure una decade dopo siamo volenti o nolenti tutti costretti, in qualche modo, a fare i conti con gli avvertimenti che allora vennero lanciati. Oggi un movimento così forse non riuscirebbe a ricostituirsi e sarebbe probabilmente un’errore, ma gli avvertimenti di allora restano, come i consigli di un nonno, sempre validi e pronti per essere raccolti nuovamente da persone motivate e di buona volontà. Al contempo la situazione attuale è critica (soprattutto in quell’occidente industrializzato, quello che se ne stava chiuso nelle zone rosse durante quei giorni di luglio). Siamo insomma appesi ad un filo di cotone, ma troppo pesanti perché questo possa reggere all’infinito. Dopo dieci anni ce ne stiamo accorgendo, ma ancora fatichiamo ad ammetterlo a noi stessi malati ancora di quella sindrome di Nimby. Un mondo migliore è possibile gridavano quelle persone all’epoca, ma i fatti che ne seguirono risposero che forse il tempo era ancora prematuro. Oggi bisogna tornare nuovamente a chiedersi se quel mondo lo vogliamo davvero oppure no, tutti. Non c’è più un movimento a fare da porta gonfalone, ma rimane la motivazione dei singoli. Sta a noi ritrovarci ancora per confrontarci, rispondere e provare a dettare un’agenda. Fra dieci anni forse avremo una risposta in base alle scelte che decideremo di compiere.
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