Władziu Valentino Liberace, per tutti solo Liberace, artista poliedrico, pianista di talento, attore, personaggio televisivo. La scena americana dei teatri, della tv, delle music-hall, dagli anni ’50 agli anni ’70 aveva una star e quella era proprio lui. Stravagante figura dai vestiti sgargianti, estroso e controverso, Liberace ha segnato la storia dello spettacolo statunitense, celando però al pubblico la sua omosessualità e nell’ultimo periodo della sua vita anche la sua malattia.
A ritrarre sullo schermo questo straordinario personaggio ci ha pensato Steven Soderbergh, che in Dietro i candelabri racconta gli ultimi sei anni di vita di Liberace focalizzandosi sulla relazione sentimentale tra il noto pianista e Scott Thorson, suo assistente personale. Il film perciò non è semplicemente un biopic che racconta la storia di un fantastico artista e del suo talento, bensì è la rappresentazione di un sentimento, di un rapporto d’amore tra due uomini molto diversi, che parte dal loro incontro casuale, passando per la loro vita insieme, per la separazione con tanto di aspra causa legale, ed arrivando al riavvicinamento finale sul letto di morte di Liberace. Tutto questo sullo sfondo di una America ancora diffidente nei confronti dell’omosessualità, descritta con un’ironia a tratti dolce, a tratti tagliente. Diffidenza che purtroppo, almeno nell’industria cinematografica, sembra ancora avvertirsi. Ecco perché il film in patria è passato direttamente in televisione, sulla HBO, senza finire neanche un giorno nelle sale cinematografiche. “Quando abbiamo offerto il progetto agli studios non si sono dimostrati entusiasti e così abbiamo firmato un ottimo accordo con HBO” – ha affermato Soderbergh all’ultimo festival di Cannes, dove il film è stato presentato in concorso. “Diciamo che in TV il film potrà avere più spettatori che nelle sale cinematografiche.
Fortunatamente in Italia Dietro i candelabri arriva nei cinema grazie a 01 Distribution, che intelligentemente ha deciso di puntare su questo film, forte anche delle grandi interpretazioni di Michael Douglas e Matt Damon. “Questa è una delle parti migliori che mi si sia stata offerta – ha dichiarato Douglas – ed è arrivata dopo la malattia e per questo motivo l’ho vista come un regalo, come una bella opportunità per tornare al lavoro”. Anche Damon vede in questo film una tappa importante per lui: “Questo è certamente uno dei picchi della mia carriera. E’ il mio settimo film con Steven e quando ho saputo che avrei lavorato con Michael non ci potevo credere”.
I due sono perfetti nei rispettivi ruoli ma non è stato facile entrare nei personaggi. Per Damon l’aspetto più complicato è stato “mettere in scena l’intimità tra due persone che vivono insieme da molto tempo”, mentre per Michael Douglas è stato difficile dar corpo e voce ad una figura molto popolare: “Era la prima volta che mi misuravo con un personaggio che tutti conoscevano, così mi sono dovuto preparare da un punto di vista vocale, ho studiato l’accento polacco, le movenze e la fisicità”. Difficoltà superate alla grande, però, dal premio Oscar per Wall Street, che in Dietro i candelabri ci regala una delle interpretazioni migliori della sua carriera. La sua bravura in questo caso sta proprio nel rendere normale la stravaganza del personaggio, senza mai correre il rischio di salire sopra le righe più di quanto lo stesso Liberace faceva nella sua vita reale. “L’ho incontrato una volta trent’anni fa” – racconta Douglas. “Venne a trovare mio padre nella sua casa di Palm Springs. La sua Rolls Royce decappottabile si fermò davanti a casa. Ricordo che lui scese e il suo vestito e i gioielli che portava brillavano più del sole della California”.
Douglas e Soderbergh parlavano di questo progetto da più di dieci anni. La prima volta fu sul set di Traffic, nel 2000, ma soltanto sette anni dopo il regista si è messo seriamente a pensare a questo film. Un film che forse potrebbe segnare la fine della carriera di Soderbergh, come dichiara lui stesso da tempo. Ma a Cannes il regista di Ocean’s Eleven ha tenuto a precisare: “Ho solo intenzione di prendermi un periodo di pausa. Diciamo un anno sabbatico. Poi si vedrà”.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net