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Dietro l’angolo di casa

Da Marcofre

Trovare a casa ciò che altri devono cercare altrove è una gran fortuna, forse la più grande fortuna che uno scrittore possa avere.

Chi parla così è Flannery O’Connor. Come si sa, lei non ha mai viaggiato molto. I personaggi dei suoi racconti vivono immersi in un sud degli Stati Uniti che agli stessi statunitensi suona almeno bizzarro (o dovrei scrivere grottesco?).
L’autrice ha trascorso buona parte della sua esistenza in una fattoria; ma di questo devo aver già scritto in passato.

Si dice che il viaggio apra la mente, mentre frequentare sempre gli stessi luoghi rappresenti un limite.
Può darsi.

In realtà non ci sono regole, o leggi da rispettare. Ecco un esempio che si discosta un po’ da questo post, ma non importa.

Un anno e mezzo fa ho acquistato un libro che si intitola “Come scrivere un racconto”. Sono certo che si tratti di una lettura utile. Addirittura preziosa. Non riesco a leggerlo.

Quando scorro l’indice e leggo: “Pianificare il percorso e disegnare la mappa” mi va il sangue al cervello. È un mio limite, lo so. Per questo non sarò mai altro che uno scribacchino del Web. Ma quando sento puzza di obblighi, di “Occorre fare così”, batto in ritirata. So che ci vuole disciplina, determinazione e talento. Ma una storia deve essere imprevedibile. Se pianifichi, come diavolo riesci a sorprenderti e a sorprendere quindi il lettore?

Non ho mai terminato di leggerlo.

Si scrive per comunicare; non è una grande scoperta, vero? Per questo è indispensabile la cura delle parole. L’attesa e il silenzio non sono perdite di tempo, ma il necessario modo per rendere la scrittura un’esperienza unica. So bene che per molti saranno solo e sempre “parole”. Che pochi comprenderanno cosa nascondono, e la fatica che sono costate.

Sono le parole che ci aiutano a entrare in contatto con la realtà, ad accedere nella parte più nascosta e profonda della vita.

E sono loro che ci portano alle persone, poche o tante che siano, non importa. Dubito che restare ancorati a un territorio limiti davvero l’ispirazione. Quello che davvero è importante è ottenere valore ed efficacia. Solo in questo modo una piccola storia, ambientata in uno sperduto angolo di mondo, potrà avere un respiro ampio.

Però attenzione. Cogliere quello che abbiamo accanto (così come quello distante da noi), non è un lavoro semplice. Come sempre c’è bisogno di severità. Non tutto quello che vediamo, sentiamo o proviamo merita una parola; spesso deve essere eliminato.

Alcuni infatti ritengono che qualunque dettaglio aiuti il personaggio a definirsi, e aiuta la storia a essere robusta. È un errore: che si tratti di una tazza dal bordo scheggiato, oppure di un dirigibile, il dettaglio non può piovere, o cadere dall’alto.
Bensì sorgere dalla storia, vivere e respirare grazie a lei. Essere connaturato a quello che stiamo raccontando.

Come ci si riesce? Basta leggere. Facciamo un esempio?
Nel racconto “I chilometri sono effettivi?” di Carver, c’è questa coppia che naviga in cattive acque. Deve vendere la macchina decappottabile e fare dei soldi. La vendita la effettuerà la moglie perché più abile.

Poco prima, mentre lei si stava vestendo, lui aveva tirato fuori il cric e la ruota di scorta dal bagagliaio e svuotato il cassetto del cruscotto da matite, bustine di fiammiferi e bollini-premio. Poi l’aveva lavata e aveva passato l’aspirapolvere sulla tappezzeria. La cappotta rossa e i paraurti scintillavano.

Se ci infilo che nel cielo passa un dirigibile, forse non faccio un buon servizio alla storia. Naturalmente, troverò comunque qualcuno che apprezzerà la mia capacità di spostare la storia su un piano tanto superiore. Lo troverà geniale, superbo (“Un dirigibile! Che trovata superlativa!”). Posso persino riconoscere che con una certa perizia, il dirigibile potrebbe funzionare, dare alla storia un’atmosfera incantata, strana. Un po’ come trovare un lama che si abbevera a Piazza Navona.

Quello che si deve capire in fretta è che la sorpresa deve essere la storia, e nella storia: in un certo senso, ce la deve proporre lei. Scaturisce come acqua di fonte.

Non deve cascare dall’alto come un blocco di ghiaccio che si schianta in mezzo alla strada. Non c’è niente di peggio del trovare dettagli o squarci, con il lettore che pensa: “OK, e adesso? Cosa vuol dire l’autore con questo?”. A quel punto il guaio è fatto. Si è spezzato l’incantesimo e la storia cesserà di parlare, di svelare i significati.

Riuscirò a ottenere risultati di valore solo col tempo, con le letture, con una sensibilità che si affina. Sarà secondario se io la sera vado a dormire alle nove e mezza, e tutto il mondo che ho visto si ferma ad Albenga. Sarò capace di profondità anche affacciandomi alla finestra a guardare la coda di auto verso il centro. Però no, come sempre non c’è alcuna ricetta.
C’è solo da rimboccarsi le maniche e lavorare duro.


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