18 MARZO – In un Bentegodi ancora una volta gremito in ogni ordine di posto ma diventato purtroppo un triste tabù – la vittoria tra le mura amiche manca oramai dal 22 dicembre – si è consumata con l’Inter l’ennesima sconfitta casalinga di questo per ora poco felice 2014, che significa quarto capitombolo interno su sei gare disputate. Questa volta, passatemi il termine, “dietro la lavagna” ci finiscono in tanti, direttore di gara compreso. Per carità, nessuno intende gettare la croce addosso agli uomini di Mandorlini, specialmente dopo l’entusiasmante campionato, disputato sino ad ora oltre ogni più rosea aspettativa, tuttavia contro i nerazzurri era lecito attendersi qualcosa in più. La squadra di Mazzarri dispone senza dubbio di individualità importanti, che la pongono sul piano squisitamente tecnico qualche gradino sopra i gialloblù, eppure da Maietta & C. ci si aspettava una prova decisamente migliore. L’undici scaligero sembra, invece, aver smarrito la strada per il successo, che nel girone di andata aveva fatto del Bentegodi un fortino pressoché inespugnabile. I primi a finire dietro la lavagna sono i difensori, o meglio l’intera fase difensiva, ed in particolare la catena di sinistra. E’ stato qui infatti che l’Inter ha posto i mattoni per il suo successo, grazie ad uno straripante Jonathan che ha letteralmente “asfaltato” il malcapitato Albertazzi il quale, per nulla supportato da Marquinho – bravo in attacco ma meno efficace nelle diagonali difensive – e da Iturbe – schierato da Mandorlini in posizione più avanzata – ha trascorso una vera e propria serata da incubo. E stato, infatti, dalla fascia di competenza del terzino brasiliano che oltre alle due reti sono anche arrivati tutti i maggiori pericoli per la retroguardia gialloblù, apparsa in più di un’occasione particolarmente disattenta. Una fase difensiva, quindi, alquanto “ballerina” che necessita quanto prima di una vera e propria “messa a punto” , visto l’elevato numero di reti subite. Dopo Catania, Sassuolo e Livorno, guarda caso le tre principali candidate alla retrocessione, quella dell’Hellas è la difesa più perforata del campionato. Un dato decisamente imprevisto e tutt’altro che rassicurante. In questa serataccia ci ha messo del suo anche mister Mandorlini con alcune scelte iniziali che hanno lasciato quantomeno perplessi. E’ vero che nel calcio la riprova non esiste, ma ritengo che schierare Iturbe sulla corsia di sinistra, anziché su quella a lui più congeniale di destra, non sia propriamente la stessa cosa. Senza dimenticare che sull’altra fascia – dove la catena ha funzionato forse un po’ meglio – ha imperversato senza mai entusiasmare un Romulo apparso ancora in calo e, come da questo blog si ripete da qualche settimana, assolutamente bisognoso di una fermata ai box per rifiatare. Difficile da decifrare poi il doppio cambio effettuato dal tecnico gialloblù a poco più di 5 minuti dal termine. Riconoscenza e rispetto a parte – mi riferisco in questo più a Cacia che a Cirigliano – cercare di recuperare un doppio svantaggio con appena cinque minuti da disputare, ha il sapore più di ultima spiaggia che di scelta in qualche modo ponderata. La lettura di una gara non è mai cosa facile eppure da Mandorlini era lecito attendersi un pizzico di spregiudicatezza in più. Confortati da una classifica che consente da qui alla fine di giocare senza ansie particolari, le premesse per provare qualche soluzione diversa dall’ormai consolidato 4-3-3 ci sono tutte e non si comprende, quindi, tutta questa “insistenza”.
Ultimo ma non ultimo dietro al lavagna c’è un posticino anche per il signor Banti di Livorno, protagonista di una direzione di gara non proprio all’altezza. Un rigore quantomeno dubbio negato a Luca Toni e una gestione discutibile di falli e cartellini, rappresentano per il fischietto toscano un bilancio negativo.
In buona sostanza, una brutta serata in tutti i sensi dove l’Inter ha comunque meritato di vincere, ma il Verona ha fatto troppo poco per impedirglielo.
Ora sicuramente non è il momento dei processi, non sarebbero meritati e non avrebbero alcun senso, eppure pretendere un minimo di inversione di tendenza, rappresenta come si suole dire il cosiddetto “minimo sindacale”. L’obiettivo dei 40 punti è stato raggiunto con inaspettato anticipo mentre il traguardo dell’Europa League, almeno per questa stagione, sembra non rientrare nei programmi della società. Mancano però ancora dieci partite e credo che in questo scorcio finale di stagione sia assolutamente doveroso provare a fare il massimo possibile, senza precludersi nulla e senza creare facili illusioni. Il tempo di iniziare a pensare alle prossime vacanze non è ancora arrivato. Per quello c’è ancora tempo. Non credete..?
Enrico Brigi
twitter @enrico_brigi
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