Limitarsi a colpevolizzare l’assassino, allontanarlo dalla nostra coscienza chiudendolo nelle mura del carcere non rappresenta la soluzione. L’esclusione sociale non ci protegge dal male. Con questo non voglio dire che dobbiamo fare del volontariato in carcere ma prendere consapevolezza del fatto che dietro le sbarre ci sono persone diverse con una storia personale, che devono essere reinserite. Per questo i carcerati lavorano anche se condannati e a distanza provvedono alla loro famiglia mantenendo un contatto con la realtà. Lo psicologo li aiuta a non perdere totalmente il loro sé ideale di cui sono privati, a superare lo stress della perdita di controllo della loro vita.
La maggior parte dei detenuti non aveva un granché da perdere. Se hanno commesso dei reati, del tipo spaccio, furto o raggiro, si sono arricchiti e scontano una pena a termine e poi si godranno i soldi rubati, magari all’estero perché la maggior parte sono stranieri colpevoli di averci derubato, e intanto li manteniamo in carcere, dove stanno meglio rispetto alla strada, in attesa dell’indulto.
Un carcerato dice ad un poliziotto “io da qui me ne vado prima di te e poi farò una bella vita, mi aspetta mia moglie in Tunisia, alla quale ho mandato tutti i soldi guadagnati con la droga. Caro poliziotto, il prigioniero sei tu, che starai qui più di me, perchè costretto, e con uno stipendio da poveretto”.
Questa è l’immagine più comoda, è una situazione reale che vi descrivo. Ma il male sta nel sistema, nella società, più che nelle persone.