« E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne.
E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano.
Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare. »
(Verso 31 della Sura XXIV)
Il burqa è un indumento femminile che appartiene alla tradizione di alcuni paesi di religione islamica ed è principalmente diffuso in Afghanistan.
Fu imposto per la prima volta nel 1900 dall’Habibullah (= Prediletto di Dio) allora regnante, per evitare che le 200 donne del suo harem inducessero in tentazione gli uomini. Inizialmente, quindi, diffuso tra i ceti più ricchi, divenne mano a mano sempre più di uso comune e oggi, con il regime dei Talebani, si vieta categoricamente a tutte le donne di mostrare il proprio volto.
Ma vediamo le campagne che sono state realizzate sia a favore che contro l’uso del burqa.
A prima vista, questa campagna intitolata “LOLLIPOP”, sembra realizzata a favore della prevenzione contro le malattie trasmesse attraverso rapporti sessuali non protetti (es. HIV, ecc.).
In realtà nasce in seguito ad un allarmante studio pubblicato dall’ECWR (Centro per i Diritti della Donna Egiziana), in cui si dichiara che l’83% delle donne egiziane e il 98% delle donne straniere hanno subito molestie sessuali e che il 62% degli uomini egiziani intervistati ammette di avere violentato almeno una donna nella sua vita.
In merito a ciò, si è pensato, quindi, di realizzare campagne contro questi terribili atti di violenza commessi da parte del genere maschile cercando, non di denunciare l’atto come qualcosa di orribile e sbagliato, ma facendo ricadere la colpa sulle vittime di queste vicende.
Il messaggio della campagna, infatti, è il seguente “Non si possono fermare, ma è possibile proteggersi” ed esorta le donne a coprirsi per proteggersi ed evitare così le molestie da parte degli uomini.
Tale dichiarazione è ancor più rafforzata dalle immagini utilizzate, che raffigurano due lecca-lecca: uno coperto e “al sicuro” e l’altro scoperto e “attaccato” dalle mosche.
La campagna “LOLLIPOP” viene diffusa tramite e-mail con mittente sconosciuto.
Anche questa campagna è molto simile alla precedente. Diffusa via e-mail, ma anche su cartelloni pubblicitari, mostra due caramelle analoghe ai lecca-lecca precedentemente analizzati. Tuttavia, qui il riferimento è ancora più esplicito in quanto si mostra, sul retro della caramella “coperta”, l’immagine di una donna velata e, sul retro della caramella scartata e attaccata dalle mosche, due donne con capelli sciolti e un tipo di abbigliamento qui concepito come immorale. Inoltre, il messaggio che si manda è il seguente “O indossi un velo per proteggerti dagli sguardi o vieni molestata”.
Queste campagne, indipendentemente dal tipo di messaggio che vogliono inviare (a mio avviso nemmeno commentabile), non hanno tenuto conto di un altro importantissimo dato ossia che la maggior parte delle donne che sono state molestate erano velate. E ciò la dice lunga su come queste imposizioni nascano, in realtà, soltanto da una forma di dittatura patriarcale e maschilista e niente più.
Ma vediamo ora alcuni esempi di campagne nate a favore dei diritti delle donne, in merito all’utilizzo del burqa.
In Francia, l’11 ottobre del 2010 è uscita una legge che vieta di indossare questo tipo di “capo d’abbigliamento” e nello specifico di nascondere il proprio volto quando si è in pubblico.
Questa legge è entrata in vigore effettivamente l’11 aprile c.a. e a tal proposito è stata realizzata questa campagna che riporta il seguente messaggio: “La Repubblica si vive a viso scoperto. In tutti i luoghi pubblici: per le strade, nei mezzi di trasporto, nei negozi e nei centri commerciali, nelle scuole, negli uffici postali, negli ospedali, nei tribunali, negli uffici amministrativi… Nessuna persona, in pubblico, può indossare abiti progettati per nascondere il proprio volto”.
Anche in Italia ci si è mossi da poco riguardo a questo argomento. Nello specifico, il Comune di Sassuolo ha attivato la campagna “A viso scoperto”, nata agli inizi dell’aprile del c.a. con l’obiettivo di cercare di promuovere una legge che imponga il divieto del burqa in tutta la nostra nazione.
Anche il leader del Partito della Libertà olandese, Geert Wilders, ha cercato di vietare il burqa nel suo Paese. In una sua intervista egli asserisce che “indossare il burqa è il segnale di una cultura arretrata che reprime le donne e le considera inferiori agli uomini”. Ed è proprio per questo motivo che ne propose il divieto assoluto.
Riporto inoltre la campagna realizzata dall’International Society for Human Rights (ISHR) in cui si legge il seguente messaggio “Fermiamo l’oppressione delle donne nel mondo islamico”. L’immagine che viene scelta è quella di due occhi dietro una grata, paragonando il burqa ad una prigione. Peccato solo che manchino dei dati che ci informino sulla situazione attuale e su come poter agire per evitare questo tipo di violenze.
Infine vorrei citare due esempi di come due importanti riviste, quali P-Magazine e MarieClaire, scelgano di affrontare questa problematica. Il primo, infatti, decise di distribuire i vari numeri in uscita all’interno di un sacchetto nero (di cui offrì 100.000 copie) con una fessura centrale in corrispondenza degli occhi della modella in copertina, mentre il secondo scelse di farlo, in maniera analoga, creando una sorta di “maschera” alla prima pagina.
Elisa Pucci