Bachiacca, Ritratto di donna con gatto
Ma quale sarà il momento migliore di parlare? Di dire qualcosa che va detto, ma che appena detto porterà con sé scompiglio, ansia, spaesamento, senso di abbandono (anche se un po' di esagerazione in questo personalizzare gli avvenimenti, certo, non si può negare ci sia)?
Ho aspettato anche troppo: la notizia si potrebbe risapere da altre fonti (con internet, ormai, c'è ben poco di segreto) e allora sarebbe anche peggio. Ho aspettato che passassero tempi un po' turbolenti, fastidi, preoccupazioni, impegni pressanti. Ho aspettato di dare la notizia difficile insieme ad una buona, per indorare la pillola e far digerire, col dolce, l'amaro.
Ma non ci sono state pause, le scadenze si susseguono alle scadenze, le inverosimili casualità della vita, le pressioni e le parti antipatiche del lavoro, le persone inaffidabili e le lettere difficili da digerire, le telefonate moleste e le riunioni senza fine.
Vedo bene che un'altra mia (lunga) assenza potrebbe sembrare un tradimento, un eclissarsi, un volere vivere la propria vita e non voler sostenere il peso del quotidiano.
In parte è vero, in parte è una rivincita sulla stipendio basso, sulla disistima sociale che grava sugli statali, sulle logiche di potere tutte italiane per cui se non stai nei ranghi te la fanno pagare in termini di carriera, se sei più apprezzata di un presunto "superiore", guai a te.
Ma quando dirtelo? Più presto che tardi, più prima che poi.
Ma quando? E come?