Inizia un anno e arriva il momento in cui, passati i festeggiamenti, molti di noi si guarderanno allo specchio per tirare le somme: “Chi sono io? Cosa ho concluso nel 2013? Cosa concluderò nel 2014?”. Tante famiglie italiane nel 2013 sono si sono ritrovate povere. “Io sono povero” è una presa di coscienza. Un atto di verità che molti di noi dovranno affrontare questo inizio dell’anno: non sono cassintegrato, disoccupato o esodato. Non sono precario, a partita Iva o a progetto. Non sono a chiamata o interinale. Io. Sono. Povero.
Il 2013 doveva essere l’anno della ripresa. Non è stato così. Il 2014 sarà l’anno della ripresa. Nutriamo qualche dubbio. Nel 2013 abbiamo raccontato storie drammatiche: dalla fabbrica che chiude mentre i dipendenti sono in ferie d’estate, agli operai sulle gru, ai giovani che decidono di non avere figli per la precarietà, le vite schiavizzate dei call center, gli esodati presi in giro dal governo, gli ammortizzatori sociali che non bastano più.
L’emergenza lavoro è diventata emergenza povertà. Le vertenze industriali sono ormai per la maggior parte fallite, la disoccupazione giovanile è al 41 per cento. Abbiamo scelto alcune storie del 2013 de L’Isola dei cassaintegrati, le più rappresentative. 14 persone – di età, lavoro, estrazione sociale e provenienza diversa – che all’inizio di questo 2014 si guarderanno allo specchio per confessare che: “Io. Sono. Povero.”
1. Anna, non-madre precaria. Non mi bastano le solite frasi fatte di chi dice: “Un figlio ti riempie la vita, in qualche modo lo camperemo”, perché un bambino ha necessità di tutto. Amore, senza dubbio, ma anche latte in polvere, pannolini, cremine per gli arrossamenti, omogeneizzati, vestitini e mille altre cose.
2. Elena, cassaintegrata felice. Ho sempre creduto che la cassa integrazione fosse l’anticamera del fallimento e della disperazione, un tracollo personale e sociale da scongiurare a qualsiasi prezzo. Ora vivo le mie giornate senza fiato per l’emozione di essere libera e di avere di fronte a me un futuro tutto da reinventare.
3. Marina, una vita nei call center [che ha poi rappresentato L'Isola dei cassintegrati sul palco del Primo Maggio a Roma]. Ho perso il lavoro all’età di 57 anni, ho perso la professionalità che mi ero costruita durante gli ultimi 20 anni, 15 dei quali da precaria. Ho sempre dato tanta dignità al lavoro che ho fatto per tutti questi anni e l’ho pretesa da chi lo denigrava. Ripeto: bisogna lottare perché le condizioni migliorino.
4. Francesco, 31 anni e papà precario. Vorrei anche io, ma senza stabilità, come si fa? Come manteniamo qualcuno se a stento manteniamo noi?. E allora uno risponde che se aspettiamo una qual sorta di stabilità siamo una generazione destinata a non avere figli. Perché i figli, coi contratti a progetto, con le partite Iva, con le casse integrazioni, coi call center, come li fai?
5. Silvia, vuoi lavorare gratis? Maledetti. Sempre siano maledetti. In tutto il mondo siano stramaledetti. No, non sono un’ossessiva. È che davvero in questo periodo sono più le proposte del genere di quelle che prevedono una normale transizione economica in cambio di una prestazione professionale.
6. Firem delocalizza d’estate. La fabbrica di Modena viene svuotata dei macchinari che verranno portati in Polonia durante la chiusura per ferie estiva. Il proprietario riferisce: “Io non sono tenuto a dare conto su dove voglio spostare i miei macchinari. Quando voglio fare un trasloco in casa mia non è che devo chiedere ad altri”.
7. Operai di Marghera occupano la torcia a 150 metri d’altezza. È stata dura dormire, ovunque voltavamo la testa vedevamo le luci, vedevamo l’industria che un tempo era il nostro posto di lavoro. Un lavoro sicuro. A darci forza ci sono le famiglie di tutti noi, che sostengono la nostra lotta 150 metri là sotto.
8. Daniele, 39 anni, pronto a fuggire all’estero. Vivo con i miei genitori. Non ho i soldi per mantenermi da solo, gli affitti sono troppo alti. E se per pagare le bollette mi devo rivolgere a loro tanto vale vivere sotto lo stesso tetto. Le persone nate fra il 1970 e il 1980, se non hanno avuto la fortuna di trovare prima un lavoro, ora sono fuori dal mercato.
9. Geox fa le scarpe a 90 dipendenti. Era un’azienda simbolo del “made in Italy” di successo, con una fabbrica senza sindacato dove tutto si risolveva a pacche sulle spalle. Ma la recessione è arrivata anche lì e un lavoratore su sei verrà mandato a casa.
10. Gli operai votano Grillo e si iscrivono ai sindacati di base. Il 40 per cento degli operai all’ultimo giro ha votato M5S. Un fenomeno che va di pari passo con la crisi di Cgil-Cisl-Uil e il successo dei sindacati di base. Dalla Richard Ginori di Firenze al Sulcis dell’Alcoa ecco perché.
11. Il mobbing estremo della Fiat di Melfi. ”Michele Corbosiero ha cominciato a lavorare a 14 anni come apprendista meccanico in un’officina”, così dice la relazione medica di quello che oggi è un 47enne con 16 anni in Fiat dietro le spalle. Non avrebbe immaginato che 33 anni più tardi, dopo un infarto e un intervento, si sarebbe ritrovato in questa situazione.
12. Esodati, tutto bloccato per i 130mila salvaguardati. I numeri ci sono, dal 5 ottobre 2012, sono 314.576 persone (fonte Ragioneria di Stato). Cifra non troppo lontana dalla stima Inps, che il ministro aveva tanto criticato. Il vero problema, che Fornero non dice, è che nessuno dei 130mila salvaguardati ad oggi ha ricevuto la pensione, tra iter legislativi infiniti e graduatorie ancora in corso.
13. Berco, la diretta del presidio da Copparo. La più grande azienda metalmeccanica dell’Emilia rischia 611 licenziamenti. In attesa della fine delle trattative a Roma nel paese di Copparo si crea un presidio che coinvolge tutta la cittadinanza, e noi lo abbiamo seguito in diretta sul blog.
14. La fine della Indesit in Italia. A Caserta hanno sempre fatto lavatrici e frigoriferi: io sono cresciuta con mio padre e mio marito che guardavano le loro lavatrici nei centri commerciali ammirandole come figlie, come frutto di qualcosa realizzato con amore e devozione.
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di Michele Azzu