Eine Rose ist eine Rose ist eine Rose….
Un fumogeno è un fumogeno è un fumogeno…
Leggo un fuoripagina di Ida Dominijanni dove, a proposito di fumogeni e sedie lanciate nonchè commenti strumentali, la giornalista scrive “..Sembra di vivere in un reality sull’agorà ateniese…”, e allora non so perchè, mi viene in mente L’Antigone, non quella di Sofocle in verità, ma quella dei Motus:
Gaia Manzini ci racconta in maniera molto intensa della sua esperienza come “spettatrice” :
” “Ogni volta che guardo il Flower Chucker di Banksy, ritrovo qualcosa che la vita di ogni giorno mi fa dimenticare. Entro in contestazione con me stessa. Il più grande graffitaro degli ultimi anni ha ritratto un ribelle a volto coperto, sul punto di lanciare qualcosa che esploderà. Ma non è una molotov, no: è un coloratissimo mazzo di fiori. È il ribelle che, con violenza, si ribella alla violenza. Sovversione al quadrato. Ti esalta perché s’appella alla tua sopita libertà di scelta e ai suoi effetti balistici. Interiori prima che esibiti. Flower Chucker è fratello ideologico di Antigone, di tutte le Antigoni, e di qualunque forma di contest (contesa, lotta, contestazione), sia essa pubblica che faccenda tutta intima, dissidio che nasce tra sinapsi e cuore. Grete Weil diceva: «Come me la immagino? Un giorno penso di saperlo, il giorno dopo non più, una volta è parte di me, l’altro il mio opposto in tutto». Già, con Antigone si scende a patti sempre.Un fantasma privato che viene prima e dopo il teatro, nei momenti di solitudine, oltre i ruoli e le regole. Nello spazio bianco delle idee. I Motus tracciano una cartografia immaginaria del senso della rivolta e scelgono l’eroina di Sofocle come guida del progetto Syrma Antigónes: ciclo di workshop, che approdano ora alle mise en scène vere e proprie, concepite come contest.BANDIERE CHE BRUCIANO E, allora, mi trovo seduta al centro dell’Hangar Bicocca, le sue campate industriali, i suoi cinquecento metri di lunghezza, e non ho ancora capito se sono una spettatrice. Mi sento assediata. A destra c’è Silvia Calderoni, c’è Antigone, la donna che si ribella al potere (e la sento vicina, come mi sento vicina a tutte le donne che ieri come oggi sanno articolare il loro no, foss’anche in uno studio televisivo). Dall’altra parte, perfettamente speculare, c’è Benno Steinegger, il Polinice un po’ pacifista e un po’ rivoluzionario. Sto lì in mezzo, insieme agli altri spettatori, ed è chiaro che sono sul limine di qualcosa, costretta a girare lo sguardo da una parte all’altra della scena. Costretta a scegliere a ogni passo della performance un punto di vista. Che poi la vita è tutta lì. Tutta un contest di sguardi in singolar tenzone dentro ognuno di noi. Correre, ansimare, rotolare nella polvere. C’è un corpo inerme che aspetta sepoltura, la forza di calci ripetuti su un casco che rotola, che è peggio di unadecapitazione, come a dire che il corpo, dopo, può essere solo una cosa. Ci sono i colori delle bombe simulate, le bandiere che bruciano, perché c’è sempre una bandiera che brucia da qualche parte. C’è la prossemica teatrale che si fa a falcate, utilizzando l’estetica della ribellione: una declinazione infinita del flower chucker. E poi c’è un urlo afasico, mostruoso. La bocca che è semplicemente una cosa aperta che aspetta il suo grido. La parola che nasce solo da te stesso, che è fuoco. Chi voleva accedere ai workshop dei Motus, doveva rispondere a quattro domande. L’ultima diceva così: «In cosa credi?». Allora sono lì e cerco di trovare una risposta e una posizione più comodasulla sedia. La ribellione è prima di tutto faccenda privata. Non è una tragedia quella che sto vedendo. Lo spettacolo vero si fa dentro di me. Esperisco l’effetto antigone: la libertà contro le regole. La donna che sceglie la morte piuttosto di cedere, lei che ha sepolto il fratello nonostante il divieto di Creonte. Lei che fuorida qualsiasi ruolo e sistema, muore vergine. Intatta, come il fulgore potente d’un idea. Ho deciso: sono una spettatrice. Ho risolto il contest interiore. Poco dopo Polinice, senza veli, chiede una parola dal pubblico, perché l’essere nudi è come una verità che sconvolge. Ma nessuno parla, nessuna contest-azione. L’urlo rimane afasico e tu ti maledici perché sei rimasto uno spettatore, incastonato in un sistema, che ha tolto il «no» alla tua voce. La parola che incendia non c’è stata, non ce l’hai. Il contest rimane aperto, domani potrebbe toccare a te. «Polinice, sei pronto?» «Pronto a cosa?» «Ad andar».” “
Di quelle vaghe ombre: prime indagini sulla ribellione di Antigone- Studio sull’Antigone dei Motus- un docuvideo di Ivana Russo ,ita. 2008 Col. 30′, vi aspetta al Polo Museale di Rende all’interno del Festival Settembre Rendese fino al 30 ottobre .
” “Il video documentario, riprende il lavoro del gruppo teatrale Motus sull’Antigone nella sua fase iniziale. Per tredici giorni ho seguito il gruppo nell’ anfiteatro dei Ruderi di Cirella, dove ho filmato dall’allestimento dello spazio scenico , alle prove con gli attori, fino allo spettacolo vero e proprio. In un secondo momento , nella sede del Teatro Rendano di Cosenza, ho completato il lavoro interloquendo con Enrico e Daniela (Motus) affrontando le tematiche stilistiche, politiche e le fasi di sviluppo del progetto che sarà completato entro il 2009. Interessante è il fatto che per la prima volta il gruppo si è confrontato con un testo tragico , scegliendo l’Antigone, per motivazioni che ben argomentano nell’intervista, e che diventa pretesto per raccontare altro, attraverso diversi testi, alcuni dei quali scritti dagli stessi attori presi dalle loro esperienze personali. Di contraltare ad Antigone, Grete Waile, scrittrice ebrea del 900, voce narrante e figura di uguale intensità e importanza dell’Antigone stessa, di cui si leggono parti prese dal suo testo Mia sorella Antigone. Un Antigone, che partendo dalla originaria tragedia, attraversata da figure del contemporaneo, diventa spunto di riflessione e interrogazione sul nostro modo di vivere. Una posizione con chiaro intento politico, quella dei Motus che recupera l’insegnamento di Julian Beck e il dissenso di altri autori del novecento. Il video in tal senso diventa, una sorta di canovaccio,dove si può delineare l’evoluzione del pensiero, dell’estetica e della ricerca di uno dei gruppi più interessanti della scena contemporanea.
Ivana Russo ” ”
foto:Flower Chucker fonte