“Questa direzione non è tanto un’occasione per fare festa ma per fare un’analisi del voto, anche quando si vince, per capire cosa abbiamo da fare. E’ un risultato che ci carica di entusiasmo e responsabilità”, così Matteo Renzi apre la direzione Pd dopo le Europee.
I colleghi di partito lo accolgono con un lungo applauso, il premier mantiene un basso profilo, ma l’aria di festa si sente. Con 11 milioni di voti, i democratici sono stati i più votati d’Europa, ma la compostezza è d’obbligo: a tanti voti corrispondono altrettante responsabilità.
Passa all’analisi, un po’ bislacca, del 40% conquistato. “Siamo il partito della Nazione. Non c’è solo il voto della volontaria dei tortellini di Modena, ma anche l’artigiano del nord est che magari non ha la stessa storia della volontaria di Modena ma condivide le aspettative sul nostro Paese interpretate dal Pd”.
Parla d’Europa. Le misure attuate, del tutto insufficienti, risalgono agli anni 80. Anche gli europeisti hanno chiesto di “cambiare verso”. Due gli obiettivi: aprire una discussione sulla politica economica europea, per cui è già pronta un’analisi del ministro dell’Economia Padoan; puntare l’attenzione sul tema dell’immigrazione. Fondamentale risulterà il semestre italiano di presidenza Ue le cui linee guida saranno presentate il 2 luglio.
Tocca alla politica interna. Il voto non è un referendum sul governo. Le priorità sono le stesse: riforme del Senato e del Titolo V entro giugno. Per la fine dell’estate si concluderà la legge elettorale, “non per andare a votare, ad altri è passata la voglia di andare a votare”. Continua l’elenco. Il 13 giugno la riforma della Pa “con uno o due provvedimenti” mentre il 20 giugno toccherà al provvedimento sulla competitività.
Riforma del lavoro. E’ previsto un passo in avanti sul ddl delega. Il decreto Poletti è un inizio importante, “il lavoro è la madre di tutte le battaglie – continua il premier – su questo tema saremo giudicati, più che dai mercati internazionali, da potenziali investitori”.