“Discriminati nella loro patria perché gay, ottengono lo status di rifugiati in Italia. Si tratta di una libica, di un iraniano e di un egiziano. Ma i casi «risolti» sono già sei”. Pochi giorni fa, questo brillante risultato ottenuto da Arcigay Milano ha trovato spazio di discussione sulla stampa nazionale.
E proprio il tema del diritto di asilo per le persone omosessuali e trans discriminate nel loro paese d’origine sarà oggetto di un convegno organizzato dall’associazione Rete Lenford a Palermo il 25 e 26 novembre. Al convegnmo parteciperà Giorgio Dell’Amico, responsabile nazionale immigrazione di Arcigay. Lo intervistiamo.
Incominciamo dall’inizio. Esiste in Italia il diritto di asilo per omosessuali o trans che provengono da Paesi che discriminano?
Si, l’Italia, pur in assenza di una legge organica sull’asilo, ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 la quale afferma che è rifugiato colui “che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di (…) appartenenza ad un determinato gruppo sociale (…) non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese”.
Successivamente la Direttiva UE così detta “Direttiva Qualifiche 2004/83″ tramite il “Decreto legislativo di attuazione della direttiva comunitaria sulle norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale” ha chiarito che l’appartenza ad un particolare “gruppo sociale” può essere individuato in base alla caratteristica comune dell’orientamento sessuale (e a breve sarà intesa anche l’identità di genere così come previsto dal recentissimo voto del Parlamento UE, anche se nella prassi mi sento di affermare che già oggi in Italia viene prevista la protezione).
Al di là dei tecnicismi legislativi, è una buona legislazione o è carente rispetto a quelle di altri Paesi?
In assenza di una legge organica, mi sento di affermare che tutto sommato per chi accede alla domanda di protezione internazionale, vi sia già una norma sufficientemente adeguata, anche se mancano molti aspetti che andrebbero ampliati o meglio chiariti.
Penso in particolare ad una maggiore formazione di chi si occupa della valutazione delle domande di asilo, degli operatori che assistono i richiedenti asilo LGBT, a servizi più adeguati e attenti alle esigenze specifiche di questa categoria di richiedenti asilo che ad esempio potrebbero trovarsi (o meglio, spesso si trovano) ad essere accolti con propri connazionali ricreando contesti simili o uguali da cui scappano.
Una recente ricerca dell’Unione europea ha monitorato l’accesso alle domande di asilo di persone LGBT in Europa e mi sento di poter dire che siamo in presenza di una attenzione particolare, basti pensare che da noi ad oggi la criminalizzazione (e non il fatto di essere stati per forza condannati) è spesso sufficiente a garantire ai richiedenti LGB lo status di rifugiato.
Quanti casi Arcigay ha seguito? Quale è il numero ufficiale del numero di richiedenti diritto d’asilo lgbt?
Sono ormai alcune decine i casi seguiti direttamente come Arcigay (a livello nazionale o da singoli comitati o in collaborazione con altri enti). Molti di questi sono provenienti da Paesi di religione islamica, ma non solo, alcuni hanno ottenuto protezione dall’Italia proveniendo da Paesi dell’Est Europa e del Centro America. Non esiste in Italia, e nella maggioranza dei Paesi del Mondo, un dato numerico dei rifugiati legati al motivo di persecuzione.
Da quali paesi provengono?
Ad oggi i casi a noi noti provenivano da Marocco, Egitto, Tunisia, Salvador, Sierra Leone, Nigeria, Albania, Moldavia, Ucraina, Pakistan, Ghana, Iran mentre la ricerca citata prima riporta rifugiati LGBT da oltre 104 Paesi del Mondo, tra cui ad esempio Cina, Brasile, USA, e anche alcuni casi (presumo di diversi anni fa) di cittadini provenienti da Paesi che sono ora nell’UEcome la Romania, Estonia, Lituania e Slovenia.
Nella maggioranza dei casi parliamo di gay, ma abbiamo seguito anche alcune lesbiche (che hanno ottenuto lo status di rifugiato) una dal Marocco e una dalla Libia e alcune trans MtF (Algeria e Marocco)
Quali sono le discriminazioni maggiormente raccontate?
In diversi casi abbiamo seguito ragazzi che hanno avuto problemi con connazionali vicini o sull’ambiente di lavoro ed erano impossibilitati a chiedere aiuto alle autorità locali in quanto in quei Paesi ci sono leggi contro l’omosessualità o in assenza di queste le forze dell’ordine e della giustizia sono omofobe. Uno di questi, marocchino è stato anche condannato in quanto gay. Nella maggior parte però, le maggiori discriminazioni e violenze erano attuate dagli stessi familiari, penso ad esempio ad un ragazzo pakistano che era stato scoperto dai propri familiari e che ha rischiato seriamente di poter essere ucciso da questi.
A Palermo, gli amici dell’Associazione Rete Lenford, organizzeranno un convegno proprio sul diritto di Asilo lgbt. Tu racconterai che cosa possono fare le associazioni per aiutare queste persone. Ci puoi anticipare qualcosa?
Il ruolo delle associazioni LGBT può essere fondamentale per vari motivi.
Ad esempio dal punto di vista della solidarietà tra persone appartanenti alla comunità LGBT. Spesso un richiedente asilo LGBT vive un grande isolamento a differenza ad esempio di chi scappa per motivazioni politiche perchè difficilmente troverebbe la solidarietà in Italia da parte dei propri connazionali in quanto si esporrebbe al rischio di subire le stesse discriminazioni e violenze da cui fugge se gli altri scoprissero che è LGBT.
Un altro motivo è che molto probabilmente una persona LGBT che fugge da un Paese omofobo, potrebbe sentirsi più tranquillo nel raccontare le violenze/discriminazioni subite se si trova accanto delle persone anche loro LGBT a cui poter raccontare le esperienze vissute e inoltre questa vicinanza ad una associazione LGBT può rafforzare di fronte alle Commissioni chiamate a valutare la storia personale, la reale motivazione per cui la persona chiede protezione.
Arcigay e l’immigrazione. Dopo il Progetto Io, a che cosa stiamo lavorando?
In questo momento vedo crescere l’interesse da parte di diversi comitati Arcigay su queste tematiche. Dal progetto IO, ad esempio sono nate e hanno già seguito diversi casi i comitati di Milano e Verona assieme ad altre associazioni LGBT e di immigrati di quelle città e altri stanno impegnandosi tra cui il comitato di Palermo. Diverse iniziative su questi temi sono stati realizzati in altri comitati e altri stanno interrogandosi su come pote fare qualcosa.
Ci sono idee su realizzare progetti che oltre all’orientamento ed al supporto nella presentazione della domanda di asilo possano prevedere anche un’accoglienza di queste persone.
Sarà inoltre importante impegnarsi rispetto alle seconde generazioni, cioè di quei giovani LGBT nati o arrivati in Italia molto piccoli che vivono o potrebbero vivere, all’interno di famiglie che si portano dietro la cultura e le tradizioni del proprio Paese, le stesse violenze e discriminazioni che subirebbero se fossero ancora nel loro Paese. Penso quindi che sarà importante lavorare ad esempio con l’AGEDO anche sulle famiglie di immigrati e, ovviamente, senza dimenticare il tema delle coppie LGBT in cui almeno uno dei due è straniero e che in Italia non vede il diritto di vedere riconosciuta legalmente la relazione affettiva. Ma questo come ben sappiamo non è un problema solo loro.
Più in generale che cosa chiede Arcigay al Paese per rispondere a situazioni di oggettiva difficoltà?
Sicuramente una maggiore formazione per chi opera nell’ambito dell’immigazione a queste tematiche, una normativa più attenta e puntuale, penso alle coppie LGBT e a progetti contro l’omofobia che coinvolgano anche le comunità di immigrati in Italia.
Cosa pensi della ferma opposizione del Vaticano a ogni tentativo di depenalizzazione dell’omosessualità? Di fatto eliminare legislazioni antigay allevierebbe i parte le discriminazioni.
Rappresenta una delle pagine più buie della gerarchia cristiana, ma che credo non vada confusa con le tante esperienze e testimonianze di chi cristiano si adopera nel mondo per aiutare persone che fuggono da Paesi in cui essere omosessuali può costare la vita.
E’ però vero quella opposizione si somma a quella di tanti Paesi che condannano l’omosessualità e che vengono internazionalmente condannati perché non garantiscono i diritti umani come ad esempio l’Iran, o a quella di tante altre chiese omofobe che stanno facendo pressioni in Uganda e in altri Paesi africani affinché vengano inasprite le sanzioni, fino a prevedere anche la pena di morte per le persone LGBT . (publicato originariamente su www.arcigay.it)