La Spagna torna indietro, di almeno cinquant’anni, verso gli anni bui del franchismo. Il paese iberico, disastrato dal punto economico ma tra i più avanzati sul piano dei diritti civili, sembra deciso a ridurre il gap tra le due sfere. A quanto pare, però, a discapito della seconda. Il governo Rajoy, difatti, sembra ormai intenzionato ad accontentare l’elettorato ultra conservatore che l’ha eletto, affinchè questo ribadisca la propria scelta di voto anche alle ormai imminenti elezioni europee. Sul fatto che un governo operi in modo da soddisfare le richieste dei suoi sostenitori, non c’è nulla di sbagliato. Ma, bisogna dirlo, c’è modo e modo. E le due leggi di cui si sta recentemente discutendo in Spagna, vanno oltre ogni limite. In particolare fa discutere la proposta legislativa poroposta da Josè Fernandez Diaz, ministro degli interni, che intende palesemente limitare il diritto di protesta. In particolare, la nuova norma vieta manifestazioni davanti a sedi istituzionali, come il Senato, i ministeri, il Congresso dei deputati. Non si potrà più riprendere e fotografare gli agenti di polizia, pena salate multe. Non solo: niente striscioni e niente bandiere sugli edifici. L’aspetto più preoccupante è che non ci si potrà difendere da eventuali abusi o violenze da parte della polizia, perché saranno considerati insulti e minacce a pubblico ufficiale. Sostanzialmente, viene rovesciata la giustizia: non sarà compito del poliziotto dimostrare la colpevolezza dell’arrestato, ma sarà compito dell’arrestato dimostrare la propria innocenza. L’accusato, quindi, ha l’onere di dimostrare la propria innocenza. Chiaramente, la parola della polizia parte dalla presunzione di verità. Come ai tempi del franchismo. Ciliegina sulla torta, l’estensione delle possibilità di intervento dei vigilantes privati: questi potranno uscire dagli edifici che devono sorvegliare per perquisire e anche arrestare il sospettato anche in mezzo alla strada. Se Rajoy sostiene che la legge porterà più sicurezza, sicuramente non la penseranno allo stesso modo coloro che parteciparono alle affollate manifestazioni dei cosidetti “Indignados”: la vista di Plaza Major gremita di gente, fosse già stata operativa la legge, non si sarebbe mai presentata. Tant’è che in Spagna si parla di legge pensata ad hoc proprio contro il cosiddetto “Movimento del 15 Maggio”.
Altra questione la legge sull’aborto, promossa dal ministro della giustizia Gallardo e approvata venerdì (tuttavia, la legge non entrerà in vigore prima di un anno). L’aborto non è più un diritto, ma un reato depenalizzato soltanto in alcune circostanze: se vi sia stato stupro e se vi siano gravi rischi per la salute fisica o psichica della donna. Sono state introdotte procedure assai complcate per accertare l’effettività di tali casisistiche. Insomma, la legislazione sull’aborto torna a standard ancora più rigidi di quella in vigore dall’85, poi modificata da Zapatero. Le proteste delle Femen dinanzi alla chiesa San Manuel Y Benito di Madrid difficilmente faranno cambiare idea al lanciatissimo (all’indietro) Rajoy.