Rimetto piede sul territorio italiano pochi giorni fa dopo quattro anni di assenza, e all’accoglienza si riaccende in un attimo l’immagine, ormai sbiadita, che avevo impressa di casa mia. Ci sono cose per cui gli italiani sono bravi. I più bravi direi. La prima è essere delle teste di cazzo. Ed è proprio attraverso questa inviadata qualità che ho avuto modo di ricordarmi cosa significasse tornare in patria, se così vogliamo chiamare un pezzo di terra racchiuso tra delle linee immaginarie. Dal Gennaio 2010 ho avuto modo, chiamala fortuna, di attraversare almeno una decina di paesi, ma soltanto di pochi giorni fa è il mio ritorno su suolo italiano. Non certo un viaggio di piacere quello all’Ambasciata d’Italia a Kuala Lumpur, ma più uno di necessità in quanto, senza poterlo anticipare, mi trovo a finire le pagine sul passaporto, e a doverne richiedere uno nuovo per poter proseguire il mio viaggio.
Non è certo una cosa che capita spesso, di trovarsi ad esaurire il passaporto all’estero, ma proveniendo da diversi anni di viaggio e non avendo acquisito altra residenza, sono oggi intento a seguire un itinerario più lungo di quanto il mio documento si possa permettere. E che sarà mai, mi sono detto, ogni sito ufficiale di polizia, questura, ministero degli esteri, e qualsiasi altra istituzione si possa prendere di riferimento parla del rilascio passaporti come di un servizio normalmente offerto dai consolati per chi si trova all’estero, e dato che non è il tempo che mi manca la cosa più semplice sembrava essere aspettare di ottenerne uno nuovo. La procedura sembra semplice anche se lenta, e avendo comunque bisogno di fermarmi per lavorare alla nuova guida che dovrebbe uscire tra poco, e dato che la Malesia concede tre mesi di visto in modo gratuito, Kuala Lumpur sembrava la base ideale per sbrigare questa pratica. Se non fosse che in tutto ciò mi ero dimenticato del dettaglio più importante, che per poter richiedere un passaporto italiano devi aver a che fare con degli italiani. Esseri particolari, con i quali avere aspettative è pericolosissimo.
Io in Ambasciata non ci sono mai stato. O almeno non nella mia. In questi anni ne ho girate diverse, per chiedere visti ed informazioni, e che sia quella neozelandese per ottenere un permesso di lavoro oppure quella indonesiana in Timor Est, sono sempre stato almeno accolto ed ascoltato. Proprio in Timor Est un americano mi raccontava di essere stato nella propria ambasciata così, a salutare.
E con queste premesse mi metto in contatto con l’Ambasciata di KL per capire come muovermi e organizzarmi. La prima risposta è negativa, loro il passaporto non lo fanno. Chiedo maggiori informazioni, cerco di capire se c’è un’alternativa, ma dopo un paio di mail le risposte non arrivano più. Vado direttamente in Ambasciata allora, sperando di trovare aiuto, potendo spiegare la mia situazione a qualcuno. L’accoglienza non è delle migliori. Dopo essere stato lasciato al cancello dalla guardia per qualche decina di minuti, esce una donna dell’ufficio consolare, la stessa che ha smesso di rispondermi alle mail. “Ma sei duro! Non hai capito che non te lo facciamo il passaporto?”, il regolamento interno che non offre questo servizio ai non residenti in Malesia è la scusa che accetto, ma non avendo scelta chiedo se pagando e aspettando ci sia un’altra possibilità. “Non facciamo mica il passaporto a qualsiasi turista di passaggio” è la risposta. Quanti turisti di passaggio italiani che finiscono le pagine del passaporto passando da Kuala Lumpur e non sono di rientro in Italia ci siano io non lo so, ma la fila di zero persone che mi pressava alle spalle era il mio unico indicatore. Ma mi spiego ancora una volta, che forse non è chiaro. “Ho lavorato all’estero per i passati tre e più anni, non sono mai stato residente altrove, non sono stato in vacanza, e non sono tornato in Italia in questo tempo”. Ci sarà un modo, essendo pronto a piegarmi a qualsiasi tempo e costo ci deve essere un sistema perché il consolato, unico ente che questo servizio lo offre, mi venga incontro. Insomma, se il consolato italiano non è lì per aiutare un cittadino italiano, che ci sta a fare?
“È l’ora che ci torni” mi dice girandosi e tornando all’aria condizionata del suo ufficio. E con questa semplicità mi sono ricordato del perché in Italia ancora non ci sono tornato, e del perché forse, non è il caso di tornarci.