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Distance

Creato il 01 gennaio 2012 da Makoto @makotoster
*** Flashback ***DistanceDistance (id.). Regia, soggetto, sceneggiatura e montaggio: Koreeda Hirokazu. Fotografia: Yamazaki Yutaka. Suono: Mori Eiji. Interpreti: Asano Tadanobu (Koichi Sakata), Arata (AtsushiMizuhara), Iseya Yusuke (Masaru Enoki), Terajima Susumu (Minoru Kai), NatsukawaYui (Yamamoto Kiyoka). Produzione: TV Man Union, Engine Film, Cine Racket,Imagica production. Durata: 132'. Uscita nelle sale giapponesi:26 maggio 2001.
Link: Chris MaGee (Toronto J-Film Pow-Wow) - Acquarello (Strictly Film School)Punteggio ★★★★1/2  
Distance è un film enigmatico edaffascinante, con il quale nel 2001 Koreeda sembra voler chiudere, dopo Maboroshi no hikari (Maborosi) e Wandafuru raifu (After Life), quella che a tutti gli effetti appare come una trilogiasui temi che gli sono cari: la morte, la memoria, la natura. La vicenda prende spunto da un fatto realmenteaccaduto: l’attentato con il gas sarin alla metropolitana di Tokyo perpetratoda alcuni componenti di una setta religiosa estremista, il culto di AumShinrikyo, il 20 marzo 1995. La storia narrata nel film è quella dei familiaridegli attentatori che ogni anno si recano sulle rive di un lago in mezzo albosco, per commemorare il giorno del suicidio rituale che ha visto coinvolti iloro cari. Dopo aver trascorso la giornata insieme, vengono purtroppo ascoprire che l’auto con la quale erano arrivati è stata rubata, così come lamotocicletta di una ragazzo che si rivela essere uno dei membri sopravvissutidella setta. Con lui troveranno riparo nella casa che era la sede del culto etrascorreranno insieme la notte dibattendosi tra i ricordi e il dolore dellaperdita, evocati a forza dal luogo e dalla situazione. Il film è un vero percorso verso e dentro lamemoria.Gli oggetti, ripresi puntualmente fin dalle primeinquadrature (come le scarpe del marito di una delle donne, nell’ingresso dellaloro abitazione), diventano metafora del tempo, evocazione dei defunti,frammenti di passato. Nella casa isolata in un bosco che la contiene e allostesso tempo che rappresenta visivamente il travaglio interiore degli uomini erimanda ad un che di soprannaturale ed altamente spirituale - quasi larappresentazione di una mitologica terra dei morti - in quel luogo prende formauna memoria collettiva. I ricordi e le contraddizioni si compongono in unainquietudine profonda, e il loro dibattersi allontana l’effetto risolutivo cheavrebbe il raggiungere una qualche verità, anche se non assoluta, che qui non èdato neppure di ipotizzare. Koreeda “tiene a distanza”, sottrae, lascia vuotiriempiti solo dai rumori del bosco, in quel cinema dell’assenza che raggiunge amio parere in questo film un culmine quasi fisicamente doloroso per lospettatore.Quasi horror, si è detto, questo suo modo di metterein discussione la percezione del reale, con lo sguardo che si carica didistorsione mentre osserva esseri e ambienti che recano i segni di ciò che litrascende. Il film è tragicamente concentrato sul tema dellesette e del loro rapporto con la società. Murakami Haruki nel suo Underground – Racconto a più vocidell’attentato alla metropolitana di Tokyo, del 2003, pone l’accento sulrischio che corre la società nel relegare episodi come questo nei fatti dicronaca nera, rendendo più facile la presa di distanza ed il conseguentesuperamento del dolore causato da morti inspiegabili, ma senza cogliere larealtà del fenomeno. Che è anche quello – nel caso della setta Aum fu così – dipersone apparentemente “normali”, alla ricerca di un sistema alternativo, inipotesi più spirituale,  rispetto almodello proposto dalla società nella quale vivono. Koreeda mette in scenaproprio la complessità e l’incoerenza di eventi correlati al modo di esseredell’intera società, che hanno radici profonde nei mali della società stessa eper i quali è impossibile definire con certezza responsabilità che sembranoambiguamente apparire su entrambi i fronti, quello delle vittime e quello deicarnefici.  Koreeda stesso ricorda come all’inizio della lavorazionedel film non ci fosse neppure una vera e propria sceneggiatura. Venivanoforniti agli attori spunti sulla situazione e sul carattere e il resto prendevavita direttamente dalla loro improvvisazione. In effetti Distance si pone in bilico tra documentario e fiction: secondoalcuni si alternerebbe un ritmo “naturale”, o del presente, composto di ripreseper lo più realizzate con camera a mano, da cinémavérité, ad un ritmo “urbano”, o del passato, caratterizzato da ripresefrontali, con piani fissi, come nei numerosi flashback. Lunghi piani sequenza,nel silenzio dei personaggi, creano poi “spazi” riempiti dai suoni della naturache si pongono come pause di riflessione. Lo spazio all’interno della casa è spessocostruito visivamente in modo destabilizzante: con riprese dall’alto o conprospettive tali che i vari personaggi hanno difficoltà ad essere ricompresinella stessa inquadratura, quasi a ribadire la distanza fra loro. Il film è punteggiato da rimandi alle opere precedenti.Una prima sequenza interessante, tra le tante, è quella nella quale due deipersonaggi, Atsushi e Masaru, nel loro viaggio verso il luogodell’appuntamento, si fermano sul bordo di una linea ferroviaria. Una serie diinquadrature li riprende frontalmente mentre dietro di loro scorre un treno,che ricorda indubbiamente il suicidio/incidente di Ikuo, in Maborosi; in una scena successiva i duesono ripresi mentre camminano distrattamente lungo i binari, attratti dai fiori(gigli, simbolo della setta) che crescono in alto sul muro a lato degli stessi.I gigli distraggono i ragazzi come un miraggio (così come un misteriosobagliore lontano poteva forse aver attratto Ikuo in Maborosi), per raggiungere il quale non esitano a salire sul muro,e il loro “miraggio” è rappresentato proprio dal simbolo della setta. Nel finale l’enigma/Atsushi, il personaggio che piùdegli altri nel corso della storia suscita dubbi circa la propria identità,torna sul pontile del lago e gli dà fuoco evocando una altrettanto misteriosafigura di “padre” (che potrebbe rimandare al leader della setta, mai mostratonel film). Non c’è modo di risolvere l’arcano, neppure“recuperando” alla memoria indizi disseminati nel corso del film: la strutturadi legno avvolta dalle fiamme ricorda senza dubbio la pira funeraria in riva almare di Maborosi, il momento diconsapevolezza e accettazione da parte della protagonista dell’ineluttabilitàdella morte. D’altra parte, nel virare chiaramente verso l’incompreso e ilmisterioso, non fa che aumentare nello spettatore il senso di irrisolto. Ogni cosa è (perfettamente) assente nel film diKoreeda: ogni possibile umana soluzione distante. [Claudia Bertolè]

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