Ad un certo punto del romanzo, però, Gustav cede quasi del tutto posto allo scrittore Ignazio Apolloni, che si chiede dopo il suo grande entusiasmo per la “conversione scientifica” da che parte debba stare, e cioè se incorporare l’una o l’altra delle tendenze estetiche rappresentate da quelle opere in cui si stanno posando i suoi occhi e la sua mente, senza tuttavia trascurare quella spinta emotiva – più che razionale – che l’ha indotto ad occuparsi di scienza; di quella parte della scienza che ha per obiettivo una migliore qualità dell’uomo del futuro. Infatti, Ignazio non può rinnegare la sua vocazione alla scrittura e certamente la risposta concreta ad un dubbio di tale portata è proprio questo romanzo, o, meglio, come già l’ho definito, saggio romanzato. E, inoltre, proprio questa sua ennesima invenzione letteraria potrebbe rappresentare l’aspirazione ad una nuova figura d’intellettuale a tutto tondo, che non dovrebbe escludere nessuna branca del sapere dai suoi interessi per una sorta di Futuro Rinascimento dell’Uomo. Gustav, da tanto tempo immerso in una pigra esistenza borghese, finisce, infatti, con l’aprirsi al piacere estetico delle arti ( specialmente il cinema, l’arte figurativa, la musica), alla storia dei diversi popoli, alla geografia, alle scienze, come la medicina, l’astronomia, la sociologia. Ed Ignazio, nel suo riaffermare la vocazione alla scrittura, ribadisce il diritto ad un pensiero libero, onnivoro, autonomo, capace di rielaborare una nuova Etica, sganciata da ogni influenza metafisica e teologica, ma fondata esclusivamente su un’idea laica, sociale, “genetica” del Bene.
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Ma, a questo punto, è difficile sottrarsi alle riflessioni personali. Ovviamente non mi appello alle mie convinzioni religiose, perché comprendo benissimo che tale arma sarebbe non solo inefficace, ma del tutto erronea a sostenere un dialogo alla pari con l’autore. Mi pongo solo, sotto il profilo laico, il problema della libertà come diritto dell’individuo ad una scelta. Immagino che Apolloni abbia visto un “vecchio” film, che fa parte ormai del cinema cult, che è Arancia meccanica di Stanley Kubrick; in merito al quale il saggista Burgess scrisse che una creatura che può fare solo il bene o il male, ha l’apparenza di un bel frutto colorato e saporito, ma che interiormente è solo un giocattolo a molla, che può essere caricato da chiunque. E così, stando all’utopia di questo romanzo, il giocattolo-uomo, invece di essere caricato dallo Stato o da Dio, in cui per sua libera e rispettabilissima scelta l’autore non crede, finirebbe con l’essere caricato dalla Scienza. E’ vero che il fine dell’operazione del DNA sarebbe buono ed utile, ma io provo un certo fastidio nell’immaginare una specie di castrazione obbligatoria universale, anche se oggetto di tale operazione sarebbe il male. Difendo il male per difendere il bene, difendo il male per difendere il libero arbitrio, difendo il male affinché l’uomo trovi da solo, per convinzione e non per castrazione, la via del bene sociale secondo un libero percorso individuale. E, inoltre, pur estirpando il male dall’uomo, non resterebbe il male degli elementi della Natura, degli animali e delle cose stesse, spesso apportatrici di malattie e di morte? Che ne faremo di tutto questo male, come lo debelleremo? Mi trova d’accordo Ignazio, però, in un intervento mirato soltanto ad eliminare le malattie scritte nel DNA, poiché esse davvero ostacolano la libera crescita dell’uomo e il suo naturale diritto alla felicità. Il dna del gaudio non è pigmeo ? E tuttavia come negare in toto l’utopia di Ignazio se la nutro anch’io, ma sognandone un’altra via di realizzazione? Caro Ignazio, hai fatto bene a concludere il romanzo con la curiosa e spesso esilarante storia dei Pigmei, dove ritrovo tutto il tuo humour, il gusto dell’invenzione lessicale, lo sfasamento spazio-temporale e la fantasia, così che, leggendolo, mi sono dimenticata di Gustav. Però mi sono chiesta: che diavolo ci sta fare questa storia alla fine del tuo libro? Che cosa vuoi dire al lettore? Che gli uomini sarebbero rimasti dei pigmei senza l’apporto della scienza? Oppure la tesi opposta, che sembra deducibile da qualche passo, che in fondo gli uomini erano più felici quando vivevano in uno stato primitivo? O, ancora, che siamo ancora tutti dei pigmei di fronte al mistero di un universo in continua espansione, di fronte all’incredibile mutamento dell’umanità promesso dalla Scienza? A me, te lo confesso, è piaciuto vedere crescere questi pigmei centimetro dopo centimetro, lottando, commettendo e subendo male, facendo e ricevendo bene, ingegnandosi, inventando, cambiando, del tutto liberi di agire, persuasi della necessità d’ogni cosa: dai babbuini alle foto scattate loro ante-litteram. Che poi ci sia anche una stoccata al potere, di questo, sì, mi sono avveduta. Ed ho pensato anche che, se mutasse il modo di esercitare il potere politico, la società già starebbe meglio e sarebbe più buona.▬ by Franca Alaimo[i] DNA di IGNAZIOAPOLLONI, Edizioni Arianna, 2013.