Perché la colpa a qualcuno si deve dare.
Leggo oggi con un certo sconcerto un articolo in cui si afferma la necessità di imporre un un codice di condotta per i docenti che utilizzano i social network, in particolare Facebook. Nello specifico, la proposta avanzata dall’Osservatorio sui Diritti dei Minori al ministro dell’Istruzione, si basa sulla considerazione che l’autorevolezza di un docente di fronte alla classe possa essere messa in crisi a causa di Facebook o altri social network.
Le amicizie virtuali strette sembrano condurre a una confidenza sconveniente e a un tu non affatto pedagogico. Tale rapporto rischierebbe di alterare il rendimento in classe e i voti impartiti. Insomma i docenti è bene che stiano lontani dai social network o che utilizzino profili privati, immagino.
La società civile non è più capace di “dire i no”, ma chiede alla scuola di rafforzare la sua funzione regolativa-normativa, attraverso ricorrenti richiami a temi quali la responsabilità, i comportamenti, il profilo educativo, il progetto di vita, la persona. Certo.
E quindi è bene che Stefania Giannini si adoperi al più presto ” affinchè la presenza dei docenti sui social network venga ad essere regolamentata, con accorgimenti contemplanti anche la possibilità di verifica della condotta virtuale da parte delle istituzioni scolastiche a livello periferico e centrale”.
Bene. Dico … ma questi in una classe superiore di un Professionale ci sono mai entrati? Hanno idea di cosa sia lavorare con i ragazzi di una generazione che con i social ci è nata e cresciuta?
Catturare l’attenzione di una classe è una vera impresa. Se quando ho iniziato, circa 20 anni fa, lo sforzo era minimo, adesso l’attenzione spontanea se ti va bene ce l’hai da parte di tre/quattro studenti. Il resto è una lotta e una conquista quotidiana. I ragazzi di oggi non sono peggio di quelli di ieri, sono vulcanici e creativi ma la loro realtà è su un altro pianeta rispetto alla nostra. E i loro sogni soffocati da un pessimismo dilagante.
Parlare il loro linguaggio, usare i loro canali di comunicazione, farsi conoscere come esseri umani, prima che come educatori, permette di conquistarne la fiducia, creando una possibilità di scambio, di ascolto attivo. Questo non significa superare i limiti stabiliti dai ruoli ma creare un ambiente di apprendimento in cui si possa diventare competenti insieme, in un gruppo positivo, orientato ai risultati. Ho letto una volta una frase che mi è rimasta impressa: “In una vera comunità educativa ideale i ragazzi dovrebbero diventare i migliori tifosi della loro classe, gli insegnanti dovrebbero pensare che i loro allievi sono i migliori al mondo“.
E i miei alunni, che sono i migliori del mondo, sono in grado di riconoscere un rapporto di fiducia e stima.
Facebook, Instagram sono la loro normalità. Non discuto sul fatto che ciò sia giusto ma sicuramente è un dato di fatto, una realtà indiscutibile.
Ovvio che un discorso a parte merita chi fa un uso inappropriato dei social, con inserimento di immagini sconvenienti o con status offensivi e di cattivo gusto. Ma qui si entra in un’altra ottica a mio avviso. E se fossi un genitore non mi preoccuperei tanto dell’apparenza del docente in questione a FB, piuttosto dell’influenza che egli possa avere nei confronti mio figlio, in classe, durante le lezioni quotidiane.
Un like non renderà mai una proff meno autorevole ai loro occhi. Magari l’ambiguità o la poca trasparenza.
A mio avviso l’autorevolezza non si perde con l’appartenenza a FB. Sono iscritta a FB, Twitter, Instagram, Youtube e Pinterest, ma la prima cosa che cerco di insegnare ai miei studenti e come affrontare la giornata con il sorriso. Provo a insegnare loro a chiedere aiuto, ascolto e un abbraccio in caso di bisogno. E quando mi accolgono con un caloroso buongiorno o una lavagnata di cuori so bene che il loro canale di comunicazione è aperto. E i voti e il rendimento scolastico sono un’altra cosa.
Loro lo sanno, chi perde tempo in queste scemenze forse no.
If we teach today’student as we taught yesterday’s we rob them of tomorrow
A presto. Sa
♥♥♥