Recentemente ho pescato Remain in memory, il live di addio dei Good Riddance, registrato a Santa Cruz nel 2007 in occasione dell'ultima data prima dello scioglimento della band. Fosse stata una robaccia da Campovolo ci avremmo riempito pagine di giornali, prodotto quadrupli CD e registrato magnifici DVD con inserti speciali da non perdere (Ligabue caga! Ecco come nel backstage di Campovolo 2.0! Disponibile anche in 3D e in odorama!). Invece siamo di fronte a 4 ragazzini americani che nei primi anni 90, forse nemmeno troppo disgustati dagli 80, prendono chitarra e ampli e attaccano con un po' di hardcore. Le radici sembrano essere quelle della vecchia scuola newyorkese, le melodie sono però le più tipiche della costa occidentale americana o meglio della California, quella che vantava qualche fan in più grazie al successo ottenuto dall'American Jesus dei Bad Religion. Good Riddance sta per Buona Liberazione... una volta una ragazza mi disse che sarebbe stata la frase che avrei pronunciato dopo averla, finalmente, lasciata. Mi lasciò lei, qualche anno più tardi, a conferma di quello che tutti i maschietti del mondo pensano: se una donna dice che la lascerete vi lascerà, se dice che la tradirete vi tradirà. Anzi, lo sta già facendo, entrate nel suo account di posta elettronica e lo scoprirete. Sappiate però che è illegale (violare l'account di posta, non tradire).
Ma rimaniamo ai Good Riddance? Ok, storia poco interessante da raccontare quella di Russ Rankin (voce, vegano, salutista, il mio ideale di uomo insomma, a volte è un peccato non essere nato donna) e Luke Pabich (chitarra e poco più da quel che ne so) che come al solito frequentano lo stesso liceo, suonano insieme, hanno una band e, a un certo punto, incontrano Chuck Platt (basso e brutto, ove basso sta per lo strumento musicale...) e Sean Sellers (batteria e idolo delle ragazzine e delle alte velocità dell'HC californiano) mollano la vecchia band e formano i Good Riddance. Siamo intorno al 1993 quando nasce una delle migliori band per l'hardcore melodico (triste definizione in realtà) californiano, pronti a riempire le orecchie di giovani pogatori con materia energetica e testi mai banali. Non c'è il solo confronto con la società e i suoi mali come ci si potrebbe aspettare da una punk band "impeganata", ma si va anche verso le derive della mente umana, di una società allo sfascio e le biografiche problematiche di Rankin, troppo cresciuto per la sua età, troppo serio e troppo incazzato a volta, anche se profondamente innamorato sempre di una donna diversa, in ogni cazzo di album. Allora Russ chiariamoci, non è che a mangiare solo erba si ha il diritto di mentire costantemente alle donne attraverso la musica. Right?
Il primo album è For god and country del 1995 e siamo già alla pietra miliare. La voce di Rankin catalizza tutto, è potente e gratta appena sulla carta vetrata con le corde vocali. I pezzi sono convincenti, contro i pregiudizi della società americana dei ricchi, bianchi e razzisti (o sessisti). Ma c'è spazio per tutto, non è solo un album contro, è un album anche interiore e non sbaglia un pezzo. Pur se allineato con le musiche in voga nella Southern California di allora con grande ispirazione verso maestri come i Bad Religion, i Good Riddance riescono a mettere una forza impressionante nei loro pezzi accompagnando magistralmente la voce inconfondibile di Russ R. L'album non sbaglia praticamente nemmeno una traccia e quando accendi la TV o la radio e 'sta roba non passa mai capisci di vivere nel mondo sbagliato. Se qualcuno mai volesse capire perché negli anni 90 nascevano tante ottime band e tanti ottimi album questo è un buon inizio.
La produzione del quartetto viaggerà sempre sotto l'etichetta di Fat Mike (NOFX), la Fat Wreck Chords. Visti dal vivo (5 o 6 volte) i GR non perdono un colpo. Rankin è un devoto salutista che rompe le notti nei locali con forza e convinzione, Sellers brucia pelli e disintegra le proprie mani senza perdere colpi, mentre Pabich e Platt accompagnano tutto con ordine militaresco. In realtà nel primo album la batteria spetta a tale Rich McDermott, dimenticato (e a quanto pare dimenticabile) batterista che temo di non aver mai visto in tour coi 4 ragazzi di... Santa Cruz. For god and country manda una dopo l'altra Flies First Class (quando una carriera in studio comincia così dove te ne vuoi andare, poga tua nonna e attento a non pestare il gatto), All fall down, United Cigar, Mother superior, Wrong again, October, intervallate da pezzi eccellenti che non toccano però i picchi di quanto citato sopra. Dodici tracce per ricordare alla gente di allora che se il punk è morto l'hardcore è piuttosto in salute.
Non per tutti le frenetiche ritmiche di questo genere, del resto non tutti fanno una vita da mediano o si spappolano il fegato; qualcuno mangia solo soia e corre come un centometrista, componendo roba che ha il ritmo di un Bukowski e le parole di un Chomsky. Mica cazzi se ci pensate. Mica cazzi.
Segue A Comprehensive Guide To Moderne Rebellion (1996), 17 pezzi (18 sul CD con un bonus) meglio arrangiati e prodotti rispetto al precedente lavoro. Prevalgono i pezzi con maggior melodia rispetto agli altri, la quantità non genera necessariamente qualità, anche se rimangono subito tra le mani pezzi come Steps, Favorite son, Last believer, Up & away e la magnifica Think of me, ossia come scrivere una canzone d'amore senza perdersi in cazzate: 2 minuti e 8 secondi di passione per una donna che non c'è più, non dove dovrebbe stare almeno, 2 minuti e 8 secondi di potenza, poche parole per far capire. E i temi del grande pop italiano vanno definitivamente in vacca. Dueminutieottosecondi per ricordare come sia doloroso amare talvolta, anche se questo ci dà adrenalina e ci fa correre più forte (che tanto il mondo gira sempre alla stessa velocità, no?)
Ballads from the revolution (1998) e Operation Phoenix (1999) chiudono il millennio e i magnifici anni 90 senza davvero ripetere le imprese dei due precedenti album anche se la teen punk song Jeannie contenuta nel primo merita un passo di danza con la vostra amata... magari proprio quella che non vi ama più o non vi ha mai amato ma che cazzo ve ne frega, a volte una canzone è solo una canzone e una donna soltanto una donna. Rendetela la vostra Jeannie per una volta. I GR rimangono però uno spettacolo live da non perdere e l'energia non accenna a calare. La solita marea di EP, compilation e split album arriva a non far mancare comunque pezzi di grande livello anche al di fuori dalle uscite "tradizionali" (segnatevi Not so bad dall'EP Gid Get), ma con Symptoms of a leveling spirit (2001) la band torna a crescere di livello in modo straordinario (Pisces è una delle cose migliori mai uscite dalle "finte" ballads americane, incollata all'ottima Almost Home e se vostra nonna è stanca due passi con Yesterday Headlines). Le melodie sembrano riprendere una importanza superiore al recente passato e ne escono 14 tracce (15 su CD con la solita cover...) di ottima fattura. All'interno Scott Niedermayer dei New Jersey Devils posa con la Stanley Cup in "divisa" Good Riddance. Idolo assoluto. Se non avete capito quest'ultimo passaggio usate Google, non siamo negli anni 90.
Arriva poi Bound tues of blood and affection (2003) che riporta, al contrario, più potenza ai suoni veloci e regala la splendida More DePalma Less Fellini tutta confezionata da Luke Pabich. Nel 2006 è il momento di My Republic e si torna definitivamente ai livelli del primo album.
Dopo tre anni passati da Russ R a seguire più il progetto parallelo (o side project, se volete fare gli americani) degli Only Crime, un ritorno atteso e di livello immenso. La potenza del SoCal hardcore dei Good Riddance tocca vette eccellenti, mentre Rankin, ormai uomo, ormai disilluso, regala testi di rabbia politica e frustrazione nervosa puntando alla rivincita, incitando la libertà. Soprattutto di pensare, di vivere, di amare. Di combattere la quotidianità. Le melodie si sposano in maniera eccellente con le velocità dei pezzi e regalano grandi momenti anche quando il ritmo scende di livello lasciando spazio alla voce di Russ R, sempre più esaltante. Out of mind apre le danze, segue l'ottima Texas, la magnifica Shame (un piccolo must), ma è difficile non nominarle tutte. Certo non si può non citare Boise. O Broken. E non si può non dire che con questo magistrale ritorno i Good Riddance chiudono la partita. Fine della storia. Le belle cose durano sempre un attimo, come Think of me. Poi, però, restano per sempre.
Nel 2007 i regaz registrano dal vivo Remain in memory e spaccano di nuovo le chiappe. La registrazione è ottima, la scelta dei pezzi eccellente. Uno, volendo, potrebbe anche cominciare da qui. Uno, anche se non è più ragazzino, dovrebbe ascoltare almeno una volta nella vita questa roba. Uno potrebbe anche non aver capito niente. E infatti io sono qua per questo. E intanto il nuovo decennio si apre senza Good Riddance.
Fatto uno vediamo se Dodici pezzi riesce a diventare una rubrica. Nel prossimo numero: Pupo. Altrimenti fa lo stesso, questo almeno prima che i Maya si incazzino l'ho fatto. E, nel frattempo, li ho ascoltati... e posso dire che rimanere fermi sulla sedia è sempre piuttosto difficile. Quanto sarebbe piaciuto a mia nonna...
Dodici pezzi...
Lato A
1 - Flies first class
2 - United Cigar
3 - October
4 - Steps
5 - Favorite Son
6 - Think of me
Lato B
1 - Made To be Broken
2 - More DePalma Less Fellini
3 - Almost Home
4 - Texas
5 - Boise
6 - Shame
Buona Liberazione