Magazine Religione
Capitolo II
– II –Dio vuole che Gesù sia la Vita delle opereLa scienza va giustamente fiera delle sue enormi conquiste. Ma una cosa le fu finora e le sarà per sempre impossibile: creare la vita, far uscire dal laboratorio chimico un chicco di frumento o una larva. Il clamoroso fallimento dei difensori della generazione spontanea ci ha istruito su tale pretesa.Iddio riserva per sé il potere di creare la vita.Nel regno vegetale od animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, sebbene la loro fecondità si realizzi solo nelle condizioni stabilite dal Creatore. Quando però si tratta della vita ntellettuale, Dio la riserva a sé ed è Lui stesso che crea direttamente l’anima ragionevole. V’è tuttavia un altro ordine di cui è ancora più geloso ed è quello della vita soprannaturale, poiché essa è emanazione della Vita divina comunicata all’Umanità dal Verbo Incarnato.L’Incarnazione e la Redenzione stabiliscono Gesù Cristo come Sorgente, e Sorgente unica, di quella vita divina alla quale tutti gli uomini sono chiamati a partecipare. «Per il Signore nostro Gesù Cristo: per Lui, con Lui ed in Lui» (dalla Liturgia). Il compito essenziale della Chiesa sta nel diffondere questa vita mediante i Sacramenti, la preghiera, la predicazione e tutte le opere che vi si connettono.Dio non fa nulla se non mediante suo Figlio: «Tutto è stato fatto per mezzodi Lui, e senza di Lui non è stato fatto nulla di ciò che esiste» (Gv. 1, 3). Ciò è vero nell’ordine naturale, ma molto di più nell’ordine soprannaturale, dovesi tratta di comunicare la sua vita intima e di far partecipare agli uomini la sua natura trasformandoli in figli di Dio.«Sono venuto affinchè ricevessero la vita. Io sono la vita. In Lui era la vita»(Gv. 10, 10; Gv. 14, 6; Gv. 1, 4). Che precisione in queste parole! Quanta luce nella parabola della vite e dei tralci, in cui il Maestro sviluppa questaverità! Quanta insistenza per imprimere nello spirito dei suoi Apostoli questoprincipio fondamentale – Lui solo, Gesù, è la Vita – e questa conseguenza: per partecipare a questa vita e comunicarla agli altri, essi per primi devono essere innestati sull’Uomo-Dio! Gli uomini chiamati all’onore di cooperare col Salvatore per trasmettere alle anime questa vita divina, devono perciò considerarsi come semplici canaliincaricati di attingere a questa unica Sorgente.L’uomo apostolico che, misconoscendo questi principi, credesse di produrre il minimo vestigio di vita soprannaturale senza attingerla totalmente dal Cristo, farebbe pensare che la sua ignoranza teologica sia pari solo alla sua sciocca presunzione.Se l’apostolo, pur riconoscendo in teoria che il Redentore è la causa primordiale di ogni vita divina, in pratica però dimenticasse tale verità e,accecato da una folle presunzione che è un’ingiuria verso Gesù Cristo, facesse affidamento soltanto sulle proprie forze, sarebbe un disordine meno grave del precedente, ma sempre insopportabile agli occhi di Dio.
Respingere la verità o farne a meno nell’agire, è pur sempre un disordineintellettuale, sia esso dottrinale o pratico.
E’ la negazione di un principio chedeve informare la nostra condotta. Il disordine si aggraverà, evidentemente,se la verità, invece di potersi irraggiare, trova il cuore dell’uomo di azione inopposizione al Dio di ogni luce, per colpa del peccato o per tiepidezza volontaria.
Il comportamento di chi si occupa delle opere come se Gesù non fosse l’unico principio di vita, veniva bollato dal cardinale Mermillod come «eresia dell’azione». Con tale espressione, egli condannava l’aberrazione d’un apostolo il quale, dimenticando che il suo ruolo è secondario e subordinato,si attende i successi del suo apostolato unicamente dalla sua attività personale e dalle sue capacità.Non è questo una negazione pratica di una gran parte del Tractatus de Gratia? Ripugna a prima vista una simile conseguenza, ma a ben pensarci è fin troppo vera.
«Eresia dell’azione»! L’attività febbrile che si sostituisce all’azione di Dio; la Grazia misconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù Cristo;la vita soprannaturale, la potenza della preghiera e l’economia della Redenzione relegate, almeno praticamente, fra le astrazioni: sono un caso tutt’altro che immaginario e che la conoscenza delle anime rivela essere frequentissimo, benché in gradi diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto in base alle apparenze ed agisce come se il successo di un’opera dipendesse principalmente da un’ingegnosa organizzazione.
Anche prescindendo dalla Rivelazione, al solo lume della filosofia, non sipotrebbe che commiserare un uomo mirabilmente dotato, che si rifiutasse diriconoscere Dio come il principio dei magnifici talenti di cui è dotato.
Cosa proverebbe un cattolico istruito nella religione, vedendo un apostoloche ostenta, almeno implicitamente, la pretesa di comunicare alle anime ilsia pur minimo grado di vita divina, facendo a meno di Dio?«Ah, insensato!», esclameremmo nell’ascoltare un operaio evangelico cheosasse dire: «Mio Dio, non suscitate ostacoli alla mia impresa, non venite adintralciarla, ed io m’incaricherò di condurla a buon fine».
Il nostro sentimento sarebbe soltanto un riflesso dell’avversione provata da Dio alla vista di un tale disordine, alla vista di un presuntuoso che spingesse il suo orgoglio fino a voler dare la vita soprannaturale, produrre la fede, debellare il peccato, condurre alla virtù, infervorare le anime con le sole forze proprie e senza attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e sovrabbondante del Sangue divino, ch’è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e d’ogni vita spirituale.
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