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Dominus illuminatio mea. Ultime cronache dalla campagna inglese.

Creato il 14 agosto 2011 da Unarosaverde

Dominus illuminatio mea. Ultime cronache dalla campagna inglese. Ad onor del vero Oxford non e’ campagna. Il confine tra nucleo urbano, campi e  boschi rimane pero’ indefinito nei chiostri dei college ingentiliti dai fiori dove cervi e  daini riposano sotto le querce secolari, i salici allungano le fronde a lambire le  acque del Cherwell, i giardinieri raccolgono l’erba tagliata dai lunghi prati in balle  rotonde di fieno. Le strade pullulano di turisti e studenti stranieri ma, dietro i portoni  di accesso, regnano quiete e silenzio.

 Riferimenti, non solo letterari, trasudano da  ogni pietra. Alice e la regina di cuori,  C.S.Lewis, Tolkien, l’ispettore Morse, Mr.  Chips, politici, premi nobel, location dei film di Harry Potter: qualunque sia  l’interesse, sacro o profano, si può’ essere sicuri che qualche grande e’ passato da qui.

Ho fatto il pellegrinaggio sui luoghi di Dorothy Sayers per scoprire subito che l’unica targa blu che mi sia mai interessato fotografare e’ nascosta da un ponteggio: ma proprio adesso si dovevano mettere a rifare la canonica di Christ Church?!
Ho peregrinato tra i college più’ famosi e gironzolato tranquilla nelle sale dell’Ashmolean Museum. L’apice dei due giorni di visita l’ho raggiunto al piano superiore della Divinity School, tra gli scaffali dell’antico primo nucleo della biblioteca bodleiana. Per me il fascino del luogo non risiede solo nel posto in se’, tra i dorsi degli antichi libri, le scalette dei soppalchi, ciò’ che resta del sistema pneumatico di prenotazione dei volumi e le nicchie per la lettura, ma anche nell’immaginare l’importanza che ha avuto nella storia della conoscenza.

Penso agli anni necessari ad accumulare prima i manoscritti e poi i libri stampati, specialmente nei periodi in cui la loro diffusione era tutto tranne che capillare, penso alle catene agganciate alle copertine perché’ nessuno portasse via documenti preziosi, alla difficoltà’ per accedere a questi luoghi, consultare le opere e proteggerle dalla fiamma delle candele, dal logorio del tempo e degli insetti, penso alle sale e ai sotterranei e agli edifici stipati di testi di cui adesso si compone la biblioteca. Penso al mio ipad, su cui sto scrivendo, seduta in aeroporto, pronto per migliaia di ebook, dal quale, con un click, ho accesso ad un pozzo di informazioni infinite. Sono nata in una generazione di mezzo: subisco il fascino sottile delle lettere incise sui dorsi di cuoio, dell’odore della carta e della bellezza di certe edizioni e, nello stesso tempo, non riesco a resistere al richiamo della tecnologia. Quale vale di più’? Non saprei decidere, non mi pongo il problema. Godo di entrambi e mi ricordo che, fondamentalmente, per me la cosa importante e’ continuare ad imparare parole che rimangano a lungo nella mia testa e mi possano fare compagnia per la maggior parte del tempo possibile.

Dominus illuminatio mea. Ultime cronache dalla campagna inglese.
 Nel quadrilatero della bodleian c’e’ la statua di un benefattore: sul basamento che la sorregge si vede uno  stemma, a forma di libro aperto, un angolo di pagina ripiegato, e le parole del titolo di questo post in  rilievo. C’e’ una storia, dietro questo motto, così’ come per ogni grifone, statuina, portone, cappella,  bassorilievo, torre, strada che compongono questa città’ che ha reso se stessa un crogiolo di aneddoti che  si perde lontano nei secoli.

 E adesso sono a Stansted, seduta ad aspettare il mio volo che decollerà’ in tarda serata: sul far del  mezzogiorno la mia compagnia dell’anello ha perso uno hobbit. Proseguirà’ nel suo cammino verso  Londra: io torno a casa. Rimarrò’ qui qualche ora a leggere, ad osservare il campionario affamato,  assetato, annoiato, agitato di umanità’ itinerante che mi circonda, moderno caravanserraglio, mentre  ripenserò’ alla settimana trascorsa e abbozzerò progetti per l’autunno. Torno e riparto: da martedì ci  saranno sole, mare e pisolini pigri tutti italiani.


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