Memorie dell’Oratorio
Scuole di Chieri
Finalmente fu presa la risoluzione di recarmi a Chieri ove applicarmi seriamente allo studio. Era l’anno 1830. Per chi e allevato tra boschi, e appena ha veduto qualche paesello di provincia prova grande impressione di ogni piccola novità. La mia pensione era in casa di una compatriotta, Lucia Matta, vedova con un solo figlio, che si recava in quella città per assisterlo e vegliarlo.
La prima persona che conobbi fu il sacerdote D. Eustachio Valimberti di cara ed onorata memoria. Egli mi diede molti buoni avvisi sul modo di tenermi lontano dai pericoli; mi invitava a servirgli la messa, e ciò gli porgeva occasione di darmi sempre qualche buon suggerimento. Egli stesso mi condusse dal prefetto delle scuole, mi pose in conoscenza cogli altri miei professori. Siccome gli studi fatti fino allora erano un po’ di tutto, che riuscivano quasi a niente, così fui consigliato a mettermi nella sesta classe, che oggidì corrisponderebbe alla classe preparatoria alla la Ginnasiale.
Il maestro di allora, T. Pugnetti, anch’esso di cara memoria, mi usò molta carità: Mi accudiva nella scuola, mi invitava a casa sua e mosso a compassione dalla mia età e dalla buona volontà nulla risparmiava di quanto poteva giovarmi.
Ma la mia età, e la mia corporatura mi faceva comparire come un alto pilastro in mezzo ai piccoli compagni. Ansioso di togliermi da quella posizione, dopo due mesi di sesta classe, avendone raggiunto il primo posto, venni ammesso all’esame e promosso alla classe quinta. Entrai volentieri nella classe novella, perché i condiscepoli erano più grandicelli, e poi aveva a professore la cara persona di D. Valimberti. Passati altri due mesi essendo eziandio più volte riuscito il primo della classe, fui per via eccezionale ammesso ad altro esame e quindi ammesso alla quarta, che corrisponde alla 2a Ginnasiale.
In questa classe era professore Cima Giuseppe; uomo severo per la disciplina. Al vedersi un allievo alto e grosso al par di lui, comparire in sua scuola a metà dell’anno scherzando disse in piena scuola: «Costui o che è una grossa talpa, o che è un gran talento. Che ne dite?» Tutto sbalordito da quella severa presenza: «Qualche cosa di mezzo – risposi – e un povero giovane, che ha buona volontà di fare il suo dovere e progredire negli studi».
Piacquero quelle parole, e con insolita affabilità soggiunse:
«Se avete buona volontà, voi siete in buone mani, io non vi lascierà inoperoso. Fatevi animo, e se incontrerete difficoltà, ditemele tosto ed io ve le appianerà».
Lo ringraziai di tutto cuore.
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