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Don Ciotti: mafia, la cultura sveglia le coscienze

Creato il 14 novembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Don Ciotti parla chiaro, in modo diretto: è la cultura che sveglia le coscienze. Il suo ammonimento risuona per tutta la chiesa Beata Maria Vergine delle Grazie, dove è intervenuto giovedì sera in un dibattito sul rapporto fra la mafia e la legalità. È necessario, spiega, che ci sia un verbo, e non una congiunzione, tra queste due parole: responsabilità è conoscenza. Per combattere la mafia bisogna conoscerla, le armi sono la cultura e l’informazione critica. Ci sono sei milioni di analfabeti in Italia, rivela don Ciotti: tutta questa ignoranza favorisce la mafia. L’educazione è una dimensione profonda e irrinunciabile: va coltivata, favorita, promossa. Ed è in questa direzione che don Ciotti si è sempre mosso. Cinquemila scuole aderiscono al progetto di Libera, associazione fondata nel 1995, nata con l’intento di coordinare e sollecitare l’impegno della società civile contro tutte le mafie. L’educazione alla legalità deve essere un percorso che unisce e responsabilizza, perché mai come adesso è fondamentale un risveglio delle coscienze.

Ma che cosa significa legalità? Don Ciotti è amareggiato: “legalità” è una parola sulla bocca di tutti, anche se molti scelgono quella malleabile e sostenibile; è una parola abusata, anche da chi vorrebbe applicarla a tutti tranne che a sé stesso. La responsabilità individuale è la premessa della legalità: tutti noi, chiarisce, siamo chiamati a fare la nostra parte, a essere segno di speranza. La giustizia sociale, invece, è l’orizzonte della legalità, è quel punto di riferimento che non va mai perso di vista. Senza questa premessa e senza questo orizzonte, la legalità perde significato. Il vero problema, continua don Ciotti, non sono solo i poteri illegali, ma qui poteri legali che si muovono illegalmente.

Dopo questo excursus sulla legalità, don Ciotti si ferma, guarda il pubblico e pone a bruciapelo questa domanda: quanti di voi sanno che in realtà la mafia è nata al nord? In risposta a mormorii perplessi, snocciola alcuni dati storici: la famiglia dei Corleonesi, per esempio, ha un’origine bergamasca e bresciana, proviene da un gruppo di ghibellini lombardi che nel 1237 ha ripopolato la Sicilia dopo la cacciata degli Arabi. Vedete, riprende, ecco perché è importante documentarsi, studiare il crimine organizzato. La mafia non è un mondo a parte, ma parte del mondo: la Camorra esiste da 400 anni, Cosa Nostra da 150, la ‘Ndrangheta da 120. La loro storia deve essere conosciuta e denunciata. Don Ciotti lancia l’allarme: le mafie sono tornate forti. In questo periodo di fragilità e di crisi, le mafie sono le uniche ad avere una grande quantità di denaro (sporco); questa liquidità garantisce potere, i boss stanno mettendo le mani su tutti i beni agro-alimentari.

Ma il cambiamento è possibile, grida don Ciotti, la speranza è di tutti. La conclusione è veemente: «il problema non è Totò Riina che vuole ammazzarmi. Il problema non è Roberto Saviano, un uomo di grande coraggio che va sostenuto. Il più grande problema per la mafia non siamo io e lui, ma siamo noi. Sì, perché la nostra non è una lotta solitaria: la nostra è una lotta condivisa. Noi, tutti noi, informati e responsabili, noi, insieme, facciamo paura alla mafia».

Tags:cultura,don ciotti,educazione,Legalità,mafia,torino

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