Esattamente quarant’anni fa a Brescia, una bomba, straziava le carni di centodieci sfortunate persone, uccidendone otto. L’evento, noto con il nome di strage di Piazzale della Loggia, è uno dei tanti crimini rimasti a tutt’oggi impuniti nell’ambito della strategia della tensione. Gli storici situano questa strategia nel periodo che va dalla strage dell’Agenzia milanese della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969 sino alla strage della stagione di Bologna, avvenuta il 2 Agosto del 1980.
Ma non tutti sono concordi e, d’altronde, come ogni rigida categoria storica, anche questa classificazione risulta indicativa e non vincolante.
In effetti più di un commentatore ha osservato come facciano parte della stessa strategia, tendente come noto a destabilizzare l’Italia democratica, al fine di giustificare una involuzione autoritaria (affermatasi con le leggi repressive ispirate da Francesco Cossiga nel 1980 e confermate a furor di popolo in un referendum del 1981), anche le stragi di Capaci e di via d’Amelio ( in cui morirono Falcone, Morvillo, la loro scorta e Borsellino) e le bombe agli Uffizi di Firenze e a Maurizio Costanzo del terribile biennio 1992-1993 (famigerato per il crollo della Prima Repubblica, avvenuto sotto i colpi del pool Mani Pulite della Procura di Milano).
Ma i misteri della Repubblica Italiana partono da più lontano.
La prima data da ricordare è la strage di Portella della Ginestra (che avvenne il 1 maggio 1947 ad opera di Salvatore Giuliano) e l’intrigo si snoda attraverso dei percorsi contorti e tuttora tutti da districare, ma i cui snodi indiscutibili sembrano essere la morte di Enrico Mattei, quella del giornalista de Mauro e l’assassinio di Pier Paolo Pasolini.
Quest’ultimo, prima di morire, dichiarò di conoscere i nomi dei mandanti delle stragi di Piazza Fontana e di Piazzale della Loggia.
E la morte di P.P. Pasolini mi fa venire in mente un’altra morte misteriosa, un altro omicidio barbaro e impunito di un uomo mite che sapeva tanto: parlo di don Emilio Gandolfi.
Don Emilio Gandolfi, all’epoca del suo feroce assassinio (siamo già nel 1999), svolgeva funzioni di parroco a Vernazza, nelle Cinque Terre; i suoi carnefici, tuttora sconosciuti, lo massacrarono di botte, sino alla morte, nella sua canonica.
Chissà come e chissà perché, le brutali modalità del suo omicidio (l’aggressione, la rottura delle costole, la mancanza di testimoni, il pestaggio, il ritrovamento in una posizione di inerme difesa, l’accanimento immotivato contro una persona mite di carattere) mi hanno subito fatto pensare all’assassinio del grande poeta e regista friulano.
Certo le due personalità erano, per molti versi, assai differenti; ma due cose avevano certamente in comune le due vittime della ferocia umana: entrambi erano due impegnati e profondi intellettuali; entrambi erano depositari di segreti attinenti agli eventi nefasti della strategia della tensione ed ai burattinai che, celati dietro cortine protettive di varia natura, ne tiravano le fila.
La storia personale e l’impegno pastorale di don Emilio Gandolfi, in effetti, lascia supporre più d’un collegamento con il’ 68 e, soprattutto, con le pagine oscure del terrorismo (di destra e di sinistra), che fu il folle prosieguo nonché il tragico epilogo di quella stagione della nostra recente storia, peraltro piena di speranze, di candide illusioni e di trucide contraddizioni.
Egli aveva insegnato nel liceo Virgilio, frequentato a Roma da tanti giovani che proprio in quegli anni si preparavano a vivere quella irripetibile stagione di rivoluzioni e controrivoluzioni che in Italia, terra di confine ideologico tra i due blocchi contrapposti della guerra fredda, divenne diabolico laboratorio di trame segrete e teatro di lotte aperte tra chi la rivendicava al Patto Atlantico e chi, invece, la voleva con il Patto di Varsavia e con la limitrofa Juogoslavia del Maresciallo Tito.
In tale contesto politico e culturale don Emilio fu un sacerdote progressista e anomalo; di quelli che non sono mai andati a genio ai vertici della CEI e del Vaticano; quei sacerdoti che non puntano a far carriera ma vivono il Vangelo tra gli ultimi, tra gli atei e i pubblicani e non disdegnano di tentare di redimere tossici, prostitute e terroristi allo sbando.
Ma cosa sapeva don Emilio Gandolfi di tanto scottante da indurre i suoi assassini e i suoi mandanti ad ucciderlo? Di quali segreti sconvenienti e pericolosi era depositario? Perché anche questo delitto è rimasto impunito e i suoi esecutori non identificati?
Qui non si tratta di complottismo o di cercare un grande vecchio! A parte che i grandi vecchi (ammesso che siano mai esistiti) sono quasi tutti morti. Qui si tratta di far luce sull’ennesimo delitto rimasto impunito.
E’ troppo chiedere alle istituzioni che si indaghi su un assassinio inspiegato e apparentemente inspiegabile?
Con questo articolo intendo chiedere verità e giustizia sulla morte di don Emilio Gandolfi.