QUESTA VIGNETTA NASCE PER GIOCO, DOPO CHE IL VATICANO HA ESPRESSO LA SUA IDEA SUL FAMOSO “CASO RUBY”! Dall’editoriale di Marco Politi, vaticanista de Il Fatto, fino al pezzo in prima pagina di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, i giornali di giovedì 20 gennaio invocavano, o attendevano, un intervento della Santa Sede che puntualmente si è materializzato nel segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il numero due del Vaticano, il più stretto collaboratore di Papa Ratzinger, ha usato parole chiare e perfettamente in linea con gli auspici espressi dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nell’ordine il richiamo, anzi l’invito a «un impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità». Perché «moralità, giustizia e legalità siano i cardini di una società che vuole crescere». La preoccupazione è l’immagine che si trasmette alle famiglie e alle giovani generazioni, da sempre oggetto di attenzione e premure da parte della Chiesa.Il cardinal Bertone non ha mai chiuso, in passato, le porte del dialogo con l’attuale governo. Si sa che il primo interlocutore per le questioni delicate Stato-Chiesa è Gianni Letta, stimatissimo oltre Tevere (e non solo). È lui che in passato ha compiuto “miracoli” nel ricucire i rapporti con il Vaticano e la Chiesa italiana. Basti solo pensare alla cerimonia della Perdonanza a L’Aquila il 27 agosto 2009 quando, per volere del Vaticano, saltò la cena tra il segretario di Stato Bertone e il premier Berlusconi e il capo del Governo venne sostituito proprio dall’abruzzese Letta. Erano quelli i giorni delle pesanti accuse de Il Giornale al direttore di Avvenire Dino Boffo con l’invito da parte della Chiesa, pubblicato da L’Osservatore Romano, a non essere coinvolta in situazioni politiche contingenti. I contatti, gli incontri si sono ripetuti anche con cene informali, come quella a casa di Bruno Vespa con commensali Berlusconi, Bertone e altre autorevoli figure istituzionali come il governatore Mario Draghi.Quanto sta avvenendo in questo periodo è cosa ben diversa rispetto al passato: lo testimoniano gli editoriali del direttore de L’Avvenire Marco Tarquinio, quelli del direttore del Sir, l’agenzia stampa della Conferenza episcopale italiana (Cei), Paolo Bustaffa, e le dichiarazioni del presidente della Cei Angelo Bagnasco. L’arcivescovo di Genova avrà gli occhi puntati lunedì 24 gennaio quando, con il suo discorso, aprirà i lavori del consiglio permanente della Cei. Più volte Bagnasco, nel recente passato, ha invocato una nuova stagione della politica, con un rinnovato impegno dei cattolici in quella che Paolo VI chiamava «la più alta forma di carità». Bagnasco ha chiaramente auspicato che nuove figure di cattolici, in particolare giovani, decidano di impegnarsi per il bene del Paese. Dietro queste parole non è corretto leggere una preferenza di campo. Sono finiti i tempi dell’unità politica dei cattolici, anche se molti presuli italiani non vedrebbero di cattivo occhio il ritorno a una politica di centro moderata, avendo per ora mal ingoiato un bipolarismo che ha provocato la diaspora dei cattolici.
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