Ieri Alessandro Di Battista, il più grande istrione tra i «cittadini» rappresentanti del Movimento 5 stelle alla Camera, è apparso in collegamento a Servizio Pubblico, il talk condotto da Michele Santoro. Nel suo intervento ha attaccato Pd e Pdl – incredibile a dirsi – e difeso la linea di intransigenza del suo partito, senza evitare di concedersi qualche nota sopra le righe.
All’annuncio del suo nome il pubblico, apparentemente in prevalenza grillino, si è lasciato andare a espressioni di giubilo e grida di felicità, come se si trattasse di un eroe nazionale dai meriti indiscutibili. Forse galvanizzato da questa accoglienza, Di Battista non ha deluso le attese. Tra le altre cose, ha sostenuto che «questa Repubblica è nata anche dalla trattativa Stato-mafia» (una trattativa mai appurata, ma tant’è), «l’immoralità è come il letame, si deve trattare con la pala» e definito – probabilmente dimenticando la storia del leader-padrone del suo partito – l’incontro tra Berlusconi e Renzi come un’intesa tra «due condannati».
Ma non è tanto questo, ad avermi fatto storcere il naso. La frase in assoluto peggiore che ho sentito pronunciare al deputato grillino è un’altra: «Io sarei disposto a morire per questo Paese». E non tanto per il suo tono intrinsecamente populista e strappa-applausi (che infatti ha strappato), né per l’assunto manicheo e scorretto che vi sta dietro – “noi siamo i Buoni, quelli che tengono all’Italia, mica come gli altri” (in fondo non è altro che una riedizione de «l’Italia è il Paese che amo», se ci pensate).
No: il vero problema, il senso istintivo di fastidio verso ciò che ho sentito deriva dall’insopportabile leggerezza con cui è stato pronunciato, tra un facile applauso e un «abbiamo preso 9 milioni di voti senza soldi, senza la mafia dietro, senza la massoneria». Come se si trattasse di un semplice rafforzativo del concetto espresso, e non di ciò che è realmente: una chiamata alle armi per i coscritti dell’esercito dell’anticasta, degli anti-sprechi, dell’antieuro, dell’anti-tuttociòchenonpiaceanessuno. Una narrazione del genere, pur superficiale ed estremizzante come evidentemente è, non può portare nulla di buono.
Prima di parlare di cedere la vita in favore di una causa – fuori luogo sia perché non è troppo chiaro quale sia la «causa» animante il M5S, sia perché il luogo deputato a favorire il Paese è quel parlamento in cui lui e sodali si ostinano a fare gli oltranzisti – è meglio suggerire a Di Battista di diminuire il tempo dedicato ai selfie su Facebook e aumentare quello del dialogo e dell’iniziativa politica.
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