Non è una cosa a cui si pensa molto, durante gli anni di università. O almeno non io: quando mi proiettavo nel futuro lavorativo mi figuravo le difficoltà nel ricordare i farmaci e le procedure per i diversi tipi di patologie (vere), le difficoltà nella gestione dei rapporti umani con i pazienti (vere), le difficoltà a sostenere orari di lavoro anche pesanti e incuranti di domeniche e festività (vere). Ma sinceramente non avevo mai pensato che questa piccola clausola inserita nel codice deontologico della mia come di mille altre categorie avrebbe potuto crearmi difficoltà: il segreto professionale.
L’altro motivo è che a volte scopro invece storie difficili, tristi anche, e se mi volessi allargare alla sfera sovrumana, forse pure un po’ ingiuste. E avrei voglia di confidarmi con qualcuno. Non ho nessun motivo specifico per farlo, niente che possa giustificare una trasgressione ai miei obblighi insomma, anche se una chiacchierata mi farebbe bene. Ma ovviamente me lo terrò per me. Anche a questo non avevo mai pensato.
E poi, tante volte ci sono delle storie che vorrei raccontare, solo perché sono storie interessanti, o curiose, o perchè mi han fatto riflettere su qualcosa, ma ogni volta devo trattenere l’istinto e pensare se sono autorizzato a scriverne o parlarne. E tante volte non lo sono. E anche se posso cambiare i dettagli, i nomi e i luoghi per rendere tutto non identificabile, spesso il trucco non funziona, perché qualche volta è proprio cambiando i dettagli che si perde il significato.
Non sono cose a cui avevo pensato.