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Era abbastanza emozionato Fabio Volo, all'inizio della presentazione di “Missing”, l'ultimo libro di Don Winslow, alla Feltrinelli a Milano. Emozionato ma contento per aver la possibilità di trovarsi faccia a faccia con uno degli scrittori più interessanti nel mondo del giallo. Nonostante i tanti pregiudizi che avevo (ma che c'entra con Winslow?), devo dire che alla fine che Volo ha fatto allo scrittore più o meno le stesse domande che avrei fatto io... A cominciare dalle origini: il padre Don Winslow era un marinaio amante della lettura e la madre una bibliotecaria. Da qui è nata la passione per i libri, “non ho pusher personale”, sebbene abbia confessato che entrare in libreria gli fa lo stesso effetto di entrare in un candy store.
“Ho desiderato fare lo scrittore da piccolo ma avevo paura di non aver talento”, ha continuato.
Prima di diventare scrittore a tutti gli effetti, lavoravo come detective privato e leggevo i polizieschi mentre lavoravo. Che non è proprio un bel modo per fare quel lavoro con coscienza. Prima di lasciare quel lavoro ho scritto 6 libri: ma ogni giorni scrivevo 5 pagine in qualunque condizione o posto, e alla fine mi sono trovato il primo libro quasi già pronto.
Altro lavoro che Winslow ha fatto è stata la guida ai safari: mi ha aiutato a sviluppare le capacità di osservazione degli animali, sui particolari e le situazioni.
Le sue tecniche di scrittura: devo conoscere bene i caratteri dei personaggi ma non voglio conoscere il finale troppo presto. Voglio esplorare la situazione assieme al personaggio.
“Passo molto tempo a immaginare come potrebbe essere il carattere dei miei personaggi, cerco di conoscerli. La storia viene man mano che riesco a capire come si comporterebbe il protagonista in base al suo carattere”. Ha spiegato anche che “utilizzando questo metodo capita di commettere degli errori: una volta ho scritto 300 pagine e poi ho realizzato di essermi infilato in un vicolo cieco per seguire il personaggio, ma questo non è il caso dell'ultimo libro di Don, Missing. New York”. Ha anche aggiunto che i suoi personaggi che non costruiti in base a persone reali o amici. Sebbene “Il potere del cane” sia nato da un lavoro di ricerca. Alla domanda se ha mai preso spunto da conversazioni carpite in giro, ha risposto: “Ho imparato a rendermi invisibile, per poter ascoltare indisturbato le conversazioni di altri e avere un punto di osservazione sulla realtà”.
Il blocco dello scrittore? In una prima fase, scrivo in fretta “in draft”, come avessi un animale alle spalle. Ma solo per le prime scritture, poi rallento. Hemingway si teneva alcune frasi per la mattina dopo, per aver almeno qualcosa da cui partire senza nessun blocco.
Potrebbe lanciarsi in altri tipi di scrittura, oltre alla crime fiction? Mi piace il noir, ha risposto, e sono fedele a gran parte della letteratura che ricade in questo genere. Che è, usando come spunto una canzone di Springsteen, il quartiere ai margini del buio.
Come si fa a conciliare il lavoro di scrittore (di successo) con quello di marito? Ci provo a separare vita e lavoro ma a volte mi sveglio la notte con una frase o un dialogo da mettere in un capitolo. Altro volte mi ritrovo a parlare tra me in casa.
Ma ho imparato a limitarmi: “il mondo non soffre se scrivo un libro in meno ma mio figlio ne avrebbe sofferto”.
Chi legge per primo i libri? Winslow ha risposto che preferisce non far vedere i suoi lavori a molte persone. L'editor e Salerno, il suo amico scrittore. La moglie, ma solo per pochi dettagli.
Le ricerche per i miei libri le faccio da solo, non delego, parlo con le persone, studio. Perché anche dal lavoro di ricerca possono arrivare spunti. L'importanza del lavoro di ricerca: per scrivere il sequel de “Il potere del cane” ho scritto la cronologia di 10 anni di storia in Messico la militarizzazione in campo sia i cartelli che l'esercito. Ma, ha commentato, il problema della droga non è solo messicano, ma è anche americano. In attesa di questo attesissimo sequel, vi invito a leggervi “Missing. New York: le nuove indagini di Frank Decker”.
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