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Creato il 17 aprile 2014 da Gaia

Dopo una riflessione – non riesco nemmeno a ricostruire quanto lunga, mi sono finalmente decisa a installare il widget di paypal per chi volesse fare una donazione a questo blog.

Solo che non lo posso fare. L’ho scoperto dopo un paio di tentativi e ore altrui perse a provarci: non è possibile. Dovrei probabilmente avere un dominio mio o comunque qualcosa in più, che costa, il che lo renderebbe un po’ controproducente. Ho quindi creato una pagina, “eventuali donazioni”, per chi appunto volesse contribuire al blog. In questo lungo post spiego i miei altrettanto lunghi ragionamenti, e probabilmente non è finita e tornerò sull’argomento, che si sta rivelando più interessante di quanto previsto (non per me: di suo).

Il motivo principale per cui mi sono decisa a chiedere una mano è che io pago trenta dollari all’anno per tenere il mio blog libero da pubblicità, e magari qualcuno ha voglia di contribuire a questa spesa e alle mie spese in generale. Il concetto di “rimborso spese” è un po’ un mistero economico, almeno per me. Il termine lascerebbe suggerire che possa comprendere solo le spese effettivamente sostenute: trasporti, fotocopie, cose così. Ma se qualcuno dedica molto tempo ad un’attività, bisognerebbe rimborsargli anche questo tempo che è stato speso e non impiegato lavorando altrove. E a questo punto si apre il dilemma: quanto vale il tempo di una persona? Una fotocopia ha un solo prezzo, a seconda di dove è stata fatta, ma un’ora di lavoro? E quella mezz’ora passata a rifinire un testo nella mende prima di addormentarsi? Questo blog è pieno zeppo di riflessioni sulle diseguaglianze, che derivano principalmente dal diverso valore assegnato al tempo di diverse persone, almeno da quando la classe dominante è la borghesia. Anche se si accetta il mio principio che un’ora di lavoro di chiunque debba valere grossomodo come un’ora di lavoro di chiunque altro, rimane da stabilire quando una persona può dire di aver lavorato un’ora.

Per contribuire al blog, comunque, si può usare paypal o fare un bonifico. Credo che non ci sia anonimato in queste modalità, ma non ho sistemi alternativi a disposizione. Per favore chi mi ha già aiutata (ad esempio sovrapagando i miei libri o prendendone più del necessario :) ) si astenga, almeno per il momento: non voglio accumulare un debito di gratitudine esagerato. Dico sul serio.

Tempo fa avevo condiviso la mia idea secondo cui nella mia vita blog, attivismo, scrittura siano un tutt’uno, e una manifestazione di sostegno, anche economico, per la mia scrittura non richiedeva differenziazione tra le sue varie manifestazioni. Ho pensato e ripensato a questa cosa, e sono arrivata alla conclusione che non ha molto senso.

È possibile che a qualcuno piaccia il mio blog ma non i miei romanzi o poesie: è una realtà che devo essere pronta ad accettare. Quindi non voglio più mettere le persone nell’imbarazzo di dover sostenere una scrittura che non apprezzano perché magari leggono il mio blog. Piuttosto, se si sentono di visitarlo spesso e di trarne un qualche piacere o arricchimento, contribuiscano direttamente al blog.

Internet abitua all’idea che sia tutto gratis. In alcuni casi, è giusto che sia così: se istituti di statistica o università pagate con denaro pubblico condivido i loro dati con tutti, nessuno ci rimette e la società ci guadagna. È diverso però quando sono i privati ad accollarsi il costo di offrire conoscenza o idee su internet: c’è lo spazio sul server da pagare, i collaboratori, i tecnici, gli autori. Penso siamo tutti d’accordo che nessuno debba lavorare gratis – si può donare un po’ del proprio tempo o della propria opera, come i programmatori dei software liberi, ma non tutto, altrimenti si muore di fame.

Fin qui è tutto molto banale (e forse anche dopo). Come fa quindi chi offre informazione su internet a coprire le spese ed eventualmente guadagnare*? In tre modi: chiedendo sottoscrizioni obbligatorie o volontarie, per certi contenuti o per tutti; avendo entrate diverse per la stessa cosa (un giornale cartaceo, contributi pubblici, fondi se si tratta di un’associazione); oppure con la pubblicità. E, ormai, la pubblicità spadroneggia ovunque. L’avrete visto.

Questi problemi li hanno già dovuti risolvere le radio e le televisioni commerciali, con poche eccezioni, ma internet amplifica il tutto e crea sia possibilità di guadagno che di perdita a chi prima non ne aveva. Ho scoperto che esistono un sacco di siti e forum che danno consigli su come fare soldi con internet, e mi sentivo quasi in imbarazzo a frequentarli, oggi, seppure per scopi di ricerca. Non sono il genere di persona che si trova a suo agio su un sito che si chiama monetizzando.it (ecco! ce l’hanno fatta! hanno avuto la mia pubblicità gratuita per poter continuare a ricevere pubblicità a pagamento insegnando ad altri come inserire pubblicità a pagamento!)

Personalmente, cerco di fare donazioni, per quanto permesso dalle mie esigue finanze, a siti o associazioni che le meritano. Ho una piccola lista al lato del computer con i nomi di chi riceverà la mia risibile beneficenza. Alcuni blogger che leggo non chiedono nulla: hanno già un lavoro e il blog probabilmente per loro è un hobby, oppure un modo per pubblicizzare l’altro lavoro che svolgono o un prodotto che vendono. Altri vendono prodotti altrui e su queste vendite ricavano una percentuale: mi sembra più onesto dell’ultimo caso, cioè di quello dei blogger che si finanziano con la pubblicità.

Mi sono informata su questa modalità non perché la volessi adottare, ma semplicemente perché ero curiosa e anche perché volevo capire quanto varrebbe quello che faccio su un mercato irreale e distorto come quello della pubblicità su internet. In pratica, un blogger non vende il suo lavoro, ma vende i suoi lettori ai pubblicitari. Questo mi sembra un tradimento dei lettori – anche se poi la pubblicità loro la vedono, quindi non c’è nulla di occulto.

Secondo questo sito, le cui statistiche sono però errate, il mio blog “varrebbe” quasi quattrocento euro, ogni quanto non si sa (per fare un paragone, con lo stesso metro il blog di Beppe Grillo varrebbe quasi un milione). La cosa curiosa è che il valore non è dato dal mio lavoro, ma dal vostro. È un mercato quasi senza materia, perché persino l’aspetto materiale, cioè principalmente il traffico e quindi lo spazio, è determinato da quante visite ci sono e quindi dall’interesse e non dalle materie prime.

Se io cercassi di vendere fagioli, il valore economico del fagiolo sarebbe principalmente dipendente dalla terra, dai concimi, dall’acqua e dal lavoro necessari per coltivarlo e raccoglierlo, dal trasporto fino al mercato e dalla tariffa dell’occupazione del suolo da parte mia, per vendere. La vendita di lavoro intellettuale è più simile invece a quella di un tulipano durante la bolla dei tulipani: una cosa ottenuta con input abbastanza modesti può valere una somma potenzialmente infinita. Anzi, vendere lavoro intellettuale creativo è come vendere lo stesso bulbo di tulipano a infiniti acquirenti. È per quello che secondo me bisognerebbe mettere un limite al guadagno da una singola opera: alto, ma un limite. La fortuna accumulata da autori di bestseller, oltre a non dipendere solamente da loro, va ben al di là dello sforzo impiegato nello scrivere un libro, fosse quella scrittura anche durata anni.

Torno all’argomento della pubblicità. La prima considerazione è che venderei voi, non me. La seconda è che la pubblicità è fastidiosa.

L’ho detto tante volte, quindi chiedo scusa se mi ripeto, ma io sono contraria alla pubblicità. La pubblicità è manipolatrice, condizionante, deturpante e fastidiosa (video che partono da soli, banner lampeggianti, nudi improvvisi, rumori che non si capisce da dove vengono, costringendoci ad aprire e chiudere schermate cercando chi parla con lo stesso fastidio con cui si cerca una zanzara…)

In piccolissime dosi e a livelli artigianali, come le pubblicità di osterie locali su Radio Onde Furlane, la pubblicità può essere anche simpatica e appare anche genuina (“venite a mangiare da Toni, fa una buona polenta” è piuttosto innocuo). Se fatta da maestri creativi, come certe pubblicità contemporanee, può avere anche un valore estetico. Ma si tratta pur sempre di manipolazione.

La pubblicità nel senso di rendere pubblico qualcosa alle persone che se ne interessano può essere ottenuta in altri modi: avvertendo la stampa, con il passaparola, con il volantinaggio in caso di eventi. Ma pretendere che le persone che visitano il tuo sito siano costrette a vedere offerte che non desiderano, così che tu ne abbia in cambio un guadagno, è una cosa che vorrei evitare. Per questo motivo pago wordpress per togliere gli annunci dal mio blog.

C’è anche un altro motivo: mi è capitato di mettere dei link a produttori che ho provato di persona e con cui mi sono trovata bene, e mi piacerebbe farlo di nuovo in futuro, proprio per la fiducia che io ripongo nel passaparola. Ci sarebbe però una contraddizione tra pubblicità gratis, basata sulla qualità, e pubblicità a pagamento. Ormai non sappiamo più, quando un giornalista ci consiglia un prodotto, se lo fa perché è buono o perché la ditta paga per comparire. È molto brutto: in fondo crea un dubbio sulla sincerità altrui che rischia di non lasciarci più.

Infine, la pubblicità premia i contenuti più scadenti. Non ho dati per dimostrarlo, ma chi di noi non è stato tentato almeno qualche volta dal link frivolo, trash o semplicemente deludente? I siti che ospitano spazzatura, o contenuti superficiali di puro intrattenimento, difficilmente sarebbero sostenuti dalle donazioni dei lettori – che però volenti o nolenti subiscono la pubblicità, permettendo al gestore del sito di guadagnare comunque. Penso sia diverso se ci si rende conto che il sito in questione è meritevole di un piccolo sostegno economico.

Recentemente, però, un’amica mi ha fatto mettere in discussione tutto questo. Mi ha detto: forse qualche compromesso è necessario, e piuttosto che andare a lavorare in un posto qualsiasi dove magari saresti “sprecata”, è meglio mettere un po’ di pubblicità e continuare a fare quello che fai. Ci ho pensato. Ho pensato che magari avrei potuto mettere pubblicità solo di attività che stimavo, scelte da me: una pubblicità onesta. Ho pensato di seguire questa strada sperando nella comprensione dei lettori. Però so che a qualcuno avrebbe dato fastidio, magari qualche persona che avrebbe preferito contribuire personalmente all’attività del blog, pur di evitare i banner. Mi sono anche resa conto che cercare qualcuno che mettesse la sua pubblicità sul mio sito sarebbe stato un lavoro ulteriore, dagli esiti incerti, e che comunque qualcuno poteva pure ridermi in faccia perché non ho un numero di visite sufficiente per giustificare la spesa di eventuali sponsor. A quel punto, cercare di aumentare le visite per poter mettere della pubblicità sarebbe così lontano da tutto ciò che faccio e in cui credo che non riuscivo nemmeno ad immaginarmelo.

Ho pensato: faccio un ultimo tentativo, uno dei miei numerosi ultimi tentativi. Questo paese è pieno di gente che si ostina ad andare avanti con le attività in cui crede, ritagliandosi una piccola nicchia e raschiando giorno dopo giorno il fondo del barile, morendo e resuscitando, alle volte umiliandosi nelle richieste di sostegno, pur di non mollare. È quello che fai quando credi in qualcosa e gli altri che ci credono o non hanno soldi o non ci credono poi così tanto.

Quindi, SE qualcuno vuole contribuire all’eliminazione della pubblicità di questo sito, o in generale contribuire a questo blog, può farlo seguendo le istruzioni della nuova pagina. Non voglio far sentire nessuno in dovere e al tempo stesso per me è importante che tutti sappiano che anche continuare con qualche semplice post alla settimana richiede almeno tante ore di lavoro quanto un impiego part-time. Richiede anche lavoro altrui, al quale non riesco a contribuire perché non posso permettermelo, ma vorrei. Ci sono invece siti che frequento per cazzeggio (si impara sempre anche dal cazzeggio), ma che non finanzierei mai, e che anche sarei un po’ contenta se chiudessero perché mi scoccia vivere in un mondo in cui diventi ricco commentando i vestiti dei personaggi famosi e chiudi baracca se ti occupi di picco del petrolio.

Comunque, vediamo cosa succede. Ognuno farà ciò che crede, compreso fermarsi prima della fine di questo lungo post. Io non posso promettere nulla, se non di cercare di rispettare la volontà dei lettori oltre che la mia; voglio continuare a scrivere e penso che il mio scrivere sia utile, ma quest’ultima cosa non sta a me deciderla. In un certo senso, sta a voi.


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