Il 27 Giugno scorso si ricordavano le vittime dell’incidente aereo avvenuto in prossimità dell’isola di Ustica, qualche chilometro a nord di Palermo, in cui persero la vita 81 persone esattamente trent’anni fa.
Io, all’epoca, non ero nemmeno nato e non ricordo nulla delle indagini (che si sono protratte per tutti gli anni 90 e continuano tutt’oggi) essendo immerso nelle mie paturnie pre-adolescenziali ma, ricordo bene l’alone di tristezza che velava gli occhi dei miei genitori solo sentendo il nome dell’isola siciliana.
Esattamente 39 giorni fa, il 27 giugno 2010 appunto, stavo seguendo un telegiornale (non ricordo quale) quando è passato in sovra impressione un trafiletto che ricordava il trentennale del triste avvenimento e mi sono subito ripromesso di cercare qualcosa su quei fatti per farmi una mia idea: ci ho pensato solo oggi, a più di un mese di distanza.
Il 27 giugno del 1980 l’aereo DC-9 della compagnia Itavia, sarebbe dovuto partire intorno alle 18 da Bologna per Palermo; causa ritardo il velivolo, volo IH870, decollò alle 20:08 dall’aeroporto Guglielmo Marconi del capoluogo romagnolo per atterrare, secondo i piani di volo, al Punta Raisi di Palermo intorno alle 21:30.
Alle 20:26 i radar dell’aeroporto di Ciampino (Roma) chiesero l’identificazione al pilota del DC-9 poichè, insolitamente, il transponder aveva smesso per un attimo di funzionare; dopo 21 minuti l’aereo prese contatto radiofonico con Punta Raisi dove sarebbe atterrato in perfetto orario di lì a 25 minuti.
Alle 20:59 il volo IH870 della Itavia scomparve sia dai radar di Ciampino che da quelli di Punta Raisi, i piloti non rispondevano alla radio, l’aereo sembrava essersi volatilizzato nel nulla nei pressi di Ustica, piccola isola nei pressi della costa palermitana.
Alle 23:30 la notizia ufficiale della scomparsa dell’aereo con cause ancora da accertarsi manda nel panico le famiglie dei passeggeri del volo rassicurati, in minima parte, dall’inizio delle ricerche.
Tali ricerche dureranno tutta la notte prima che, alle 5:05, del giorno successivo i ricognitori avvisteranno dei pezzi d’aereo in galleggiamento sulla superficie del mare che precederanno l’affioramento di altri resti della carlinga del velivolo prima di far precipitare tutti nell’orrore più nero con i corpi delle povere vittime del disastro: vengono recuperati i corpi di appena 43 passeggeri, gli altri, purtroppo, continuano a rimanere a quasi 7000 metri nelle profondità del Mar Tirreno.
Le indagini sono immediate e partono dalle autopsie dei cadaveri ripescati; da queste perizie si evince che la morte è sopraggiunta per gravi traumi polmonari dovuti ad improvvisa depressurizzazione della cabina passeggeri: ciò porta alla formulazione dell’ipotesi della collisione in volo.
Collisione con che cosa?
Gli investigatori cercheranno di acquisire i dati registrati da radiofari e radar dislocati nelle regioni del Sud Italia ma inutilmente poichè i radiofari risulteranno spenti così come i radar che avrebbero dovuto seguire il volo del DC-9, le stazioni di Ciampino, Licola (Napoli) e Marsala invece non hanno registrato nulla di insolito, i registri di volo sono perfetti ma ci sono forti dubbi di alterazione degli stessi.
Il pool investigativo conclude frettolosamente le indagini avanzando allora l’ipotesi del guasto tecnico, ipotesi ostracizzata violentemente dalla compagnia aerea.
Nel luglio successivo però, due pastori ritrovano il cadavere di un pilota nei pressi del Monte Sila in Calabria: allertati, i carabinieri, troveranno a poca distanza dalla salma i resti di un aereo militare libico (ricordiamocelo in seguito): l’autopsia fisserà la data di morte a non più di un mese prima, quindi pressochè vicina alla data del disastro del volo IH870 ma le indagini faticheranno a ripartire.
Sarà la stampa italiana a seguire alacremente il caso alla luce dei nuovi indizi emersi ma anche in questo caso le autorità si comportano in maniera sprezzante arroccandosi dietro l’ipotesi del cedimento strutturale del velivolo che però fa evidentemente acqua da tutte le parti.
Il giornalista Andrea Purgatori definirà questo atteggiamento delle istituzioni come un vero e proprio muro di gomma contro il quale rimbalzano tutti i tentativi di far luce sulla strage che ha coinvolto 81 cittadini italiani tra cui 11 bambini e 2 neonati.
Le insistenze dei giornalisti e dei familiari delle vittime, riunitisi in associazione, costringeranno nel 1996 il premier Bettino Craxi ad avviare le operazioni di recupero della carcassa del DC-9 dalle profondità marine: verranno alla luce quasi tutti i pezzi disastrati dell’aeromobile tra cui spiccano illesi un lavabo ed un water oltre a pezzi di un altro aereo (ricordiamocene in seguito).
Le indagini ricominciano da Marsala dopo che una telefonata anonima fatta alla trasmissione televisiva Il Telefono Giallo di Corrado Augias aveva svelato un particolare agghiacciante: “ci avevano intimato di stare zitti” dice un operatore della stazione radar della cittadina siciliana riferendosi al comportamento dei suoi superiori durante la notte della strage.
Perchè?
Intanto vengono ricostruiti i particolari del traffico aereo intorno al DC-9 della Itavia finora considerati irrilevanti: viene scoperto che il cielo sopra il Mar Tirreno in quella data era particolarmente trafficato per il passaggio di aerei militari italiani, francesi ed americani; due caccia italiani erano partiti pochi minuti prima del disastro da una base militare di Grosseto e, secondo le tabelle di marcia, è stato dimostrato che almeno uno di essi viaggiava in direzione parallela al volo IH870, abbastanza distante da non essere individuato ne in volo ne da terra.
Dal caccia in questione sarebbe partito un segnale in codice con la sigla 7300, ovvero pericolo generale dopo di che il pilota ha spento il transponder.
Intanto sempre nella notte tra il 27 ed il 28 giugno, incuranti dei microfoni ancora accesi, alcuni militari italiani delle stazioni radar dichiarate spente, si sarebbero lasciati scappare delle frasi compromettenti: “che cascasse..” e “è esploso in volo” sono quelle più particolari, se vogliamo usare un eufemismo. Cascasse cosa? Cosa è esploso in volo?
Un’altra intercettazione, tra un operatore radar e sua moglie invece è molto più chiara: “..è successo un casino..qui vanno tutti in galera..“.
Questi indizi portarono alla formulazione dell’ipotesi del missile che, a meno di alcuni particolari, dovrebbe essere la seguente: un MIG-23 libico proveniente dalla Ex Jugoslavia, dove aveva fatto rifornimento, stava rientrando in patria violando lo spazio aereo italiano e provocando l’intervento combinato di Italia ed alleati.
Per nascondersi ai radar delle stazioni italiane il pilota libico avrebbe deciso di rimanere in scia all’aeromobile civile DC-9 della Itavia in volo da Bologna a Palermo, viaggiandogli quasi attaccato alla parte sottostante in modo da sfruttare la maggiore mole dell’aereo passeggeri per confondere i segnali captati dai radar.
All’altezza di Ustica il MIG avrebbe compiuto una manovra evasiva colpendo il DC-9 o distraendo il pilota e causandone l’incidente; oppure, più semplicemente l’aereo libico sarebbe stato abbattuto da un missile di uno dei caccia che lo seguivano coinvolgendo nell’esplosione l’aereo passeggeri.
Per gli organi amministrativi e militari italiani, invece, l’esplosione in volo sarebbe stata causata da una bomba (ipotesi della bomba) piazzata da un terrorista nel bagno dell’aeromobile: bomba che avrebbe fatto esplodere l’aereo lasciando intatti il lavabo ed il water (ricordate?) del suddetto bagno!
Le indagini sulla strage di Ustica continuano ancora oggi a trent’anni di distanza e mi chiedo come sia possibile, per l’ennesima volta, che dei cittadini italiani muoiano in maniera tanto terribile senza che si trovi una soluzione decente, senza che si arrivi ad un colpevole, senza che si riesca a stabilire se ci siano delle responsabilità.
Ammesso e non concesso che tutto questo si voglia davvero fare!