Dopo i 100 anni di Pietro Ingrao, scompare un pezzo della Sinistra: Giovanni Berlinguer

Creato il 07 aprile 2015 da Tafanus

Giovanni Berlinguer, lo scienziato combattente (di Aldo Tortorella - Il Manifesto)

Addii. Un ricordo di Giovanni Berlinguer, morto a Roma all'età di novant'anni. Fratello di Enrico, protagonista della storia del Pci, la sua è stata una vita divisa tra università e politica

Giovanni Berlinguer

Scom­pare con Gio­vanni Ber­lin­guer un vero uomo di scienza e un vero com­bat­tente poli­tico. Ci sono uomini – o donne — di scienza pre­stati alla poli­tica e uomini – o donne – della poli­tica che furono anche scien­ziati. È cosa rara una per­sona che sia stato, come lui, così pie­na­mente e fino in fondo l’una e l’altra cosa insieme, con eguale impe­gno ed eguale pas­sione. Diver­sa­mente da altri di noi della sua mede­sima gene­ra­zione, e dall’esempio che aveva in fami­glia, egli non volle con­clu­dersi in una sola dimen­sione – quella cui lo spin­geva la ade­sione pre­coce, fin dai ban­chi di scuola, all’idea di eman­ci­pa­zione sociale e di libe­ra­zione umana rap­pre­sen­tata, allora, dal Par­tito comu­ni­sta italiano.

Eccel­lente stu­dente uni­ver­si­ta­rio di medi­cina fu con­tem­po­ra­nea­mente capace di essere abile diri­gente del movi­mento stu­den­te­sco di sini­stra in tempi duri – era la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50 del secolo scorso, quando non era facile essere comu­ni­sti in nes­sun luogo – fino diven­tare pre­si­dente (tra il ’49 e il ’53) dell’Unione inter­na­zio­nale degli stu­denti, con sede a Praga. Era una orga­niz­za­zione for­mal­mente gigan­te­sca (cin­que milioni di iscritti, un cen­ti­naio di asso­cia­zioni nel mondo) non tutta di comu­ni­sti, dif­fi­cile da diri­gere in tempi di guerra fredda e di supre­ma­zia sovietica.

Come sia riu­scito a lau­rearsi bril­lan­te­mente – e in medi­cina — pro­prio durante quella impresa cala­mi­tosa è stato sem­pre per me, che ci arri­vai più tardi e in mate­ria affine alla poli­tica, un motivo di ammi­rata stu­pe­fa­zione. E pochi anni dopo era già abi­li­tato all’insegnamento uni­ver­si­ta­rio in medi­cina sociale. Quando, molti anni dopo, gli dissi del mio stu­pore, attri­buì ogni merito alle sue ado­rate pulci, pes­sime pro­ta­go­ni­ste di tante orri­bili pesti­lenze, ma anche della spe­ciale cita­zione a lui dedi­cata (come poi spiegò in un deli­zioso libro) dalla Acca­de­mia reale inglese della scienze: aveva tro­vato una nuova pulce, sarda, con qual­che pelu­ria in più sulle potenti zam­pine. Aveva un sor­riso buono e arguto, indimenticabile.

Era capace di iro­nia e di autoi­ro­nia, pro­prio per­ché era uomo forte e deter­mi­nato come vidi ancora meglio quando ci tro­vammo su fronti oppo­sti al tempo dello scio­gli­mento del Pci.
Era­vamo stati insieme nella com­mis­sione cul­tu­rale del Pci in solida sin­to­nia. Dal mio mae­stro Anto­nio Banfi avevo appreso il fasti­dio per una cul­tura uma­ni­stica che fosse inca­pace, come per troppo tempo è avve­nuto da noi, di inten­dere la mede­sima valenza di quella scien­ti­fica. Quando ebbi la respon­sa­bi­lità di diri­gere il set­tore delle poli­ti­che per la cul­tura, Gio­vanni si occu­pava del campo delle atti­vità scien­ti­fi­che. Orga­niz­zammo un memo­ra­bile con­ve­gno del Pci per le poli­ti­che della scienza (rela­tori la Levi Mon­tal­cini e Paolo Rossi, uno dei mag­giori filo­sofi della scienza del tempo). E forse per quella nostra buona intesa, me lo man­da­rono in una sezione di Roma, al tempo dello scon­tro tra chi voleva il supe­ra­mento del Pci in una nuova non pre­ci­sata iden­tità e chi pen­sava a un suo radi­cale rin­no­va­mento che non ne distrug­gesse le buone ragioni, a soste­nere la tesi di mag­gio­ranza, quando mi affan­navo a dimo­strare che il nostro non era solo un «no».

Ma ho un grato ricordo di quel giorno lon­tano. Per­ché sen­tivo che Gio­vanni espri­meva una sof­fe­renza sin­cera, non diversa dalla mia seb­bene con con­clu­sioni oppo­ste, per quel che ave­vano fatto i molti che, altrove, ave­vano spor­cato inde­gna­mente la parola e l’idealità comu­ni­sta. E per­ciò rima­nemmo amici — forse più di prima. Fui felice di sen­tirlo par­te­cipe della volontà di rico­struire la sini­stra quando scelse con altri di fon­dare il movi­mento della Sini­stra Demo­cra­tica quando i demo­cra­tici di sini­stra scel­sero la strada che poi il Pd ha effet­ti­va­mente percorso.

Gio­vanni ha com­bat­tuto fino allo stremo per le sue con­vin­zioni. Si è tro­vato ad avere un fra­tello, amato e ricam­biato, che è rima­sto nel cuore di mol­tis­simi. Ma egli è stato sem­pre fedele a se stesso, alle sue incli­na­zioni e alle sue bat­ta­glie. Come par­la­men­tare comu­ni­sta alla Camera e al Senato e, già molto avanti negli anni, come par­la­men­tare euro­peo ade­rente al Pse, si è bat­tuto senza rispar­mio per la causa dei lavo­ra­tori e per la causa di una ricerca scien­ti­fica libera e indi­riz­zata al bene comune. Ha avuto anche molti onori e rico­no­sci­menti come scien­ziato da diverse uni­ver­sità del mondo e dalla pre­si­denza della Repub­blica ita­liana. Ma per me, e credo per tanti, egli rimane innan­zi­tutto il com­pa­gno caris­simo pacato e sor­ri­dente, acuto e buono, di cui ti sen­tivi felice di essere amico.

Aldo Tortorella

0802/0630/1800


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