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Dopo le “Primavere” arabe: resoconto della conferenza di Palazzo Salviati

Creato il 14 dicembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Dopo le “Primavere” arabe: resoconto della conferenza di Palazzo Salviati

Lunedì 10 dicembre si è tenuta a Roma presso Palazzo Salviati, sede del Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), la conferenza Dopo le “Primavere”: il nuovo quadro del Vicino Oriente. L’organizzazione dell’evento è stata curata dall’Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa (ISTRID) e dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) in collaborazione con l’Associazione Seniores dello IASD e grazie al Centro Alti Studi per la Difesa (CASD).

Tema centrale dell’iniziativa è stato lo sviluppo delle “Primavere” nel mondo arabo, a quasi due anni di distanza dall’erompere dei fenomeni di grande cambiamento e sconvolgimento dell’area del Vicino e Medio Oriente. Sono intervenuti in qualità di relatori il dott. Roberto Angiuoni (direttore Istrid Analysis), l’avv. Cinzia Fuggetti (responsabile ufficio legale ISTRID), il col. Daniel Gillespie (esperto NATO Defense College), il dott. Giacomo Guarini (direttore programma IsAG “Dialogo di Civiltà” ) e Pietro Longo (direttore programma IsAG “Nordafrica e Vicino Oriente”).

Il generale Francesco Lombardi

Il generale Francesco Lombardi, vice-direttore del CeMiSS (Centro Militare di Studi Strategici), ha dato il benvenuto a pubblico e relatori e, presentando il tema dell’incontro, ne ha esposto i motivi di stringente attualità che hanno spinto a dedicarvi un evento apposito presso la sede del CASD. Nel riferirsi alle problematiche emerse con i fenomeni di “Primavera” nell’area, Lombardi ha fatto leva proprio sulla metafora mediatica utilizzata per descrivere l’evento: come si sono infatti, in principio, accolti con facile entusiasmo gli eventi occorsi parlando di “Primavera”, così si è dovuto fare presto i conti con una “estate” che ha cominciato a presentare le prime contraddizioni e difficoltà, divenute più evidenti ed inestricabili con un “autunno”. L’interrogativo che ci si pone è quello di capire se ci si ritrova adesso in un “inverno”, rispetto alle aspettative di rinnovamento ed emancipazione inizialmente prospettate, ed in ogni caso quali possibili sviluppi ci riserverà il nuovo quadro del Vicino Oriente. Il generale ha infine ricordato che l’IsAG ha dedicato il secondo numero della sua rivista – Geopolitica – proprio al quadro dell’area dopo le “Primavere” e ha elogiato la pubblicazione in questione per le diverse ed interessanti letture che vengono ivi fornite sulle problematiche oggetto di analisi.

La parola è passata al prof. Piercarlo Valtorta, presidente di ISTRID, che ha dato ulteriori dettagli sulla struttura dell’incontro, il primo di una serie di altri analoghi, con i quali le tematiche principali saranno a più riprese approfondite, fornendo da parte dei relatori le informazioni necessarie sullo “stato dell’arte” dei rispettivi campi d’indagine, e prospettando poi chiavi di lettura atte a comprenderne gli sviluppi futuri e possibili risoluzioni alle criticità che si presenteranno. Il prof. Valtorta ha fatto notare poi en passant la scelta degli organizzatori di aver lasciato la parola a relatori giovani, cogliendo al riguardo gli inviti del Presidente della Repubblica sull’importanza del coinvolgimento e la valorizzazione civile e sociale delle nuove generazioni.
A moderare l’incontro il prof. Daniele Cellamare dell’ISTRID, docente di Storia delle Istituzioni Militari presso l’Università “La Sapienza”, il quale ha dato la parola al dott. Roberto Angiuoni sul tema dei risvolti sociali dei mass media nella “Primavera” araba.

Roberto Angiuoni

Angiuoni ha esordito ricordando come l’entusiasmo sulle “Primavere” al loro erompere sia stato largamente affiancato in Occidente da una facile esaltazione per gli strumenti di comunicazione di massa mediante la rete, visti come potente “arma” nella lotta per la democrazia e contro i poteri autocratici. Alcuni dati sulla diffusione degli strumenti di informazione e comunicazione, mostrati in apertura dal relatore, hanno aiutato a comprendere come simile visione idealistica vada senz’altro ridimensionata. Altro spunto seriamente problematico nel trattare certe questioni è l’uso distorto cui spesso si prestano strumenti vecchi e nuovi di comunicazione. Esempio emblematico riportato è quello sulle violenze in Siria: spesso fonti e supporti video che riportano denunce di tragiche violenze dal forte impatto emotivo (es. efferate uccisioni d’infanti) hanno dimostrato essere di dubbia attendibilità, o finanche di aperta manipolazione, volte a criminalizzare il regime. Con questo non si vogliono negare le responsabilità dell’establishment siriano al riguardo, ma resta sicuramente difficile orientarsi con la sicurezza dell’attendibilità nel mare di fonti, testimonianze e notizie che ci giungono da queste aree in grande subbuglio.

Angiuoni è poi tornato indietro di alcuni anni a quel punto di svolta nel mondo arabo sul piano mediatico, dato dalla realizzazione della tv satellitare con ArabSat, anche se per molti aspetti il vero spartiacque in simile contesto è avvenuto con la nascita dell’emittente televisiva qatariota Al-Jazeera, nel 1996. Non molto conosciute sono in Occidente le circostanze della nascita e soprattutto della crescita di quest’emittente, che è invece divenuta nota dopo l’11 settembre come mezzo dal quale il mondo veniva a conoscere i messaggi e le rivendicazioni da attribuirsi ad Al-Qaeda. Un ruolo importante lo ha avuto anche nel coprire gli eventi legati alla guerra in Iraq del 2003, ma gli stessi fenomeni di radicale cambiamento incorsi nell’area sotto il nome di “Primavere” hanno visto un ruolo mediatico di primo piano per l’emittente qatariota, che ha coperto i fatti di Egitto, Tunisia, Libia e Siria, non mancando di sostenere in maniera abbastanza evidente le istanze di opposizione ai regimi di questi paesi, sin dallo scoppiare delle rivolte. Il relatore è poi passato a tratteggiare le caratteristiche di altre due importanti emittenti dell’area; la saudita Al-Arabiya, lanciata nel 2003, che per certi aspetti può rappresentare una espressione più ‘moderata’ rispetto ad Al-Jazeera, ed infine Al-Manar, canale libanese notoriamente legato alla forza politico-militare di Hezbollah, dai contenuti fortemente militanti, soprattutto in chiave antisionista.

La chiusura del primo intervento è stata dedicata ad una panoramica della diffusione degli strumenti e tecnologie di comunicazione in alcuni paesi-chiave dell’area; si è partiti col tratteggiare una Tunisia non sufficientemente ‘coperta’ sul piano telematico, anche a detta di attivisti della rete che sentono al riguardo i limiti del proprio paese e i freni che queste limitazioni pongono all’emancipazione politica. L’Egitto stesso viene visto come maggiormente sviluppato sul piano della comunicazione telematica e dell’attività editoriale e diversi gruppi militanti hanno una presenza sul web ben organizzata, anche se il paese rappresenta ancora una realtà ben lontana dal raggiungere un pieno sviluppo in questi settori, come ricordato in apertura per tutti i paesi dell’area. Sulla Siria si era già rilevato il problema della mistificazione delle fonti mentre in Iran si assiste ad una più sviluppata ‘cultura’ della comunicazione, anche nelle espressioni di opposizione all’establishment avute negli ultimi anni; un simile humus troverebbe radici in realtà nella stessa rivoluzione del 1979, quando si parlava – non senza una punta di scherno – di “Rivoluzione in VHS”, proprio a causa del mezzo con il quale Khomeini diffondeva i propri messaggi.
Le conclusioni di Angiuoni hanno posto l’accento sul fatto che, parlando di media, non abbiamo a che fare con un mezzo neutro; trattasi invece di un mezzo che si presta alla propaganda ed al perseguimento di scopi politici ed è dunque imprescindibile un’attenta considerazione dello stesso nell’ambito della dialettica politica e nell’agone internazionale.

A seguire l’intervento del dott. Angiuoni è stato quello del col. Gillespie, il quale ha focalizzato l’attenzione sul ruolo e la presenza della NATO nell’area ed in particolare sulle nuove problematiche che l’alleanza atlantica si trova ad affrontare alla luce delle “Primavere”. Il colonnello ha anzitutto riproposto un interrogativo che ricorre quando si parla della NATO dopo il crollo del blocco sovietico. Ci si domanda spesso, infatti, quale possa essere il ruolo dell’organizzazione nella misura in cui il blocco orientale è imploso oramai da circa vent’anni. Il colonnello ribadisce al riguardo che le esigenze cardine di libertà e sicurezza continuano a costituire la ragion d’essere dell’organizzazione, pur se in un contesto globale rinnovato, che comporta necessariamente nuovi approcci. Guardando nello specifico all’area oggetto del nostro interesse, il colonnello ricorda come obiettivo fondamentale sia non solo la sicurezza in senso stretto (in particolare mediante la lotta al terrorismo) ma anche la sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
Sicuramente le “Primavere” pongono dei problemi per la NATO nell’area; problemi anzitutto di credibilità: non è ad esempio facile per la società civile e le nuove élite dell’Egitto nutrire fiducia in un’organizzazione come la NATO, nella misura in cui l’alleanza di cui essa è espressione non ha avuto problemi, nell’arco di decenni, a garantire sicuro sostegno al regime di Mubarak. E tuttavia, asserisce il colonnello, nella società egiziana spinte in senso nuovo cominciano ad emergere (soprattutto da parte del ceto intellettuale), volte a sottolineare l’importanza di un legame di partenariato con la NATO per gli stessi interessi dell’Egitto. Un discorso che, di là dalle specificità locali, può estendersi agli altri paesi dell’area; è sicuramente importante al riguardo superare certe diffuse e reciproche diffidenze che portano presso le popolazioni dell’area ad un diffuso sentimento di ostilità pregiudiziale verso gli USA e l’Occidente da un lato e – per contro – a certi pregiudizi covati in seno al mondo occidentale che invece conducono a vedere gli abitanti dell’area del Vicino e Medio Oriente come inevitabilmente terroristi. Oltre che a livello di società civile, restano aperte le sfide per la ricerca di solide basi comuni su cui operare a livello politico con i paesi dell’area. Ci si rende conto, ad esempio, in seno alla NATO dell’importanza di un serio impegno volto alla risoluzione della questione israelo-palestinese, come possibile base di una rinnovata fiducia da parte dei paesi dell’area verso l’istituzione nordatlantica, ma serie difficoltà nascerebbero al riguardo nella misura in cui certe forze politiche e statuali dell’area dovessero continuare a contestare la legittimità stessa dell’esistenza dello Stato d’Israele. Il colonnello ha concluso con rapide riflessioni sulla zona del Sahel, dal momento che spesso ci si chiede quali siano le prospettive della NATO in quest’area. Quello che emerge dalle sue parole, è che la regione del Sahel non viene percepita come area d’interesse primario per la NATO e quindi la ricerca di partenariati qui è meno prioritaria che nelle zone più strettamente collegate ai fenomeni di “Primavera” conosciuti in Occidente; fra questi, attenzione particolare merita proprio il già menzionato Egitto.

Giacomo Guarini

A seguire l’intervento del colonnello NATO è stato quello del dott. Guarini, incentrato invece sull’evoluzione della convivenza inter-confessionale nell’area e sui legami fra questa e certe delicate questioni di ordine politico e geopolitico. Il relatore ha posto inizialmente l’attenzione sulla questione delle minoranze cristiane nell’area, evidenziando come comuni preoccupazioni possano caratterizzare le stesse a causa di una evidente ascesa di forze politiche ispirate in diversa misura all’Islam; fenomeno che farebbe temere il possibile venir meno di certe prerogative di cui i cristiani hanno goduto nell’area in regimi che – pur corrotti ed autoritari – manifestavano una certa impostazione ‘laica’ della vita civile ed istituzionale. In diversi fra i paesi attraversati da regime change, le nuove élites politiche hanno spesso assunto un atteggiamento pragmaticamente aperto verso le minoranze, ma resta il dubbio che non si tratti di una sorta di maquillage politico, volto principalmente ad accreditarsi verso paesi occidentali ed istituzioni internazionali per ottenerne favori e vantaggi.
Particolare il caso dei cristiani in Siria, dove è noto che il governo baathista è ancora saldo al potere, pur se fortemente contrastato in armi all’interno del paese; al riguardo è stata rapidamente illustrata la Moussalaha, una proposta di riconciliazione (questo il significato della parola araba) basata sul dialogo ed il negoziato fra le varie parti del tessuto sociale siriano. Simile proposta ha trovato larga risonanza fra i fedeli e le gerarchie ecclesiastiche, perché vista come “terza via” che rifugga tanto dal mantenimento assoluto dello status quo politico-istituzionale, quanto dal proliferare della violenza e della destabilizzazione, nonché dall’ingerenza di poteri stranieri nel percorso di autodeterminazione del popolo siriano.

Passando invece a trattare della questione della dialettica fra sciiti e sunniti, Guarini ha riportato alcuni esempi di frizioni intensificatesi con l’erompere delle “Primavere”: le proteste in Bahrein, quelle in Kuwait e quelle nelle regioni orientali dell’Arabia Saudita. Casi nei quali un’opposizione sciita protesta contro governi centrali a forte marcatura confessionale di tipo sunnita. Tali frizioni fra esponenti delle due confessioni non paiono al momento suscettibili di contagio indeterminato per tutta l’area, ma bisognerebbe al riguardo guardare con attenzione ad avvenimenti profondamente sconvolgenti quale potrebbe essere un ipotetico attacco militare al bastione politico del mondo sciita: l’Iran. Proprio un simile evento potrebbe accentuare e moltiplicare le conflittualità nell’area in maniera assolutamente imprevedibile; per questo molto importante sarà l’atteggiamento delle potenze occidentali – USA in primis – sulla questione. Come anche analisti statunitensi hanno evidenziato, evitare interventi di hard power contro l’Iran e finanche cercare un accomodamento con la potenza sciita, potrebbe giovare agli stessi interessi di Washington. Su questa ed altre questioni, dovrebbe muoversi con decisione l’Europa ed il nostro paese in particolare, a causa della contiguità geografica, promuovendo stabilità, cooperazione ed integrazione, non soltanto con un lavoro politico in senso stretto, ma anche con programmi di ampio respiro basati su una sottile politica culturale atta a favorire un reciproco “incontro di civiltà”.

Pietro Longo

Il dott. Longo ha invece trattato l’argomento dei movimenti salafiti, sui quali c’è spesso percezione incerta e confusa in Occidente. Longo è partito mostrando come nei paesi attraversati dalle “Primavere” i movimenti salafiti abbiano ottenuto successo non indifferente, pur se non paragonabile a quello delle forze politiche legate alla Fratellanza Musulmana. La sua trattazione ha quindi dato dei fondamentali cenni sulla genesi e la storia di questo movimento, fino ad arrivare alle macro-distinzioni geografiche ed ideologiche che li caratterizzano attualmente e con le quali la confusione degli osservatori occidentali spesso si scontra. In genere si ha infatti la convinzione che possa esservi un legame transnazionale fra i vari movimenti salafiti oppure solidi contatti con organizzazioni quali Al-Qaeda, ma in realtà simili connessioni non si dimostrano fondate alla prova dei fatti e si ha spesso a che fare con movimenti abbastanza ‘chiusi’ geograficamente, pur se elementi di contiguità ideologica sicuramente emergono fra i vari gruppi. Longo ha anche fatto chiarezza su un punto spesso non chiaro nella divulgazione mediatica: le divergenze ideologiche fra i Fratelli Musulmani e i movimenti salafiti. Si ha infatti la percezione che i salafiti siano “più estremisti” dei primi ma senza una chiara idea di ciò che questo comporta. Il relatore ha evidenziato come le divergenze non siano tanto nei fini (applicazione della Shari‘a) quanto nel ‘metodo’, cercando i primi di giungere per gradi all’applicazione della legge divina, laddove i secondi pretendono un passaggio immediato di introduzione della stessa nella vita pubblica. Nelle valutazioni di Longo, i salafiti risultano essere, ad oggi, tanto una sfida quanto un’opportunità per la transizione democratica. Restano sicuramente una sfida nella misura in cui esponenti della Fratellanza Musulmana affermano di voler cooptare gli elementi più ‘moderati’ della realtà salafita per ‘deradicalizzarli’, cosa che peraltro certuni fra gli stessi elementi ‘moderati’ salafiti affermano di voler fare a loro volta nei confronti delle frange più intransigenti del movimento. Dall’altro, questi movimenti potrebbero rappresentare finanche un’opportunità per diversi motivi; uno fra questi è il contributo che tale corrente di pensiero può pur sempre fornire nell’ambito di uno stabile alveo democratico, ed inoltre l’esistenza di simili movimenti può costituire struttura atta a meglio controllare frange di soggetti ‘eversivi’. Dalla panoramica offerta da Longo emergono chiari consigli per i decisori politici, a partire dall’evitare riduzionismi ed eccessive esemplificazioni nella definizione della galassia salafita, le quali possono evidentemente portare a gravi distorsioni della realtà e a conseguenti scelte politiche errate. In particolare, vanno usate con cautela certe contrapposizioni quali violento/non-violento, partito/movimento, le quali sono utili, ma spesso non esaustive. Infine, evitare la “sindrome di Hamas”: infatti, il rifiutare aprioristicamente il dialogo con certe forze politiche, perché ritenute “estremiste”, rischia di essere quantomai controproducente, soprattutto quando si ha a che fare con soggetti politici che godono di vasto e sincero sostegno popolare. Anche perché il rifiuto pregiudiziale del dialogo potrebbe ragionevolmente portare ad un ulteriore radicalizzarsi delle posizioni ideologiche e dell’agire politico delle realtà in questione, piuttosto che un condurle ad adattarsi al confronto plurale con le diverse istanze politiche e civili delle società in cui operano.

Cinzia Fuggetti

A chiudere gli interventi dei relatori, il discorso dell’avv. Fuggetti, la quale ha seguito il tema delle conseguenze giuridiche delle “Primavere”. L’intervento si è basato sulla premessa delle specificità sociali e politiche che hanno caratterizzato i singoli scenari di cambiamento, anche giuridico, tali per cui non è possibile trattare in forma monolitica l’intera questione delle “Primavere”. E tuttavia, un elemento che può emergere dai diversi scenari è sicuramente quello di nuove sintesi, fra sistemi giuridici occidentali – retaggio delle esperienze di dominazione coloniale – ed i principi giuridici e le fonti del diritto derivanti dall’Islam e filtrati dalla cultura araba. Una simile ricerca resta sicuramente problematica e certi foschi segnali che giungono dalle realtà istituzionali mutate a seguito delle “Primavere” dovrebbero far riflettere e porre attenzione su un pericolo ‘confessionalistico’, che possa schiacciare le minoranze oppure soggetti sociali deboli, a partire dalle donne.

Tiberio Graziani

Il presidente dell’IsAG, Tiberio Graziani, ha infine preso la parola per chiudere i lavori. Graziani ha fatto il punto sulla valutazione problematica dei fenomeni oggetto d’indagine, che necessitano di analisi lucida e non soggetta alla tensione emotiva di facili idealismi. Non a caso, ricorda il presidente, nell’ambito degli studi del suo istituto dedicati agli argomenti in questione, si è preferito sin dall’inizio parlare di “rivolte” più che di “rivoluzioni” o – ancor più – “Primavere”. Graziani ha anche lanciato alcuni spunti, possibili oggetto di trattazione per futuri analoghi eventi. Anzitutto, la necessità di inquadrare gli scenari oggetto di analisi entro una cornice globale, la quale è descritta da una fase di transizione generalmente definita in seno all’IsAG come “uni-multipolare”, nella quale la potenza uscita vincitrice dal confronto bi-polare della Guerra Fredda, gli USA, è in una posizione di egemonia che però deve coesistere con nuovi aggregati geopolitici e geoeconomici emergenti. L’istituzionalizzazione del gruppo dei BRICS rappresenta un esempio eloquente al riguardo, il cui fondamento è una concezione geopolitica basata sul riequilibrio degli assetti internazionali entro aggregati continentali. Un simile riassetto in fieri sicuramente deve portare i paesi europei, legati al blocco occidentale, a ripensare al proprio spazio e a considerare il Mediterraneo in una prospettiva concretamente geopolitica, come spazio che – unitamente alla contigua area centroasiatica – costituisce cerniera fondamentale dello spazio continentale. Da simili considerazioni dovrebbe derivare un ripensamento delle alleanze politiche e militari preesistenti e – guardando all’area vicinorientale – una riformulazione della propria agenda politica, con la prospettiva di relazioni ‘intramediterranee’ concepite su nuove basi, di piena integrazione e cooperazione.


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