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Dopo Parigi

Da Loredana V. @lorysmart

Non ho molta voglia di scrivere…mi limito a riportare un brano di Toni Capuozzo

E’ piuttosto avvilente il riflesso condizionato con cui la correttezza politica obbliga in fretta  a sostenere, sin dalle dichiarazioni a caldo  che la strage di CharlieHebdo apre le porte al rischio di islamofobia.  Dunque: viene attaccata la libertà e chi sono le vittime ?  Non i disegnatori, non i giornalisti, non i francesi, non tutti noi. Ma i musulmani.  Ora non c’è dubbio che i musulmani rischiano di essere vittime di un accresciuto pregiudizio, e di sospetto, e di una malevola attenzione.  Non è qualcosa che nasca oggi:  le decapitazioni, gli attentati, i sequestri avevano già prodotto qualcosa. E certo, la condizione femminile nell’Islam, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, il velo e tutto il resto, diffuso anche in tanto Islam moderato, non accresce la simpatia. Ma i rischi che si corrono, al mio parere di non islamofobo, sono altri.

Il primo è l’oblio: ci siamo dimenticati di Theo Van Gogh, e nessuno ha mai citato Pim Fortuyn, sepolto in Italia. Abbiamo dimenticato Hina, la ragazza uccisa a Brescia da un consiglio di famiglia perché voleva vivere all’occidentale. Dimentichiamo  perché vogliamo illuderci, perché non riusciamo a capire, perché un conto è celebrare la Malala del Pakistan, un conto è guardare distratti alle stragi di Boko Haram, altra cosa  è considerarli atti, crimini e culture con cui condividiamo il tempo e il luogo: è scomodo. Preferiamo sorprenderci, come se non sapessimo della fuga degli ebrei di Francia. Come se i pensieri beneauguranti della correttezza politica fossero una protezione. In un certo senso siamo tutti delle Pippa Bacca con il suo abito da sposa insanguinato in Turchia, o delle volontarie partite entusiaste per la Siria.

Il secondo rischio è considerare queste imprese criminali un’opera di folli. No, dietro a quello che è successo ci sono reti organizzate, arricchite dallo spontaneismo del fai da te. Ma l’appello a  fare da soli –auto o coltello o kalashnikov non importa- è venuto dall’alto, e il disordine delle cento scuole criminali rende solo più difficile la difesa, non esclude né il brodo di cultura, né i contatti organizzati. Per dire: i due di Parigi hanno provato a dirigersi verso il Belgio. Dove ci sono imam radicali, già distintisi nella protesta contro le vignette danesi. Il più noto è Ahmed Abou Laban. Accanto a lui Najb Bilhami, algerino ch emolti anni fa soggiornò ad Arezzo. Un terzo imam “belga” è Bassam Ajachi che, di ritorno dalla Siria, sarebbe agli arresti in Italia.  Il minore tr ai due fratelli assassini di CharlieHebdo, Sherif, sarebbe stato iniziato allo jihad in una moschea salafita di Tunisi, e poi addestrato in un campo di Ansar Al Sharia al confine con l’Algeria. Suo mentore era Abou Baker El Hakim. Entrambi, Sherif e Abou Baker, vengono arrestati in Francia, mentre cercava nodi andare a Damasco per raggiungere l’Iraq, nel 2005. Sherif viene condannato a tre anni – che toppa, la polizia francese – Abou Baker, a sette anni. Esce di prigione e rientra in Tunisia. Partecipa all’uccisione di due politici laici, traffica in armi con la Libia e, quando la Tunisia imbocca una strada che non è la sua,   va in Siria. Sono nomi e storie note agli  investigatori. Come in Italia sono noti i nomi degli “italiani”, tra i foreign fighters. Il fatto è che, a suo tempo, li hanno lasciati andare. Non per liberarsene, ma perché contro Assad facevano comodo.

Il terzo rischio è quello dell’islamoindifferenza. In nome dell’ecumenismo e della correttezza politica, e della “follia” dei criminali, si salva anche l’acqua torbida che li ha allevati. Un atteggiamento leale e rispettoso dell’interlocutore musulmano deve tallonarlo, convocarlo a un confronto franco, tracciare delle linee rosse: la condizione della donna, la violenza, la libertà di critica. Possiamo anche bere un tè nel deserto, e descrivere un Islam di pace e amore, come ci piacerebbe e come molti buoni musulmani insistono a credere. Non è così, purtroppo: l’Islam è una religione che arriva oggi, in una crisi identitaria globale, a contraddizioni che altre religioni hanno sepolto nel tempo grazie  a un secolod ei lumi che l’Islam ha saltato a piè pari : la commistione tra potere spirituale e temporale, la confusione tra legge di Dio e legge degli uomini, la conversione forzata, piuttosto che l’opera di convincimento. In altre religioni rimangono poche tracce del passato, e riguardano la condizione della donna, il sesso, la tentazione di far diventare legge dello Stato un convincimento profondo che non può che essere individuale. Possiamo baloccarci con il multiculturalismo, e in una gioiosa debolezza far finta che Sottomissione sia solo il titolo di un film di Van Gogh  e non anche la traduzione di Islam. Certo,  la sottomissione alla volontà di Dio – inch Allah – al destino, ma alla fine, agli uomini che se ne fanno interpreti più fedeli. Qualcuno, ogni tanto, si sorprende che tra i ranghi di questa rete criminali si arruolino rapper, o delinquenti comuni. L’Islam oggi assegna identità semplici, e forti, e una morale univoca, a fronte della confusione occidentale, e dell’incertezza di sé, della solitudine esistenziale di noi europei, capaci di sussulti solo davanti a una redazione insanguinata. La nostra libertà a volte annaspa, il musulmano militante, che sia violento o no, ha a disposizione un’agenda quotidiana di certezze, e una demografia trionfante. Andate a sera in una chiesa e vedrete poche donne anziane. Andate il venerdì all’uscita della preghiera di mezzogiorno davanti a una moschea: uomini, vecchi e giovani, senza neanche un conflitto generazionale. Il terrorismo non ha fede, si dice, o è una fede a sé. Non sono lontani gli anni del terrorismo cattolico dell’Ira, vero. Ma se è ovvio dire che non tutti i musulmani sono terroristi, bisogna pur ricordare che i terroristi, oggi, sono quasi tutti musulmani. Ti diranno che è colpa degli sbagli dell’Occidente, e in qualche misura è vero. Potresti rispondere che forse una qualche spiegazione la si trova anche nella religione, ma non si può dire.  Con qualche mio amico musulmano, vero musulmano e vero amico,  sostenevo che il mio Dio – a dirla tutta il Dio con cui sono cresciuto a dottrina, e poi basta – è più forte del suo, anche se poi gli diamo nomi diversi, ma preghiamo tutti verso l’alto. Perché ? Perché il suo governa i fedeli. Il mio mi ha insegnato che tutti, fedeli o peccatori, sono “il prossimo”, sono figli suoi. E il mio non solo non teme di farsi degradare con il ritratto ingenuo dei presepi e dei santini, ma non ha neanche paura che si ritraggano gli animali, senza esclusioni: sono tutte creature. Ma non sono un prete, e mi tengo il mio Dio che può essere un bambino o un vecchio o una pubblicità del caffè, e so che anche il peggiore degli uomini ha un vincolo di fraternità con me, fede o non fede. Ci sono equivoci nelle parole, perfino: per loro il martire è uno che si sacrifica per uccidere gli altri, per noi chi si lascia morire per non rinnegarsi ma non uccide nessuno. E forse la presenza di una donna, Maria, in quelle lezioni di catechismo, ci ha aiutati a essere un po’ meno peggiori con le donne.

L’ultimo rischio è, adesso sì, l’islamofobia. Il sospettare tutti. No, bisogna stanare, e diffidare delle giaculatorie di principio, e della dissimulazione, predicata nell’Islam.  Molti musulmani dicono, dopo Parigi: questo non è Islam. Anche a sinistra si diceva che le Brigate Rosse erano la Cia, o qualcosa altro da sé, un compagno non può averlo fatto. Incominciò a cambiare quando si riconobbe il cancro interno: Lotta Continua con l’intervista di Gad Lerner e Andrea Marcenaro al figlio di Casalegno, il PCI con la morte di Guido Rossa. Ecco, all’Islam non servono prese di distanza, né sguardo imbarazzato e sdegnato. Servono dei Guido Rossa,  un impegno fatto di nomi, di collaborazione, di pentimenti, di denunce. Serve che riconosca il male come interno a sé, e si domandi il perché, e lo combatta, e sia aiutato, sollecitato a farlo. Non basta il pilota giordano sbranato in Siria, serve l’impegno di ogni credente a essere intollerante con gli intolleranti. Non sono credenti che sbagliano: sono assassini che hanno per trofeo la libertà occidentale, ma anche quella dei tunisini, degli sciti,  e di tanti musulmani indocili. Ma possiamo insegnarglielo noi, che della tolleranza abbiamo fatto un alibi ? Diciamo che siamo tutti Charlie, è già qualcosa.


Archiviato in:Notizie e politica Tagged: attentati, Islam, je suis Charlie, terrorismo, Toni Capuozzo

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