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Dostoevskij e l’intelligenza

Da Marcofre

“E sì! I discorsi intelligenti li si ascolta volentieri.”

Questa è una frase tratta dal romanzo “Delitto e Castigo”, del buon Dostoevskij. Mi fa tornare in mente qualcosa di simile che si trova all’interno di un altro romanzo, sempre di questo scrittore russo. “I fratelli Karamazov” dove si legge (vado a memoria) “Fa piacere discutere con una persona intelligente”. È, mi pare, ma anche qui non ne sono certo, il titolo di un capitolo, dove il protagonista è Smerdjakov.

Quello che mi interessa, senza voler fare il filosofo (non ne ho certo le capacità), è come il buon Dostoevskij prenda un pensiero comune, quello relativo all’intelligenza, e lo usi spesso. Ma per una sottile ironia. Forse nemmeno troppo sottile.

Come alcuni sapranno meglio di me, un romanzo non può vivere senza un’idea forte, mentre un racconto può farne a meno. Ma l’aspetto più interessante è un altro: vale a dire che a volte l’opera di un autore verte su un’idea e questa passa da un romanzo all’altro. Anzi, è la pietra angolare di tutta la sua produzione letteraria.

Quindi il grande scrittore russo sarebbe contro l’intelligenza?

Non è esatto, ma immagino che lo sia stato eccome: contro l’intelligenza sganciata dal sangue e dalla carne. L’umanità ridotta a un concetto, dove la “pesantezza” della carne non può essere presa in considerazione perché sciocca e “noiosa”. Ricordo che Dostoevskij finì in Siberia, e quella bestiale punizione (venuta dopo la farsa del plotone di esecuzione), aveva probabilmente costretto quest’uomo a azzerare idee e gerarchie, per ripartire da zero. Dall’uomo non come concetto o idea, ma carne e sangue.

L’attualità di questo scrittore e delle sue opere è nascosta in questo: prende un’idea comune, condivisa da tutti o quasi, ma senza attaccarla direttamente o rovesciarla, racconta una storia.

Però non è nemmeno qui la sua forza. Adesso come allora, e direi in tutte le epoche, c’è un movimento nemmeno troppo sotterraneo che ha come obiettivo di rendere l’essere umano, la sua complessità, commestibile. Digeribile facilmente. Nell’Ottocento ma pure ora, era in corso il tentativo di rendere l’uomo una specie di idea, un concetto.

Il risultato non può che essere un corto circuito: infatti Raskolnikov non ne esce e comprende che l’espiazione, quindi la punizione della carne (reclusa, spedita in Siberia), sarà il primo passo per tornare a fare la pace con l’umanità. La propria innanzitutto. Ma sarà solo il primo passo, niente gioia e percorsi in discesa, anzi.

Adesso le cose si sono fatte solo più raffinate. Disarticolare l’uomo dalla sua carne e dal suo sangue, lo rende più malleabile. Da una parte, occorre insegnargli a non pensare, perché se agisse in maniera contraria (se pensasse) potrebbe comprendere che la realtà è complessa. E diventerebbe pericoloso per lo status quo.

Dall’altra, ci si assicura un consenso facile. Qualunque fenomeno si verifichi (crisi economica, terrorismo, e via discorrendo), basterà offrire una facciata comprensibile e semplice, per avere il grosso della popolazione dalla propria parte.

Dostoevskij, come succede alle persone dotate di talento enorme, lo aveva compreso. È da leggere perché lui celebra l’intelligenza che si china sulla carne, e lancia l’allarme verso quelle ideologie che adesso e allora, cercano di cancellare quello che forse ci rende davvero umani. Siamo carne che pensa, sangue che ribolle di idee.


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