(di Angelo Carotenuto)
Diceva Gary Lineker: il calcio è quello sport che si gioca in undici e in cui alla fine vince sempre la Germania. Io della Germania ero il portiere. Ma non quella di cui parla Lineker. L’altra. La Germania dell’est.
Sono nato a Zwickau, in Sassonia, la città di Schumann. Ma pochi pensavano alla musica nell’ottobre del ’46: venti mesi prima a Jalta s’era deciso che la mia regione rientrasse nell’area di occupazione sovietica. Tre anni ancora, 1949, ed ero un cittadino della Repubblica democratica tedesca, la Ddr.
Sono cresciuto dall’altra parte del muro, altrimenti avrei sorriso compiaciuto anch’io alle parole di Lineker. Invece io sono stato nella Germania che non ha vinto nulla. Quasi nulla. Eccetto quella partita di quel giorno lì.
Dov’eri quando segnò Sparwasser? Io, Jürgen Croy, ero ad Amburgo, 22 giugno 1974. In campo. Noi contro la Germania. Gli occidentali. Noi contro il pezzo di noi che stava dall’altra parte. Noi diversi e uguali. Germania est-Germania ovest. Mai c’eravamo incontrati in precedenza, almeno non con le nazionali maggiori.
Due anni prima c’era stata sì una sfida olimpica ai Giochi di Monaco, noi con la squadra A perché eravamo ufficialmente dilettanti, i tedeschi dell’ovest con una selezione giovanile. Stavolta c’era di più, c’era una partita vera, la terza del girone mondiale e avrebbe definito la classifica. Loro in bianco, noi in blu.
Io misi un bel maglione giallo. Il nostro governo fece un’eccezione e concesse qualche migliaio di visti turistici che scadevano la sera stessa, anche se c’era qualche preoccupazione: la Baader-Meinhof aveva minacciato di imbottire di tritolo lo stadio e di farlo saltare in aria durante la partita.
(continua su Repubblica.it)
- buon 25 aprile -