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Dove eravamo rimasti?

Creato il 06 ottobre 2010 da Fugadeitalenti

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E’ stata una settimana di passione, l’ultima di settembre, che ha visto il varo -in contemporanea- di un paio di iniziative che hanno cominciato seriamente ad indagare sulla questione dei giovani professionisti che lasciano l’Italia. La novità più importante è stata certamente il censimento lanciato da Claudia Cucchiarato su Repubblicaonline, che ha registrato un successo senza precedenti, con l’invio di circa 20mila storie da tutto il mondo. Claudia ha aperto il vaso di Pandora della nuova emigrazione. Sarà difficile richiuderlo, ora.

L’altra iniziativa, da me lanciata proprio con Claudia, il “Manifesto degli Espatriati“, ha raccolto l’interesse de L’Espressoonline, oltre a diverse centinaia di firme e sottoscrizioni da tutto il mondo (Nuova Zelanda compresa!), che puntiamo a far crescere nelle prossime settimane. Un sentito “grazie” a tutti coloro che hanno appoggiato questa iniziativa!

Intanto il mondo ci osserva: ben due emittenti francesi, Radio France Internationale (Rfi) ed EuRadio Nantes si sono occupate del tema “brain drain” italiano. In entrambi i casi ho personalmente contribuito alle loro ricerche: con Rfi attraverso materiale di background, con EuRadio mediante un’intervista. Dall’estero continuano insomma a studiare con molta attenzione questo sperpero incredibile di intelligenze, che inviamo ai quattro angoli della terra. Senza più garantire loro una possibilità di ritorno. E vi posso assicurare che, come si dice in gergo… there’s more to come!

Intanto, al di qua delle Alpi, che succede? Nulla, il vuoto cosmico. Impera, per dirlo con le parole di Andrea di Benedetto, leader dei Giovani Imprenditori di Cna, “un Paese corporativo, con barriere d’ingresso nel mondo del lavoro devastanti per un giovane“. Un Paese che conserva nell schiena, per dirla con Piero Calamandrei, “l’anchilosi dell’assuefazione agli inchini“. Un Paese di servi, dove giovani liberi, nati liberi e con la mente libera, fanno fatica ad emergere.

Risultano dunque ben poco stuzzicanti, alle orecchie dei nostri giovani espatriati, le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nella recente visita in Francia ha detto loro: “Arricchite le vostre esperienze all’estero e poi tornate in Italia, più forti di prima“. Loro ci hanno provato, ad esprimergli tutta la propria frustrazione… Stefania, 28 anni: “Siamo costretti a lasciare l’Italia, perché non c’è lavoro“; Luigi, 35 anni: “E’ frustrante sapere che le possibilità di rientrare siano pari a zero – e pensare che in altri Paesi gli studenti meritevoli sono accolti con il tappeto rosso“…

Perché bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia, la situazione italiana. In tutta la sua drammaticità… statica drammaticità: secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di disoccupazione giovanile è leggermente sceso ad agosto, mantenendosi su livelli comunque altissimi (25,9%). In Europa fanno peggio di noi solo Spagna, Irlanda, Ungheria e Slovacchia. Il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi continua a ripetere -come un disco rotto- che i giovani devono accettare qualsiasi lavoro, dimenticando che un Paese che funziona è quello che mette in grado i suoi giovani più qualificati di farsi classe dirigente. Sacconi dimentica che questo non è un privilegio concesso solamente alla sua, di generazione… Il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni annuncia intanto iniziative per il sostegno dei giovani (prestiti d’onore per gli studi universitari, fondi di garanzia per l’acquisto della casa, agevolazioni per le giovani imprese).

L’amara realtà, come ben denuncia l’Istat nel suo ultimo rapporto su giovani e inserimento nel mercato del lavoro, è che solo il 29% dei 15-34enni italiani sperimenta la prima esperienza “significativa” di lavoro entro un anno dalla fine degli studi. E solo nell’8,3% dei casi ciò avviene entro tre mesi dall’uscita dal sistema formativo. Peggio ancora, oltre un terzo dei giovani con un titolo secondario superiore avvia il proprio percorso lavorativo svolgendo una professione a bassa qualificazione o addirittura non qualificata. Un dato è sinceramente agghiacciante: nel secondo trimestre 2009 circa 2,2 milioni di giovani diplomati/laureati “under 34″ possedeva un titolo superiore a quello maggiormente richiesto per svolgere la professione nella quale si trovava impiegato. E ancora vi stupite se fuggono?

Qualche dato per chiudere, raccolto al recente convegno “Sud Camp” di Paestum, dove ho portato alcune riflessioni sul tema del “brain drain” italiano. Al convegno erano presenti Alessandro Rosina (Università Cattolica) e Luca Bianchi (Svimez), che hanno presentato delle relazioni molto interessanti.

Secondo Rosina, in Italia stiamo osservando un “degiovanimento generale“, che si riflette in una riduzione del peso dei giovani nella società italiana. “Le economie che crescono di più sono quelle che meglio valorizzano il capitale umano, ma in Italia chi investe sul capitale umano viene svantaggiato“, ha aggiunto. Secondo Rosina, da qui al 2031 osserveremo due fenomeni: il calo dei giovani nel Sud, pari al 20%, accompagnato da una contemporanea crescita del peso dei giovani stranieri del Nord, che supereranno quota 20%.

Secondo Bianchi, invece, il tasso di occupazione dei giovani laureati resta profondamente squilibrato tra Sud (53,1%) e Nord (75,7%). “Studiare serve ad emigrare“, ha amaramente sintetizzato, rilevando come il flusso Sud-Nord (Italia), tra cambi di residenza e pendolari a lungo raggio, equivalga a 261mila migranti per anno. Una cifra molto vicina ai famosi 300mila degli anni ’50-’60, in pieno boom economico. Ora però la situazione si è rovesciata. Dal boom alla stagnazione. Sempre per Bianchi, nel 2009 sono stati 1281 i laureati meridionali che sono espatriati, contro i 16.134 che sono invece emigrati nel Settentrione. A completare il quatro, c’è infine l’esercito dei NEET, gli inattivi che non studiano nè lavorano: 851mila al centro-nord, ben 1 milione e 192mila al sud.


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