Si sono svolti ieri i funerali di Stefano Inzoli, l’ennesima vittima suicida del dramma della disoccupazione. La moglie sta lottando tra la vita e la morte.
Il dramma della disoccupazione e della disperazione colpisce ancora una volta. Come nelle sequenze di un film dell’orrore, si ripete con una cadenza spaventosa. L’ultimo è quello di marito e moglie che, con terribile determinazione, decidono che con quella situazione non possono più continuare, non riescono ad andare avanti.
Il 2 luglio scorso, intorno alle 22, si stendono sul letto e, tenendosi per mano, si sparano un colpo di pistola. Stefano Inzoli, 51 anni, muore subito; la moglie, Emanuela Vanorio, 59 anni, si trova in ospedale in condizioni disperate, con la vita appesa ad un filo.
Sul tavolo della cucina della loro casa di Nuvolento, in provincia di Brescia, accanto alle lettere scritte ai parenti prima dell’estremo gesto, è bene evidente anche la lettera di sfratto notificata loro qualche giorno prima.
Colpiti dal dramma della disoccupazione.
Stefano Inzoli aveva un lavoro di guardia giurata che però aveva perso due anni fa. Si era trasferito, con la moglie, a casa della suocera, la quale, titolare di una pensione, riusciva ad aiutarli ed a pagare l’affitto. Ma con la morte della suocera, senza la sua pensione, pagare l’affitto e le bollette era diventato impossibile e, senza soldi e con lo sfratto esecutivo, la disperazione ha preso il sopravvento ed è sfociata in tragedia. La coppia non aveva figli.
Cercava lavoro Stefano, ma trovava le porte chiuse, anche al Comune, dove gli offrivano lavoretti saltuari di poco conto. Avevano ricevuto qualche aiuto dalla Caritas, ma tutto questo non era sufficiente a garantire una vita dignitosa.
L’indifferenza delle Istituzioni.
Si poteva e si doveva fare qualcosa di più. Stefano Inzoli se n’è andato nell’indifferenza più assoluta, alcuni amici e conoscenti, pochi parenti al funerale nella chiesa Santa Giulia al Villaggio Prealpino, nel bresciano, nel suo paese. Non erano presenti neanche il parroco di Nuvolento ed il Sindaco o una delegazione comunale.
Una vita affossata dal dramma della disoccupazione, che porta dentro una disperazione senza scampo, che distrugge ogni resistenza di chi prova a reagire, che sbatte contro un muro che si chiama Stato, che impietosamente non riesce a garantire a tutti i suoi cittadini un tetto sotto cui dormire ed un reddito con cui vivere dignitosamente.
Dall’inizio dell’anno le vittime suicide della crisi, del dramma della disoccupazione, sono ben 133, di cui 32 nell’ultimo mese. Numeri spaventosi, che devono fare riflettere.
Appena quindici giorni fa si è consumata la tragedia di una mamma di 41 anni di Ponte Ronca, in provincia di Bologna che, giunta al terzo sfratto, separata, senza lavoro e con due figli da mantenere, ha messo i bambini a letto, ha aspettato che si addormentassero e si è impiccata, ponendo fine alla sua fragile esistenza.
Di fronte a tali tragedie, ci domandiamo se tutto questo era evitabile, se si poteva intervenire prima e chi avrebbe dovuto farlo. Qualcuno dirà che questi comportamenti non risolvono niente, forse è vero, e le Istituzioni diranno che erano pronte ad aiutare, ma lo diranno quando tutto ormai si è consumato.
Insomma, prima e dopo c’è solo indifferenza.