Magazine Diario personale
L'altra sera camminavo solo per la città. Non una persona in giro, non un rumore se non quello di qualche solitaria auto in lontananza che sfreccia dolcemente su pozzanghere appena formate. Amo l'odore che lascia la pioggia e l'oscurità che abbraccia ogni vecchio edificio, soffocata da qualche lampione con i vetri ormai sporchi di smog. Percorro vie che non frequento mai, ancora meno affollate, ancora più ispiratrici. Mi perdo ormai in un turbinio di pensieri, inghiottito dalla notte più profonda e da un fruscio di foglie scosse da qualche docile carezza di vento. Cammino in balia di me stesso, navigo tra le mie paure alla ricerca di un'isola che non c'è. Mi perdo, infine, nel buio. Riapro gli occhi, magicamente. Un negozio di giocattoli. Illuminato da silenziosissime lampade alogene. Giocattoli che aspettano con pazienza sulle vetrine, all'interno una quiete e un ordine maniacali. Lo stridore con l'esuberanza della notte è metafisico, addirittura. Mi accosto meglio alla vetrina e, curioso, spio l'ambiente. Il negozio è nuovo, nuovissimo, scatole e scatole di giocattoli formano pile meticolosamente ordinate. Camion e costruzioni lego riposano su chiari scaffali che si rispecchiano vanitosamente su di un altrettanto bianco pavimento. Provo la triste sensazione che questi poveri giocattoli aspetteranno invano in eterno un bambino che deciderà di passare i suoi innocenti pomeriggi con loro. Provo la triste sensazione che quei giocattoli non si divertiranno mai, condannati alla solitudine da bambini che si sentono troppo adulti per giocare con loro e da adulti che rimpiangono di non essere più bambini. Contemplo tutto questo spettacolo per qualche lungo minuto, infine abbandono questo silenzio per far ritorno alla mia accecante oscurità, salpo dalla mia isola che non c'è.