Drive non è semplicemente una coazione a ripetere di un cinema che ripropone se stesso ad uno spettatore in cerca di facili soluzioni cinematografiche e non può neppure liquidarsi come una visione nostalgica di un immaginario precedente, perché nella sua rievocazione di opere classiche del cinema americano che ne vanno a costituire la spina dorsale, dimostra di aver accumulato un immaginario significativo e significante che può essere intelligentemente rielaborato, pur strizzando l'occhio ad un'estetica anni '80, come dimostra la grafica stessa dei titoli di testa e l'abbigliamento evidentemente sgargiante e parossistico del suo protagonista.Il titolo stesso, infatti, evoca volutamente, come nella stessa sequenza iniziale, Driver - L'imprendibile di Walter Hill, riuscendo ad incollare lo spettatore subito alla poltrona, attraverso una sequenza che non ha nulla di spettacolare, pur mettendo in scena l'elemento macchina, quale strumento evocante motori rombanti e inseguimenti mozzafiato, Refn disinnesca, come saprà fare anche in altri momenti facili soluzioni di comodo, mediante l'impassibilità del suo protagonista, la sua lucida freddezza, apparentemente strafottente, ma con una sua precisa logica di fuga, che nel condurre in salvo i suoi clienti rapinatori, li condurrà attraverso le varie multiformi deviazioni della città degli angeli, tramite un'operazione di nascondimento che dimostra intelligenza e non semplice muscolarità.Eppure l'elemento della rapina, nerbatura di Driver di Hill diviene presto anch'esso un detour narrativo, perché il nostro protagonista si ritroverà a dover fare i conti con elementi strutturali che hanno ben altra inclinazione ed ispirazione. Egli stesso nel suo apparire quale figura di individuo insonne, senza nome e sempre di passaggio tra la propria casa completamente spoglia da elementi rappresentativi di una personalità definita quasi fosse un albergo e l'officina, dimostra di essere una figura quasi archetipica o mitologica, appartenente ad un mondo altro dal nostro. Il suo approccio all'esistenza e alle persone appare completamente asettico o quasi, tranne nel momento in cui Refn ci fa percepire l'attrazione del nostro eroe verso una figura femminile in grado di penetrare la sua impassibilità e in cui entrano in gioco gli sguardi, i silenzi e un utilizzo di una musica elettropop che riecheggia nuovamente quell'estetica anni '80 di cui si diceva, ma in maniera non così nostalgica come ci si aspetterebbe.Refn sembra saper condurre bene il gioco e la sua regia non è mai affatto banale e lo dimostra attraverso un uso incredibilmente azzeccato della slow motion, che forse dai tempi di Paranoid Park non si vedeva impiegare in maniera così efficace e fluente, funzionale a dilatare sensazioni ed emozioni, sia positive che negative, come nei momenti in cui la violenza nel suo esplodere non diviene mai fine a se stessa.Il personaggio di Gosling non è solo la decalcomania aggiornata agli anni zero della figura di Driver, ma è anche il Cavaliere della valle solitaria o meglio ancora il Cavaliere pallido di Eastwood, se si pensa alla sequenza del duello finale, anch'esso giocato su sguardi affilati e flashforward, in cui saranno due ombre proiettate sull'asfalto rovente a raccontarci l'esito della contesa mortale e le conseguenze di essa.Un western automobilistico, in cui la strada è presenza percepita attraverso il punto di vista circoncluso dell'abitacolo del mezzo che la percorre o attraverso l'officina meccanica come luogo non di rielaborazione della potenza motore, ma contesti di lavoro puro e semplice, un punto di passaggio tra i tanti in cui si troverà ad aggirarsi il nostro eroe, in cerca di una soluzione ai problemi che la sua amata rischia di dover affrontare.Ryan Gosling dimostra in questo film di essere il tipo di attore che ci aiuta a comprendere la differenza che passa tra un interprete che sfrutta una recitazione fatta di sottrazioni e un attore inespressivo. Lui ovviamente appartiene alla prima categoria e Refn si rivela un regista che nel rielaborare il western come genere per eccellenza del cinema americano, non solo ha saputo apprendere la lezione dei classici, ma anche di possedere uno sguardo che riesce ad andare oltre alla sensazione di una stantia visione di comodo per lo spettatore nostalgico o cinefilo che dir si voglia.
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Drive non è semplicemente una coazione a ripetere di un cinema che ripropone se stesso ad uno spettatore in cerca di facili soluzioni cinematografiche e non può neppure liquidarsi come una visione nostalgica di un immaginario precedente, perché nella sua rievocazione di opere classiche del cinema americano che ne vanno a costituire la spina dorsale, dimostra di aver accumulato un immaginario significativo e significante che può essere intelligentemente rielaborato, pur strizzando l'occhio ad un'estetica anni '80, come dimostra la grafica stessa dei titoli di testa e l'abbigliamento evidentemente sgargiante e parossistico del suo protagonista.Il titolo stesso, infatti, evoca volutamente, come nella stessa sequenza iniziale, Driver - L'imprendibile di Walter Hill, riuscendo ad incollare lo spettatore subito alla poltrona, attraverso una sequenza che non ha nulla di spettacolare, pur mettendo in scena l'elemento macchina, quale strumento evocante motori rombanti e inseguimenti mozzafiato, Refn disinnesca, come saprà fare anche in altri momenti facili soluzioni di comodo, mediante l'impassibilità del suo protagonista, la sua lucida freddezza, apparentemente strafottente, ma con una sua precisa logica di fuga, che nel condurre in salvo i suoi clienti rapinatori, li condurrà attraverso le varie multiformi deviazioni della città degli angeli, tramite un'operazione di nascondimento che dimostra intelligenza e non semplice muscolarità.Eppure l'elemento della rapina, nerbatura di Driver di Hill diviene presto anch'esso un detour narrativo, perché il nostro protagonista si ritroverà a dover fare i conti con elementi strutturali che hanno ben altra inclinazione ed ispirazione. Egli stesso nel suo apparire quale figura di individuo insonne, senza nome e sempre di passaggio tra la propria casa completamente spoglia da elementi rappresentativi di una personalità definita quasi fosse un albergo e l'officina, dimostra di essere una figura quasi archetipica o mitologica, appartenente ad un mondo altro dal nostro. Il suo approccio all'esistenza e alle persone appare completamente asettico o quasi, tranne nel momento in cui Refn ci fa percepire l'attrazione del nostro eroe verso una figura femminile in grado di penetrare la sua impassibilità e in cui entrano in gioco gli sguardi, i silenzi e un utilizzo di una musica elettropop che riecheggia nuovamente quell'estetica anni '80 di cui si diceva, ma in maniera non così nostalgica come ci si aspetterebbe.Refn sembra saper condurre bene il gioco e la sua regia non è mai affatto banale e lo dimostra attraverso un uso incredibilmente azzeccato della slow motion, che forse dai tempi di Paranoid Park non si vedeva impiegare in maniera così efficace e fluente, funzionale a dilatare sensazioni ed emozioni, sia positive che negative, come nei momenti in cui la violenza nel suo esplodere non diviene mai fine a se stessa.Il personaggio di Gosling non è solo la decalcomania aggiornata agli anni zero della figura di Driver, ma è anche il Cavaliere della valle solitaria o meglio ancora il Cavaliere pallido di Eastwood, se si pensa alla sequenza del duello finale, anch'esso giocato su sguardi affilati e flashforward, in cui saranno due ombre proiettate sull'asfalto rovente a raccontarci l'esito della contesa mortale e le conseguenze di essa.Un western automobilistico, in cui la strada è presenza percepita attraverso il punto di vista circoncluso dell'abitacolo del mezzo che la percorre o attraverso l'officina meccanica come luogo non di rielaborazione della potenza motore, ma contesti di lavoro puro e semplice, un punto di passaggio tra i tanti in cui si troverà ad aggirarsi il nostro eroe, in cerca di una soluzione ai problemi che la sua amata rischia di dover affrontare.Ryan Gosling dimostra in questo film di essere il tipo di attore che ci aiuta a comprendere la differenza che passa tra un interprete che sfrutta una recitazione fatta di sottrazioni e un attore inespressivo. Lui ovviamente appartiene alla prima categoria e Refn si rivela un regista che nel rielaborare il western come genere per eccellenza del cinema americano, non solo ha saputo apprendere la lezione dei classici, ma anche di possedere uno sguardo che riesce ad andare oltre alla sensazione di una stantia visione di comodo per lo spettatore nostalgico o cinefilo che dir si voglia.
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