"Paese molto bello... una storia incredibile, ci sono arrivato con colleghi della zona che mi hanno portato in giro per un paio di giorni...bla, bla, bla, bla bla bla... bello...mangiato roba...bla bla bla e poi senti che musica!".
Si alza, prende dalla giacca un CD con sulla copertina sette-otto uomini in giacca e camicia bianca, alcuni seduti altri in piedi sullo sfondo una parete piena di libri. Non riseco a leggere le scritte. Poi dallo stereo parte una musica dolce, triste e profonda. Sembra un oboe. Scivolo un attimo dentro di me. La voce del mio amico mi è quasi di fastidio.
"Pensa che questa specie di flautoè presente nella loro cultura almeno dal 1200 avanti Cristo."
Non so perchè mi torna in mente Roma, settecento avanti Cristo.
Lo strumento si chiama duduk, ma il mio amico mi spiega che è una forma semplificata del nome originale che dovrebbe essere Tsiranapogh. Poi lui continua sulla strage degli armeni, la loro diaspora. Ho già sentito quella musica, in qualche colonna sonora, da qualche parte, ma ora qualcosa dentro di me risuona, reagisce a quelle note cosi antiche. Note spirituali. Mi rendo conto della pochezza del mio linguaggio nel descrivere qualcosa di nuovo e allo stesso tempo di ancestrale. Vorrei che tutti tacessero. Mi sa che sto diventando un vecchio rompiballe. Ascolto. Mi appare la faccia triste di Charlez Aznavour. Venerdi notte dormo male. Sabato ascolto mia figlia suonare una Danza di Mozart. Mi accorgo che ho fame, o forse sete. Ho sete di spirito, di eterno, di bello, di assoluto. Una sete terribile.