Rai3, appuntamento quotidiano con Il tempo e la storia, condotto da Massimo Bernardini. Argomento della puntata, il controverso rapporto del poeta immaginifico con il politico realista: Gabriele D’Annunzio e Benito Mussolini, due personaggi molto diversi tra loro.
Il forte ego di entrambi e le notevoli differenze di formazione tra i due portano anche a momenti di crisi e freddezza che si alternarono a quelli di collaborazione. In studio il professor Francesco Perfetti, storico dell’età contemporanea, ci aiuta a far luce sul complesso rapporto tra queste due figure centrali dell’Italia di quegli anni.
Dopo la conclusione dell’avventura fiumana D’Annunzio si era ritirato al Vittoriale in una sorta di esilio volontario, con l’intenzione di dare inizio a una nuova stagione creativa lontano dalla vita pubblica. 1922 arriva la marcia su Roma e Mussolini scrive al poeta: “la vittoria ha gli occhi chiari di Pallade, non la bendate”.
Questa vicenda è emblematica di quel rapporto di carissima inimicizia. Mussolini anticipa un’eventuale reazioni del Vate, una competizione dichiarata e lo si “capisce dalla lettera, Mussolini scrive a D’annunzio in una sorta di ammonimento, una sorta di “siamo certi” che non vorrai metterti contro di noi” – spiega il professor Perfetti. D’Annunzio risponde che è fedele al re.
Rapporto complesso, dunque, un matrimonio d’interessi o d’amore?
1922 la Camera accorda poteri eccezionali a Mussolini e l’icarico di stabilire l’ordine nel paese.
Il suo governo comprende: liberali, nazionalisti popolari e rappresentanti delle forze armate. Malgrado la freddezza del poeta, continuava a percorrere le vene del movimento fascista e lo stesso Mussolini era consapevole che la figura di D’Annunzio era un polo d’attrazione per gli ambienti squadristi del suo movimento. “L’atmosfera non è ancora totalmente limpida, forze ambigue sono all’agguato, ma io sono pronto all’azione necessaria e necessariamente inesorabile”, gli scrive in una delle lettere che i due si sono scambiati. D’Annunzio lo rassicura con un “ho deciso di ritirarmi nel mio silenzio, in un castigo che sarà l’esempio della mia lunga e intera devozione”.
Ma il capo del fascismo non si fida delle parole di commiato del poeta e gli invia il commissario Giovanni Pizzo per “tutelare la tranquillità”, in realtà per controllarlo. Dal fitto carteggio tra i due carissimi nemici, emergono le differenze, le ansie, i timori, l’ammirazione che i due provano l’uno per l’altro.
Teorie complottistiche e ipotesi di congiure, attribuiscono a D’Annunzio il ruolo di antagonista al duce che replica conferendogli molte attenzioni: il titolo di principe di Montenevoso, promuove un’edizione nazionale delle sue opere. Ma gli avvenimenti incalzano.
1924 il deputato socialista Matteotti che aveva chiesto l’annullamento delle elezioni per il clima di violenza e brogli, in cui si erano svolte, viene rapito e ucciso dai sicari fascisti. Nuovamente circolano voci di un impegno del poeta con una lega italica antifascista. 1925 Mussolini alla Camera si assume la piena responsabiltià dell’assassinio
Matteotti. È l’inizio del regime.Va a trovare il Vate a Gardone e rientrando scrive:” Torno a Roma guarito e ti rendo grazie fraterne”.
“Mussolini cerca, una soddisfazione di un appoggio morale da parte del poeta – dichiara Perfetti – e c’è forse il risentimento delle voci che circolavano sul fatto che D’Annunzio fosse rimasto, ed è vero, fortememte scioccato dal delitto Matteotti”. D’Annunzio apostrofò l’atto mussolinaino come “la fetida ruina”.
Perchè D’Annunzio non si è posto come alternativa?
Gabriele D’Annunzio fu colui che traghettò l’Italia dall’Ottocento al Novecento, dalla piccola borghesia di provincia alla nazionalizzazione delle masse, dalla Belle Époque alla guerra, dalla galanteria all’eros, dalla morale all’estetica, dal cavallo al velivolo e al sommergibile, dal culto romantico del genio e dell’eroe al culto moderno del superuomo, ardito trascinatore delle folle. Il suo ascendente era altissimo, ma era stanco e deluso.
Si era ritirato al Vittoriale. Sentiva il peso dell’età e non era più l’uomo dell’avventura di Fiume. Nutriva anche un forte risentimento per l’abbandono di Mussolini proprio nell’impresa di Fiume e voleva fargliela pagare. Mussolini sa perfettamente che D’Annunzio è ancora un mito per il paese, la sua manifesta adesione al partito può essere un valore aggiunto al suo futuro. Poi c’è un D’Annunzio rinchiuso al Vittoriale che vive come un signore rinascimentale attorniato dalle sue donne. D’Annunzio fu il più famoso anticipatore del fascismo. Ma ne fu anche il più grande dissidente.
Arriva la guerra d’Africa e il ritorno esplicito di D’Annunzio a Mussolini. “Tutta quanta l’intera Etiopia deve inesorabilmente diventare un altopiano della cultura latina”. Ma se il mito dell’Africa suscita passione e entusiasmo nel vate, c’è il rovescio della medaglia, l’avvicinamento sempre più spedito alla Ge
rmania di Hitler che irrita D’Annunzio. 1933 il poeta, manifesta tutto il suo disprezzo per il cancelliere della Germania, definendolo “pagliaccio feroce” e “imbianchino” .Spera nella collaborazione della Francia, ma le cose andranno diversamente. 1936 Italia e Germania stipulano l’accordo, noto come l’asse Roma-Berlino. Mussolini al suo rientro dal viaggio trionfale in Germania, incontra il suo carissimo nemico a Verona che vuole metterlo in guardia dall’abbraccio con Hitler. Un odio dichiarato che si innesta sulla profonda diffidenza del mondo germanico. Fu il loro ultimo incontro.
Questo lungo carteggio. Questo romanzo di amore e odio si chiude con Mussolini che procede sempre più verso il baratro. Venti anni dopo l’avventura su Fiume e a sei mesi dalla morte di D’Annunzio, Monaco da il via libera alle mire espansionistiche di Hitler.
Si conclude così la storia di questo rapporto controverso, fatto di slanci e prove di amicizia ma anche di netto dissenso, con la vittoria del politico realista sul poeta immaginifico e sull’estetica trasferita in politica.