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Bufera.
Cancellieri non è indagata, questo va detto innanzitutto. Il caso procederà e semmai ci saranno risvolti legali, passerà in giudizio. Cancellieri, comunque, farebbe bene a riferire in Parlamento di quanto è successo. Anche perché i rapporti personali con la discussa famiglia Ligresti, potrebbero essere questione rilevante - il figlio Piergiorgio Peluso è stato direttore generale di Fonsai e c'è una duratura amicizia con Gabriella Fragni, moglie di Salvatore Ligresti (padre di Giulia), con cui pure c'è un'intercettazione. Certo, per cose del genere, si dice sempre, qualche Ministro in qualche altra parte del mondo, forse si sarebbe dimesso. Qualche, forse: si dice sempre così.
Fatta questa premessa, ci sono un paio di cose che dovrebbero essere dette.
Innanzitutto, la vicenda ha riportato sotto i riflettori - qualora ce ne fosse ulteriore bisogno - un abominio tutto italiano: la carcerazione preventiva. Ormai diventata prassi, rifugio, strumento, dei magistrati, che molto spesso la utilizzano con fini non troppo leali, come una sorta di ricatto e intimidazione. Il problema, in più, va a gravare - e notevolmente - sull'affollamento delle carceri: questione sulla quale non c'è niente da discutere, se non vergognarsi davanti all'intero mondo. In questo, Cancellieri avrebbe fatto una telefonata ai due dirigenti del Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), struttura del Ministero che guidava, per accertarsi se le condizioni di detenzione fossero compatibili con quelle di salute della Ligresti - in passato vittima dell'anoressia, rifiutava il cibo in carcere. Cancelleri, avrebbe spiegato ai magistrati che l'hanno interrogata in proposito, di aver agito per "questioni umanitarie".
Ora la cosa diventa diversa: vero che il Ministro ha fatto la cosa che un ministro della Giustizia deve fare - e cioè interessarsi che i detenuti godano di buona salute e la detenzione sia compatibile con questa. (A tal proposito, ricordo che lo scopo della carcerazione non è la tortura). Detto ciò il problema è che il Ministro non ha fatto questo per tutte le migliaia di detenuti presenti nelle carceri italiane. L'ha fatto per la figlia di una suo amica, dopo la chiamata di un altro suo amico. Insomma, sembra che ci sia qualcosa che riguarda - quanto meno un po' - l'iniquità, l'abuso, il trattamento preferenziale. E questo è moralmente ed eticamente discutibile. Discutibile, non di più. Comprensibile, ma discutibile - e comprensibile, perché chiunque di noi si fosse trovato nelle stesse situazioni di Cancellieri, avrebbe agito allo stesso modo. Lasciamo l'ipocrisia da un'altra parte e parliamoci chiaramente: soprattutto se quello che c'era da fare era una telefonata, penalmente irrilevante, e niente di più - perché così è stato.
Nel lasciare l'ipocrisia, poi, rientra anche un altro aspetto della vicenda: Danilo Leva, responsabile nazionale Giustizia del Pd, con la solita bulimia dialettica, è corso a commentare la faccenda in via personale ancora prima di accertare le posizioni ufficiali del suo partito. Ma non è questo il punto - e non è nemmeno che se si fosse trovato lui, come tutti noi ripeto, nella posizione di Cancellieri, avrebbe fatto lo stesso. Il punto è che Leva ha detto: "Il ministro deve chiarire il senso di quelle parole e fugare ogni dubbio sul fatto che in Italia non ci sono detenuti di serie A e detenuti di serie B".
Qui arriva la parte impopolare, difficile e opinabile, delicata, di quello che sto scrivendo. Ecco, io credo che - purtroppo - esistano cittadini, e quindi detenuti, di serie diverse. Non è un discorso da Kasta indiana. No. Ma la nostra rilevanza sociale, non ha lo stesso valore. Per essere chiaro, io non valgo quel che vale Giulia Ligresti. Questo non si dovrebbe dire, e nessuno avrà il coraggio di dirlo: ma Giulia Ligresti, nonostante potrebbe valere molto meno di me dal punto di vista umano, perché magari - la magistratura ne accerterà le colpe - ha commesso reati, anche rilevanti; vale più di me dal punto di vista socio-economico. Una donna di una storica e potente famiglia del mondo economico e finanziario italiano, a rischio di ricadere nell'anoressia - ciò significa psicologicamente fragile, e fisicamente debole - che si trova in carcere, e rifiuta il cibo. E se fosse successo qualcosa a Giulia Ligresti? Qualcosa di grave, di irreparabile? Immaginate il clamore, oltretutto con tutto il casino intorno alle condizioni delle carceri in Italia. Che conseguenze avrebbe prodotto sulla nostra credibilità internazionale? E sempre a proposito di conseguenze, che cosa sarebbe successo alle azioni di Fonsai? (E parlo di azioni, non perché mi interessi personalmente, ma all'andamento del titolo in Borsa, è indissolubilmente legato il destino delle migliaia di dipendenti). Tutto questo è bello, giusto, equo, dignitoso, difendibile, corretto, umano? No. Di sicuro no, ma non prendiamoci in giro: è così.
Ma sia l'altro che questo aspetto del ragionamento - per certi versi controverso, anche perché va contro molti dei miei convincimenti -, sono opinioni. Opinioni che trovano comunque risoluzione nei fatti - per lo meno quelli che si sanno fin qui. Santi fatti, sacrosanti fatti: perché se è vero e innegabile che le le telefonate esistono (sono state intercettate e sono lì), è anche vero che già la procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, aveva ricercato informazioni sulle condizioni di salute della detenuta. Furono richiesti i domiciliari dai pm, inizialmente negati, poi concessi alla seconda richiesta dal Gip.
Tutto prima della telefonata, a quanto pare.
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