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Due Giovani a Londra

Creato il 19 settembre 2011 da Albix
london3CAPITOLO SECONDOViaggio a sud del TamigiLunedì 12 Novembre 1979Il lunedì successivo, di buon’ora, Mr. Winningoes venne a prenderci a casa, segno che i risultati delle analisi lo avevano soddisfatto appieno.In quel fine settimana, Giorgio ed io  avevamo parlato a lungo degli avvenimenti del venerdì precedente. In particolare ci eravamo soffermati ad indovinare quale genere di lavoro avremmo dovuto eventualmente iniziare, dato che Mr. Winningoes non ne aveva accennato che di sfuggita. Per quanto ne parlassimo , però, non riuscimmo a trovare una spiegazione soddisfacente. I pronostici più probabili sembravano dovere andare a favore di lavori quali: cuoco, cameriere, macellaio o alimentarista in genere; oppure assistente d’infanzia o geriatrico. Ma anche i ragionamenti più probabili si scontravano con qualche elemento di illogicità.Giorgio, per farla breve, aveva proposto che quell’uomo era pazzo o, quantomeno, doveva essere un soggetto eccentrico e sclerotico. Tra parentesi   mi fece  osservare,  riprova della sua teoria, che quell’uomo neppure ci aveva accennato al lavoro nel cantiere di quell’altro scombussolato di Mr Joking e ciò nonostante avesse detto che quella era l’agenzia  incaricata di procurare manodopera all’impresa. Al che io replicai che sarebbe spettato casomai a noi dire che ci mandava lo svitato (o scombussolato, come diceva lui) e se non l’avevamo fatto, per diffidenza o per nostro comodo, non potevamo lagnarcene. Anzi, io proprio non me ne lagnavo perchè nessun muratore di questo sporco mondo si sarebbe sognato un anticipo di 100 sterline. Mi ribattè punto su unto. Con particolare riguardo  ai soldi, egli sosteneva trattarsi di banconote false o frutto di loschi affari e, scartata l’ipotesi di rivolgersi alla polizia, coerentemente, non volle spenderne neanche un penny. Nè valse a fargli mutare opinione il fatto che io cambiassi, in differenti occasioni, tutti e cinque i biglietti che l’uomo ci aveva consegnato.Secondo lui, i miei connotati sarebbero  pervenuti, prima o poi, alla polizia e pertanto, dopo avere ripulito per bene da ogni traccia di impronta digitale le sue cinque banconote, le rimise nella busta color caffellatte, “a disposizione degli inquirenti”, come egli stesso scrisse sulla busta.Conoscendo oramai bene la sua testardaggine non volli insistere più di tanto. Io ero sicuro del fatto mio. Avevo avuto tra le mani dei soldi falsi e conoscevo bene, più di una tecnica, per identificarli. I soldi che ci aveva dato quel simpaticone di Winningoes erano buoni. Più autentici della regina che vi era raffigurata. Erano freschi di zecca e di banca, perchè si intuiva che non avevano mai circolato prima, ma frusciavano e suonavano ad oro, come si suol dire.Quanto alla logica, io me ne fregavo.  Se quell’uomo era così eccentrico (e così ricco) da divertirsi pagando anticipi a dei poveri stranieri disoccupati, ebbene, peggio per lui e buon per me che, putacaso, ero annoverato, appunto, tra quei poveracci. Eppoi, infine, se anche avesse avuto ragione Giorgio, e quell’uomo era un pazzo, in quel caso, beh, non sarebbe certo stato il primo, a Londra.Mr Winningoes non suonò il campanello dell’ingresso, ma picchiò ad una delle grandi finestre della stanza. Come facesse poi a sapere che quelle erano le finestre della    stanza che noi occupavamo nella casa, me lo chiesi soltanto più avanti. Quella mattina, fu tantl’eccitazione,  che mi preoccupai soltanto di svegliare Giorgio e di prepararmi il più in fretta  possibile.Finalmente si iniziava a lavorare. E con prospettive di notevoli e facili guadagni. E al diavolo il pessimismo e le paranoie di Giorgio!All’altro lato della strada notammo subito un pullmino verde, al cui volante il nostro amico, con impazienza, tamburellava chissà quale ritmo, con le dita lunghe e scarne. Il suo sguardo era fisso nel nulla   e     forse seguiva i suoi pensieri più intimi. Non ci notò, infatti, fino a che non fui sulla portiera  opposta alla guida e gli battei leggermente sul vetro. Si scosse un pò sorpreso e si allungò con agilità ad aprire .Fuori il freddo del mattino era pungente e quello era il solo indizio dell’ora presta, poichè il cielo, come nei giorni scorsi, era una grigia, omogenea volta di nuvole che solo la notte avrebbe occluso ai nostri occhi e che fino ad allora avrebbe mantenuto la città sotto quella luce opaca e rarefatta, alquanto simile a quei giorni di inverno che, nei paesi mediterranei, annunciano la pioggia.-” Salve! Tutto a posto?”- esordì allegramente Mr Winningoes appena ci fummo accomodati nell’ampio sedile anteriore. Non sembrò attendere risposta mentre accendeva il motorino di avviamento e si concentrava sulla guida, riprendendo forse i pensieri bruscamente interrotti poco prima.-”Buongiorno”- rispondemmo a distanza noi.-” Puoi metterla di dietro”- mi disse di seguito, indicando con il dito la mia borsa da viaggio bianco-verde che avevo invece posato ai miei piedi. La misi senz’altro al di là della spalliera dell’unico sedile frontale. Volevo fare lo stesso con la piccola borsa a tracolla di Giorgio, ma egli, senza neanche sfilarsela, se l’era adagiata in grembo e , con il capo reclinato tra la portiera e il sedile, sembrava essersi già addormentato.-” C’è un bel calduccio, qui dentro “ – commentai io allegro.-” Sì, è vero” – rispose lui secco. E subito aggiunse con tono paterno, dopo avere sbirciato Giorgio con la coda dell’occhio: -”Non avete fatto tardi ieri notte, è vero?”-.- “ No, no” – risposi io ridendo. -” Lui è sempre così, ma solo di mattina presto”-.Notai che nel frattempo eravamo giunti a Edgware rd e che proseguivamo verso Maida Vale (la seconda è la continuazione dell’altra in direzione nord-ovest).Poi il pullmino svoltò in Shirland rd, quindi in Elgin rd, sbucando alfine nella Harrow rd (un’immensa  arteria del traffico londinese che attraversa la città dalla importantissima stazione ferroviaria di Paddington sino a Wembley Park ). Percorsa quest’ultima  strada per un breve tratto, verso nord, la nostra guida invertì decisamente direzione e, attraverso un’intricata rete di strade e stradine, si orientò sempre più verso sud-ovest, passando per Notting Hill Gate, Holland Park rd, sino a Hammersmith rd.- “ Dove ha detto che andremo?” – chiesi a quel punto, alludendo come se egli avesse detto qualcosa al riguardo.-” A sud del Tamigi” -rispose lui vagamente. -” Attraverseremo il fiume dal ponte di Chiswick, poichè quello di Hammersmith è temporaneamente chiuso. Voi conoscete il  il ponte di Hammersmith, non è vero?”.- “ Ammazza’!”- esclamai io, per dire che lo conoscevo bene. Eppoi ridendo dell’espressione sorpresa del vecchio : – “Sì, lo conosco. E’ molto bello” -.- “E’ molto vecchio, anche” – aggiunse lui. -” Ora lo stanno restaurando “- concluse infine con tono indifferente.Passati a sud del fiume ben presto costeggiammo l’immenso parco di Richmond, uno dei grandi polmoni verdi di Londra. Il transito di uomini e mezzi era scarso, segno che ancora non erano scoccate le otto. Ricordai in quel momento come un giorno, nell’ora in cui i lavoratori londinesi ritornano alle loro case, dall’alto del piano superiore di un “bus”, avevo notato  numerosi passanti scomparire a fiotti nei sotterranei della metropolitana, come inghiottiti da un vorace Minosse. In quelle ore mattutine, invece, i bus rossi, con la loro possente stazza, parevano quasi volare, in quelle strade semideserte ancora avvolte nella nebbia. Prima che cadessi addormentato, davanti ai miei occhi, fu tutto un susseguirsi di insegne colorate: Barclays, Take Courage, Old Inn, Midlands, Guiness, Pale Ale, Marks and Spencer, Lloyds, Salsbury’s, le quali  piano, piano,  si confusero cogli edifici  su cui stavano affisse, formando delle buffe ed improbabili figure architettoniche che si snodavano alle anse di un veloce fiume di petrolio,  attraversato da una scia fosforescente,  sulla cui traccia, il nostro pullmino verde pareva , piuttosto, uno scafo alato.Al mio risveglio provavo un torpore diffuso per tutte le membra. Giorgio dormiva, appoggiato alla portiera, con le mani sulla borsa ancora in grembo. Sentivo, impellente, il bisogno di sgranchirmi le gambe.- “Siamo già arrivati?” – esclamò Giorgio scuotendosi ai miei insistenti richiami.- “Mortacci tua, quanto dormi! Fammi scendere, per piacere”.Lo seguii, nel suo agile balzo sulla ghiaia che ricopriva il terreno. Una brezza profumata ci solleticò leggera. Ci guardammo in giro piacevolmente sorpresi. Il pullmino aveva arrestato la sua marcia ai piedi di un filare di cipressi. Sulla sinistra, verso l’interno di una stradina in terra battuta, si intravedeva la parte superiore di un edificio in mattoni rossi, cui si univa, di fianco, un’appendice più alta e slanciata, dello stesso colore. Fu da quella direzione che vedemmo sopraggiungere Mr. Winningoes.- “Benvenuti a Heavengate” – fece venendoci incontro.Indossava un abito celeste, molto elegante e portava un paio di occhiali scuri. Solo allora notai le ombre lunghe dei cipressi ai nostri piedi.- “Avrete tempo di ammirare le bellezze del mio parco. Ora venite. Vi mostrerò la casa e le sue immediate vicinanze. Poi, dopo il pranzo, parleremo di affari” – . Così dicendo si mosse per la stessa strada, nella direzione opposta a quella per la quale era venuto. Lasua ultima annotazione mi riportò bruscamente alla realtà. Arrancando dietro i suoi rapidi passi gli chiesi dove ci trovassimo, ma parve non darsene conto. Guardai Giorgio con aria interrogativa. Per tutta risposta n’ebbi una scrollatina di spalle come a significare: “Te l’avevo detto io”.Dopo una lunga curva la stradina si raddrizzava in un leggero pendìo. Vista dal di fronte, la costruzione che prima avevamo scorta soltanto di fianco, appariva formata di tre parti. Quella centrale, più alta,si elevava di tre piani rispetto al resto. Le sue  tre finestre, una per ogni piano, strette e lunghe, ne accentuavano la figura slanciata. In cima terminava con un cornicione, in tutto simile a quelli che delimitavano ogni piano, e dei merletti di forma triangolare che gli conferivano una vaga somiglianza al campanile di una chiesa medioevale.Le due laterali, come detto, erano basse, Si dipartivano dal centro e si allargavano in perfetta simmetria, tali da formare un cuneo dall’aspetto solido e maestoso.Tre gradini sopraelevavano l’ampio atrio del sentiero. Lungo i fianchi si intravvedevano larghi e profondi  corridoi a loggiato, chiusi da luminose vetrate.- “Posate pure qui le vostre borse, per il momento” – Ci disse Winningoes, indicando due poderose poltrone in vimini che troneggiavano ai lati dell’ingresso -”faremo prima il giro della casa”.Ciò detto, discese i tre gradini e, costeggiando la casa su quel lato, procedemmo in fila indiana su uno stretto sentiero lastricato di pietra che divideva il confine laterale a vetrata della costruzione dal  giardino, delimitato,  a una distanza di tre metri circa,  da un’alta rete metallica, avvolta fittamente da verdi rampicanti.Da quello sfondo verde un mare di flagranti colori mi rimbalzarono addosso,  inebriando tutti i miei sensi. Era come se essi invitassero  la mia mente a volare, scomponendosi in quelle infinite tonalità e frantumandosi in quella geometria surreale e scomposta su chiazze informi di colore.   Udivo il nostro cicerone, chino su qualche raro fiore, spiegare a Giorgio, che lo seguiva con attenzione,  le sue origini, con dotte definizioni latine.E di nuovo la voglia di volare mi assaliva e mi immergevo ancora in quel mare d’oblio, immemore di ogni razionale pensiero, libero e fluido, in quel magico mondo di impalpabile materia.   Se solo fossi riuscito ad abbandonarmi definitivamente sulle ali di quelle sensazioni, mi   sarei perso nello spazio  e nel tempo infiniti, o sarei stato capace di ritrovare la via del ritorno? Quando,  dalle palpebre semi chiuse, colsi Mr Winningoes che mimava con le braccia l’atterraggio di un aereo, pensai per un attimo che stesse, in qualche modo, prendendosi gioco di me. Invece, attraverso un varco della recinzione, dove i verdi rampicanti del giardino si erano avvinghiati mrno diffusamente, egli stava mostrando a Giorgio un grande spiazzo in terra battuta, spiegandogli che si trattava di un aereoporto privato o personale.Ci guidò quindi sull’altro lato della casa. Quel lato del giardino era diverso da quello opposto. Vi erano delle piante di girasole, che dominavano lo spazio con i loro fogli gialli  e delle altre piante verdi, dalle foglie palmate e ruvide, disposte sul gambo, in serie opposte ed incrociate.- “ Helianthus annuus e Cannabis indica” – sentii Mr Winningoes informare Giorgio. Sulle prime non feci tanto caso a quei nomi. Mi sorprese ancora, piuttosto, la conoscenza delle definizioni scientifiche che l’uomo aveva mostrato di possedere sui fiori. Poi un suono di campanelle svegliò qualcosa nei meandri dei miei ricordi. Ma certo ! Che sciocco! Cannabis indica. Accidenti al latino! Infilai d’impeto uno dei tanti passaggi che tagliavano in profondità anche quel lato del giardino e mi avvicinai con interesse a guardare.A parte gli “Helianthus” , che per me restavano pur sempre dei comunissimi girasoli, le altre piante, come notai dappresso, avevano delle foglie bislunghe e seghettate. Alla base del tronco erano a palme di cinque, e via, via che si saliva, sino alla cima, crescevano in gruppi di sette, nove, undici e anche tredici. Alcune di esse, inoltre, quelle delle piante più alte, avevano delle infiorescienze che contenevano, sicuramente, i semi necessari alla riproduzione.- “ Ti piacciono?” – mi sentii chiedere mentre assorto facevo tali considerazioni.“- Sì, certo” – risposi io indifferente, estraendo alcuni semi da un girasole e mostrando ad un divertito Mr Winningoes che sapevo come mangiarli.-” Crescono spontaneamente ogni anno. Il mio giardiniere ed io ci curiamo solo di ripulire il terreno quando le piante seccano, di concimarle e di innaffiarle quando ne hanno bisogno. Credo che tali colture siano state impiantate dai precedenti proprietari ed io ho voluto mantenerle. Non trovate siano belle davvero?”-.- “ Oh sì, lo sono certamente”- rispose Giorgio con enfasi, mentre il mio cuore batteva forte per l’emozione.- “ Cristo, Giò! Questa è maria! Ti rendi conto che qui….?-” Shhhhhh” – mi zittì Giorgio voltandosi leggermente e ponendosi un dito indice dritto e di traverso sulle labbra, impedendomi di trasmettergli il mio entusiasmo per quella tanto gradevole, quanto inaspettata scoperta, mentre il nostro ospite ci precedeva verso l’ingresso principale.Sbucammo nuovamente nell’atrio, dalla parte opposta a quella per la quale avevamo iniziato il giro della casa. Riprese le nostre borse, seguimmo Mr. Winningoes all’interno dell’abitazione. Ci trovammo subito   in un ampio salone e di fronte all’ingresso si stagliava un’unica larga rampa di scale che terminava proprio ai piedi di una tozza porta di legno ai cui lati si dipartivano due lunghi corridoi. La suddivisione interna degli ambienti  era evidentemente modellata fedelmente sulla struttura esterna della casa.- “ Vi ho fatto preparare la stanza sul lato destro della casa” – fece  imboccando il corridoio in quella direzione  - “perchè il sole, al mattino, sorge da quella parte, ed io penso che sia meraviglioso svegliarsi con il sole. Non siete d’accordo?”-” Sì, sì” – mi affrettai a rispondere convinto, pensando che così sarei stato più vicino alle “mie” care piantine.-” Ritenetevi comunque a casa  vostra; e se non vi piace questa stanza, ve ne farò preparare un’altra – ci disse  aprendo la porta e precedendoci all’interno della stanza . – “Un’ultima cosa” – aggiunse poi apprestandosi ad andar via -”di fronte c’è il bagno; rinfrescatevi e mettetevi a vostro agio. Fra un’ora vi chiamerò per il pranzo” -. Salutò cordialmente e, chiusosi discretamente la porta alle spalle, ci lasciò soli.La stanza era ampia e soleggiata. Sulla destra  vi erano due lettini singoli, separati da due comodini sui cui ripiani trovavano posto due lampade da notte e due vassoi contenenti, entrambi, un’ampolla d’acqua e un bicchiere identici tra loro. Ci sedemmo sul letto, uno di fronte all’altro, e ci guardammo  in viso per un lungo istante .Giorgio voleva dire qualcosa, ma tutto ciò che riusciva a fare, erano degli strani versacci con la bocca, che testimoniavano la sua perplessità. Infine proruppe :- “Com’è che si chiama questo posto? Di certo non siamo a Londra; hai visto che sole, là fuori?”.-” A quanto ne so io siamo a sud del Tamigi e il posto si chiama Heavengate…”-  “ No, non dicevo la villa, ma la località! Il sud del Tamigi è come dire il sud dell’equatore”- mi interruppe nello stesso tono agitato e nervoso -” ti ricorderai dov’è che siamo passati, no?”-.- “A Giò “- feci io nello stesso tono – “tu dormivi e ora pretendi che io….”.- “Scusa, scusa “ – fece lui conciliante, alzandosi a scrutare fuori, scostando le tende della finestra.- “Ricordo che siamo passati a Kingston. Sì, l’ultimo posto che ricordo è proprio Kingston “ -dissi sforzandomi di ricordare – “poi devo essermi addormentato”.-” A posto siamo! “ riprese Giorgio ributtandosi a sedere sconsolatamente sul letto.- Ma che ti prende, Giò? Ci siamo addormentati: embè? Chi se ne frega!  Adesso a pranzo lo chiediamo direttamente a Winningoes, questo ed altro. Di che ti preoccupi?” – .- “ E’ che non mi sento tranquillo. Non lo so neanch’io perchè. Mi sembra tutto così strano, in questa storia ……” – .-” Macchè” – feci io rassicurante -. “Non c’è proprio niente di strano. Eppoi, se la storia non ci piacesse, possiamo sempre andarcene, no? “-.- “Sì, possiamo andarcene “ – fece lui scontroso, rifacendomi il verso . – “Ma ti rendi conto che qui c’è una piantagione di marihuana? Vieni, affacciati a guardare” -. Così dicendo riandò alla finestra e, scostata nuovamente la tenda, mi invitò a guardare.- “ Ah sì, è vero! “ – esclamai giulivo – Con questi discorsi me ne avevi fatto dimenticare. E non sei contento? Ti rendi conto, tu? Il tipo qua, dev’essere fuori dal mondo. Conosce i nomi latini, ma non ne conosce l’uso migliore. Per di più ci ha detto di fare come se fossimo a casa nostra. Sai che farei io, se fossi a casa mia? “-Ma il mio entusiasmo non sembrò minimamente contagiarlo. Mollò il  lembo della tenda e dopo essersi accesa una sigaretta, in una nuvola di fumo, disse con impeto:- “Ma come fai tu a vedere solo il lato allegro delle cose? Se arrivasse la polizia qui, cosa le racconteresti? Che tu sai solo di essere a sud del Tamigi? Che ti sei addormentato a Kingston e balle simili? E magari sei anche convinto che ti credano? Sai che ti succede, invece? Ti portano dritto, dritto a Brixton, ti chiudono in cella e la chiave la buttano a mare. Ecco cosa ti succede!” -.- “ Calma, calma! Innanzitutto siamo in Inghilterra, un paese civile e non nel Terzo Mondo. Anche qui ci vorranno delle prove per arrestare qualcuno. Eppoi, perchè dovremmo pensare al peggio? Forse che il tipo, laggiù, sembra uno che ha a che fare con la droga e con la polizia?- “ E perchè no? Magari è uno spacciatore e ci vuole coinvolgere nei suoi traffici! Non lo hai sentito prima, che parlava di piste di atterraggio e di aerei privati? “ -.- “ Spacciatore? Ma quale spacciatore e spacciatore! Ti metti anche a fare il moralista, adesso? Mi sembra di sentir parlare mio padre! Io ti dico, invece, che la nostra presenza qui, non ha niente a che fare con quelle piante! E vedrai tu se mi sbaglio. Il vecchio non le ha neppure piantate. Delle due, una: o è un paraculo il giardiniere; oppure quelle piante crescono a causa dell’inseminazione naturale. Quanto alla polizia, sta’ pure tranquillo. Questo Winningoes è un riccone impaccato di soldi, e qui in Inghilterra, i ricconi, la polizia li lascia in pace” – .“ Comunque sia, dovrai pur ammettere che questa vicenda presenta dei lati, quantomeno, oscuri e incomprensibili” -.“ E quali sarebbero questi lati oscuri?”“ E me lo chiedi? Non sappiamo neanche dove ci troviamo e cosa siamo venuti a fare in questo posto! Abbiamo incassato un anticipo di 100 sterline ma nessuno ci ha ancora detto per quale lavoro. E per te è tutto chiaro?- “ Ti sei per caso scordato che qui siamo a Londra? E ti ti meravigli che ci sia uno che dà 100 miserabili sterline di anticipo in una città dove un paio di stivali per la caccia alla volpe costano, minimo, minimo, 700, dico,  set-te-cen-to sterline?! Andiamo sù! Può anche darsi che al vecchio Winningoes manchi pure qualche rotella! E con ciò?  Ci dovrà pur dire, prima o poi, che cosa vuole che facciamo per lui? Noi eseguiremo il nostro lavoro, lui ci paga, e ciccia! Purchè paghi bene, perchè anche qui a Londra, se non hai soldi, sei un pezzo di merda, meno d’un cane “. -- “ Sempre che si tratti di un lavoro regolare ed onesto!! Io finora ho sentito parlar di tutto meno che di lavoro. Eppoi, perchè ci ha portati qui? Non ce lo poteva dire direttamente all’Agenzia di che cosa si tratta? Tutti questi misteri, queste stranezze, mi insospettiscono. Non posso sentirmi tranquillo, capisci? “-.- “ E va bene! Ammettiamo pure che non tutto sia andato come normalmente dovrebbe andare. Però spiegami per quale motivo le cose dovrebbero andare sempre in un dannato, banalissimo e normalissimo modo? Vogliamo anche noi ridurre la vita ad un rigido e freddo copione teatrale dove tutto è stato già scritto e stabilito?” -.Mi fissò con uno sguardo intenso e profondo. Sapevo di aver toccato un tasto a cui il suo animo era sensibile. Sostenni il suo sguardo, forte delle mie argomentazioni, fino a che egli non parve vinto. Poi ripresi, in tono persuasivo, sedendogli accanto: - “ Forse non ce ne siamo resi conto, ma stiamo vivendo un’avventura di quelle che abbiamo sempre desiderato di vivere. Perchè rovinare tutto sulla base di semplici congetture? O magari per paura? Abbandoniamoci al corso degli eventi, senza pensarci sù troppo. Io sento che stiamo percorrendo un sentiero sicuro, un sentiero giusto, un sentiero che ha un cuore!” – .Si alzò e , accesasi una sigaretta, si passò la mano destra sulla nuca. Era il suo modo di riflettere nei momenti critici, prima di una decisione importante.- “ Lo scopriremo percorrendolo, se ce l’ha” – disse infine. E, presa la sua borsa, aggiunse che andava in bagno.Quando, più tardi, Mr. Winningoes bussò discretamente alla porta, eravamo già immersi in una partita a scacchi, su una scacchiera, con i pezzi stilizzati, in metallo lucido, che avevamo trovato, in bella mostra, su di un tavolino circolare che occupava il centro della stanza.- “ Sapete giocare a scacchi?” – esclamò entrando nella stanza. -” Molto bene, molto bene “- fu il suo compiaciuto commento al nostro fugace assenso.- “ Avrete modo di giocare a lungo, se lo vorrete. Ma ora, se non vi spiace, il pranzo è pronto. Seguitemi, prego. “-Un poco mi dispiaceva di mollare la partita. Ma la fame incalzava.- “ Stavolta ti sei salvato in calcio d’angolo, Giorgio; non avresti avuto scampo, ormai!” -- “ E perchè mai ? “- fece lui sorpreso. -, “ Dopo la continuiamo, e vedrai cosa ti aspetta “ – .- “ Sì, va bene. Andiamo a mangiare, ora. C’ho una fame che non ti dico! “ – e gli battei una pacca sulla spalla, come per dire che degli scacchi, almeno con lui, non mi fregava di vincere o perdere. Capì, e mi sorrise lievemente. Ci avviammo di sotto, dove Mr. Winningoes ci attendeva pazientemente ai piedi delle scale.Dopo il pranzo, quando, oramai sazi, piluccavamo pigramente con delle forchettine dal manico d’avorio in una coppa di gustosa macedonia colorata, Mr Winningoes, dopo aver attratto la nostra attenzione schiarendosi a più riprese la gola, cominciò la sua storia.Fine Capitolo Secondo…Continua…

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