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Due giovani a Londra

Creato il 17 novembre 2011 da Albix

Due giovani a Londra

EPILOGO (della Prima Parte)

La storia di Mr Winningoes era finita. O  così pareva, almeno per il momento.   Aveva terminato il suo discorso,   assumendo quegli esaltanti atteggiamenti da profeta, da grande demiurgo, inviato, salvatore dell’Umanità che, in più d’una occasione, nel corso del suo appassionante racconto, ci avevano sconcertati e talvolta spaventati; ancora una volta si era fermato con quel suo dito indice, scarno e lungo, sostenuto a mezz’aria, ad indicare forse la remota origine dei suoi supremi mandanti, irrigidendosi infine, in tutta la persona, con gli occhi sbarrati, immobile come una statua. Poi lentamente era rinvenuto dal suo tanto repentino, quanto provvisorio coma e aveva riacquistato la mobilità degli occhi e delle membra. Si era guardato attorno come se provenisse da un altro mondo e volesse capire il luogo in cui un’invisibile nave spaziale lo avesse fatto naufragare. Mi venne in mente, proprio allora, come un flash-back,  un vecchio compagno di giochi della mia infanzia che soffriva di epilessia. A volte, nel bel mezzo dell’azione, improvvisamente, veniva colto da una crisi. Se ne stava fisso, con un’orrida espressione in volto, per alcuni interminabili secondi. Poi rientrava in sé e, come se niente fosse, riprendeva il gioco da dove lo aveva lasciato. Così fece Mr Winningoes, dopo essersi ripreso.

- “ Il racconto della mia vita passata è finito.  Avrei  ancora tanto da dirvi, ma ciò   che segue fa già parte del presente, del grandioso programma che io attuerò, non appena gli ultimi, finali ma fondamentali tasselli andranno al loro posto” .

La sua voce stavolta suonò bassa e pacata, ma Giorgio non  ne aveva perduto un solo sfiato. Tant’è che utilizzando le sue stesse parole gli rivolse quella domanda che probabilmente gli arrovellava il cervello sin dal venerdì precedente.

-“ Le chiedo scusa, Mr Winningoes,  ma noi come entriamo in questo vostro, grandioso programma? “

La domanda poteva sembrare velata da un tono di ironia, ma Giorgio fu così serio e compìto nel formularla, che anch’io la presi seriamente.

Il nostro ospite parve non udire, immerso, come era suo solito,  quando non parlava, nelle sue remote elucubrazioni a capo chino, ma riscossosi all’improvviso alzò il capo e, dopo averci ammantati con uno sguardo benevolo e gratificante, disse:

“ Voi? Voi, amici miei?  Ma voi avete un grande, importantissimo ruolo in questo mio grandioso programma! Sentite bene” – soggiunse col  tono confidenziale di chi sta per svelare un eclatante segreto – “ voi credete, erroneamente, che io vi conosca assai poco; voi pensate che io vi abbia conosciuti quel giorno, all’Agenzia  ‘Geenna Geld’ e che mi sia bastato analizzare il vostro sangue e la vostra urina oppure leggere le vostre risposte a quelle banali domande dei formulari per valutare le vostre qualità. E invece no, amici miei!!! E’ giunto il momento che io vi dica tutta la verità. Di come ho sondato bene i vostri animi, a vostra insaputa, e non per ingannarvi, badate bene, ma perché il ruolo che vi è riservato in questa grande impresa, se voi vorrete accettarlo, me lo imponeva.

 Io infatti ero in quel bar italiano di Leicester Square, a Londra, quella mattina in cui voi vi incontraste per la prima volta, seduta a fingere di sorseggiare una bibita, nei panni di una insignificante turista!

Io ero Shailesh, lo studente indiano di scienze economiche che venne ad abitare sopra di voi, a Warwick Avenue!

E sempre io ero, ora l’arzillo vecchietto, ora il poliziotto gentile, ora l’anonimo, affamato barbone che seguiva, sotto mentite spoglie, i vostri passi!

 Io, che più di Flambeau, eccello nell’arte dei travestimenti, maestro di illusionismo e magia, ho scoperto in voi, giorno dopo giorno, da quel mattino in Leicester Square, i nobili sentimenti che albergano nei vostri cuori. E tutto ciò perché voi, non a caso, siete stati sospinti al di qua della Manica! Come Giulio Cesare e anzi più di lui, voi siete arrivati sin qui per compiere i grandi disegni del Cosmo! Ed ora, vogliate scusarmi per qualche minuto!”.

Così dicendo l’uomo si diresse con insospettata energia  fuori dalla saletta. Era davvero un personaggio fuori da ogni schema e imprevedibile! Ma ora tanti, piccoli particolari, giudicati strani o insignificanti, mi tornavano alla mente e assumevano un significato diverso. Anche se ancora non riuscivo a capire dove egli volesse andare a parare. Giorgio, al pari di me, appariva pensieroso e frastornato.

-   “ Che ne pensi, Giò “ – gli chiesi.

-   “ Cosa vuoi che ti dica?! Qualunque cosa sia, non mi aspetto niente di buono da questo pazzo esaltato” – mi rispose in tono cupo.

-   Shhh! Parla piano! Non dimenticare che è anche un cultore della lingua  italiana “ – feci io abbassando il tono della voce, a metà tra il serio e il faceto.

 Ma il mio amico mi prese tanto sul serio che si domandò, guardandosi in giro con fare circospetto, se per caso non vi fossero addirittura delle microspie o delle telecamere nascoste. Scrupolosamente  indaffarato,  si diede a controllare dietro quadri e mobili vari, mentre io lo canzonavo dicendogli che aveva letto troppi libri di spionaggio, quando si udì un tocco breve ma deciso alla porta.

-   “ Avanti” – dicemmo Giorgio ed io all’unisono.

   La persona che ci apparve davanti era l’ultima persona al mondo che io mi sarei aspettato di vedere.

-   “ E sempre io ero Mr Joking, il manager della Winpey Building Company Enterprise! Sorpresi, cari amici?” .

Impettito ed elegante, sorridente e beffardo, quell’uomo, che ormai non sapevo davvero più come chiamare, ci osservava con un’aria del tutto diversa da quella  usuale del vecchio, strampalato scienziato cui ci eravamo abituati in quella rocambolesca giornata.

 Ritto come un fuso, pareva più alto e imponente, più robusto, sicuramente grazie a qualcuno dei suoi trucchi. Indossava gli stessi indumenti del venerdì precedente e, con i pollici infilati all’interno della vita dei suoi pantaloni, ci osservava in una posa buffonesca,  evidentemente divertito dal nostro esterrefatto smarrimento.

-   “ Ma come ha fatto?” -  riuscì a dire Giorgio, rivolto più a me che a lui.

“E’ semplice, amici miei. Più semplice di quanto immaginiate. Ve l’ho detto: noi siamo usi guardar le cose con gli occhi dell’abitudine, nella convinzione che esista solo la realtà ordinaria; e troppi particolari, così, ci sfuggono. Ciò che noi crediamo essere unico ed assoluto, è solo uno dei  mondi possibili, che sono consecutivi e posizionati come gli strati di una cipolla. Il fatto  è che noi non ci  rendiamo conto di avere a disposizione altre “attenzioni possibili”, le quali andrebbero sviluppate. Se noi riuscissimo a incrementarle, arrivando cioè a “percepirle”, ad averne piena coscienza, noi potremmo entrare in queste realtà non ordinarie.

Ed è ciò che io ho fatto con voi.

 Certo, ora che voi sapete,  non vi è difficile riconoscere in questa, apparentemente, giovane figura la mia reale identità di Lord Patrick Parnell Winningoes. Ma allora voi non sapevate, non potevate sapere”.

     In effetti, guardando bene la sua testa ed il suo viso, e spogliandolo mentalmente delle folte sopracciglia, del parrucchino e del cerone che sicuramente ricopriva le sue scarne guance, era facile immaginarsi il vecchio Lord inglese che ormai potevamo affermare di ben conoscere.

-   “ Ma “ – riprese quell’uomo – “ voi mi avete fatto una domanda, alla quale,  in verità, avrei dovuto rispondere già da tempo, se non che aspettavo il momento giusto. Credo che questo momento sia ora giunto, cari amici.

-   Vi dico sin d’ora che il teatro delle vostre gesta, se voi, come io auspico, accetterete di prender parte all’impresa, sarà l’Irlanda. Da lì dovrà partire la riscossa  dell’Umanità afflitta e repressa; proprio con la riunificazione dell’isola irlandese.

-   Ma questo è già qualcosa che non vi riguarda direttamente e non pretenderò certo che voi mi seguiate in questo; né mancherà chi saprà svolgere efficacemente tale compito. Nel vostro lavoro non ci saranno né implicazioni ideologiche o politiche, né implicazioni di carattere legale. Un punto è però fondamentale in tutta la questione: il vostro trasferimento in Irlanda. E’ inutile che io vi parli del vostro compito nell’impresa, se voi non accettate, sin d’ora, il trasferimento nella mia vera  patria d’origine.”.

Così dicendo si era accostato ad un mobiletto in legno e, apertovi un cassetto, ne estrasse di seguito una cartina geografica ripiegata. Sbarazzò il tavolo dalle tazze e dal vassoio che lo ingombravano e vi svolse la cartina, che occupò tutto il ripiano, con gli angoli che debordavano lievemente  lungo la sua circonferenza.  Raffigurava, fisicamente, tutte le isole britanniche, dal Canale della Manica al Mare del Nord.  Facemmo capannello, in piedi, attorno al tavolino.

-   “ Vedete, amici, noi siamo qui .” – Così dicendo aveva indicato col dito indice,  scarno e lungo, della mano sinistra una isoletta a sud dell’Inghilterra. Era, come avevo sospettato, l’isola di Wight. Senza attendere alcun nostro eventuale commento continuò:

-   “ Da qui, se accettate di venire, voleremo con il mio aereo privato alla volta di Geenna Geld, la mia residenza a sud di Dublino e lì, soltanto lì, potrò illustrarvi a pieno ciò che io desidero facciate per la mia causa.

-   Non abbiate timore e non tentennate. Non pretendo che voi agiate, come me, per supremi  ideali. La vostra opera sarà adeguatamente ricompensata, ed in qualsiasi momento sarete sempre liberi di andarvene. Definiremo, se del caso, tutti  i particolari, domattina. Pensateci bene, riflettete sulla grande, irripetibile opportunità che vi si presenta e cercate la giusta decisione nei vostri animi.”

Ciò detto, ripiegò la cartina e la ripose nel cassetto dal quale l’aveva estratta. Poi aggiunse:

-   “ Vi ho trattenuto a lungo, amici miei, e me ne scuso. Noi vecchi ci abbandoniamo spesso ai ricordi e non consideriamo che i giovani hanno più da vivere che da ricordare.

-    Andate pure. Heavengate è casa vostra. Il parco della villa è immenso e potete girarvi a vostro piacimento. Io non posso accompagnarvi, ma all’ora di cena saprò farmi trovare. Buon divertimento dunque, e a più tardi!”

Così dicendo aveva aperto la porta dello studiolo e vi si era impettito,  di  lato, come un soldato che ceda  rispettosamente il passo ad  un suo superiore. Nonostante il travestimento, nel comportamento e nel tono dei suoi discorsi era prepotentemente riemerso lo scienziato votato alla salvezza del mondo. Lo salutammo mentre già puntavamo, vogliosi di restare finalmente soli, attraverso il grande salone dove avevamo a lungo pranzato, verso il portone di ingresso. Fuori la giornata si era mantenuta chiara e il cielo era terso e luminoso. Respirammo a pieni polmoni l’aria fresca e profumata. Il sole volgeva a occidente e, dopo una breve sosta tra i girasoli e le piante di canapa indiana, puntammo proprio in quella direzione del parco, lasciando il giardino per mezzo di  un’apertura della rete di recinzione. Attraversata nel senso della larghezza la pista di atterraggio, ci dirigemmo alla volta di un boschetto, posto sul suo  confine, dal lato opposto della casa. Dopo una breve penetrazione ci fermammo ai piedi di un possente olmo, in uno spiazzo pianeggiante ed erboso. Ci impossessammo di  quel comodo tappeto verde, pronti a rilassarci, finalmente soli. Mi sdraiai sulla schiena, appoggiando la nuca sulle palme intrecciate delle mani, mentre Giorgio, sedendosi con le gambe incrociate, aveva preso ad armeggiare con delle cartine e dell’erba secca che aveva raccolto alla base delle piante di marijuana, di passaggio nel giardino della villa.

-“ E’ molto bello, qui” – disse Giorgio passandomi la canna affinché io l’accendessi.

-“ E’ una favola, Giò” – gli risposi con il mio miglior sorriso. Fumammo in silenzio, per un po’, quella soave delizia della natura. La giornata era stata così densa di avvenimenti e di emozioni che probabilmente non sarebbe bastato un anno di tempo per metterli bene a fuoco. Eppoi c’era la questione dell’Irlanda, ancora da risolvere. Ci saremmo andati oppure no? Avremmo accettato inopinatamente la proposta, ambigua e misteriosa di quell’uomo indefinibile? E non c’aveva fors’egli condotti a Heavengate a nostra insaputa? Non c’aveva egli stesso dichiarato che il suo scopo principale era quello di riunificare l’isola irlandese? Senza contare,  poi, tutti quei vaneggiamenti sulla super razza, sul riscatto dell’Umanità e sull’Aurora  del Nuovo Mondo che deponevano a favore delle preoccupazioni che il mio amico Giorgio aveva , a più riprese manifestate, e che io avevo tenacemente respinto!

 E se invece avesse avuto ragione proprio lui? Queste ed altre numerose domande si incrociarono nella mia mente, ed a nessuna di esse mi riusciva di dare una risposta soddisfacente.

Un senso indescrivibile di angosciosa impotenza sembrò impossessarsi del mio essere sul filo di quelle prolungate, affannose riflessioni. Feci uno sforzo di volontà per allontanarle dalla mia mente. Non valeva la pena di complicarsi la vita, cercando di comporre un quadro di logica coerenza con degli elementi così eterogenei e dissimili.

 Tanto valeva, perciò, di lasciarli liberi di comporsi a loro piacimento in qualche altro angolo remoto dello spazio. Rilassai tutte le membra del corpo, lasciandomi andare completamente sul soffice manto erboso, adagiando nel contempo i miei sensi tra lo stormire degli alberi ed il concerto degli altri suoni che ad esso sembravano contraltare. Pensai di affidarmi, per gioco, alla sorte. Visualizzai così una enorme margherita gialla e, lentamente, mi apprestai allo spoglio: Irlanda, non Irlanda; Irlanda, non Irlanda; Irlanda, non Irlanda……. Mi ritrovai a sperare che l’ultimo, soffice petalo bianco a restare attaccato al bocciuolo giallo e splendente di quel magico, odoroso sole, cadesse tra le mie braccia al dolce suono di ‘Irlanda’.

Si! Volevo che quella strana avventura, trabocchevole di emozioni e mistero, di incredibili realtà e verosimili magie, continuasse ancora. Anzi,  volevo che non finisse più! Perché in fondo era quello ciò che il mio animo bramava. L’avventura, la magica, fantasiosa avventura che uccide la noia e l’abitudine; una vita dove l’estro più recondito dell’animo emerge a sconvolgere le scontate regole del vivere  quotidiano; dove i colori, come quelli del giardino di Heavengate, vincono sul grigiore dei palazzi di cemento; la musica e la pace dell’isola di Wigth sui rumori della città; il brivido dell’imprevisto, giorno dopo giorno, sulla piattezza del già vissuto, sul monotono susseguirsi di giorni squallidamente tutti uguali.

Non so dire quanto tempo trascorsi, sospeso in quella gradevole dimensione! Fu un brivido leggero, passandomi nella schiena, a richiamarmi alla realtà. Vidi Giorgio disteso sulla schiena, con le gambe accavallate e con una mano dietro la nuca, mentre con l’altra aspirava pensoso il fumo di una sigaretta, emettendo degli sbuffi a nuvola,  come dei segnali di fumo inviati a immaginari osservatori del cielo.

“- A Giò, te lo saresti mai immaginato che saremmo finiti sull’isola di Wigth?”

“- Eh già! “- mi rispose con un sorriso rilassato e felice il mio compagno, guardandomi intensamente negli occhi.

Quello sguardo, quelle scarse parole e il silenzio che ne seguì mi trasmisero più di centomila parole o di centomila libri messi insieme. Mi trovavo in uno di quei rari momenti in cui la tua anima sembra fondersi con quella di un tuo simile e con il mondo intero, come se Giorgio, io, i suoni degli uccelli che si rincorrevano nel bosco, di cui rilevavo le diverse intonazioni e i differenti timbri, gli altri suoni circostanti e l’intero paesaggio intorno fossimo una sola unità di materia e di pensiero.  Volsi lo sguardo in alto. Il lussureggiante fogliame sulle nostre teste, lasciava appena filtrare, a sprazzi informi, dei raggi di sole, che rendevano l’erba lucente e viva come mai l’avevo vista prima di allora. Così ci ritrovò Mr Winningoes, tempo dopo.

-“  Vedo che l’incantesimo di Heavengate ha conquistato anche voi, miei giovani amici. Ne traggo davvero un immenso piacere. Vi chiedo scusa, ma il sole è tramontato da un pezzo e tra un po’ scenderà il buio e farà molto umido,  in questo posto. E’ meglio rincasare”.

Così dicendo ci indicò di seguirlo.  Il sentiero che imboccammo nel bosco, doveva aggirare la pista, perché sbucammo direttamente nella parte occidentale della casa.

Più tardi, a cena, un Mr Winningoes tranquillo e rilassato ci tenne simpatica e gioviale compagnia. Avvertii che ormai si sentiva a suo agio insieme a noi, forse perché ci aveva confidato la sua storia. Molte delle barriere iniziali erano cadute e un’aria serena si era stabilita tra di noi.

Dopo cena andammo in biblioteca dove il nostro ospite ci mostrò, con evidente orgoglio, i suoi numerosissimi libri, ed in particolare quelli in lingua italiana, di cui si confermò un appassionato cultore. Tra questi ultimi ci indicò una serie di libretti  dal formato tascabile che, a suo dire, contenevano il meglio della letteratura  e della poesia rinascimentale italiana. Il che equivaleva  a dire, egli puntualizzò, che si trattava della quintessenza della letteratura umana di ogni tempo.

 Ne scegliemmo fra questi ultimi, dietro sua gentile insistenza, uno a testa e, augurataci la buonanotte ci ritirammo nella nostra stanza. E mentre Giorgio, che crollava dalla stanchezza, posò il suo sul comodino, senza neppure aprirlo io, non senza prima avergli chiesto licenza di tenere la luce accesa, aprii con curiosità il mio. Sulla facciata posteriore del risguardo, un viso dalla fronte ampia e stempiata, piantata su un collo slanciato, adornato con un colletto bianco simile a quello che un tempo usavano i sacerdoti cattolici a chiusura dell’abito talare, mi fissava   con lo sguardo profondo e un’espressione beffarda. Il frontespizio era illeggibile, salvo che a piè di pagina dove, tra il giallo umidiccio che macchiava quasi tutta la paginetta, si riusciva a leggere: ‘Firenze – G. Barbèra, Editore. – 1862’. Mi accinsi  subito alla sua lettura ma, nonostante il mio entusiasmo, la fatica e le emozioni di quella indimenticabile giornata presero il sopravvento sulla curiosità e, spenta la luce, caddi in un piacevole sonno, non senza che prima, nella mia mente, danzassero come fiaccole riverberanti quelle poche frasi dianzi lette:

Tutti gli Stati, tutti i dominii che hanno avuto ed hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e  sono o repubbliche o principati. I principati sono, o ereditari, de’ quali il sangue del loro signore ne sia stato lungo tempo principe; o e’ sono nuovi. I nuovi, o sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza; o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è il Regno di Napoli al re di Spagna. Sono questi dominii così acquistati, o consueti a vivere sotto un principe, o usi a esser liberi; ed acquistansi o con l’armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù”.


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