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Due giovani a Londra

Creato il 14 marzo 2012 da Albix

 Due giovani a Londra Trovare un uomo con una simile eredità culturale, un uomo giovane e piacente, non sarebbe stato semplice. Lo avrei dovuto osservare, a sua insaputa, nel suo ambiente sociale; udire, inosservato i suoi discorsi; dedurre e immaginare i suoi pensieri, le sue ambizioni più recondite, le sue più alte  e nobili aspirazioni. E una volta trovatolo avrei dovuto verificare ancora la sua perfetta integrità fisica e mentale. Ed infine introdurlo al cospetto di Eva.

E se non le fosse piaciuto? Sarebbe stato egli in grado di capire una personalità dal carattere particolare com’era Eva? Sarebbe riuscito ad amarla?

Confidai,  come sempre, nella mia buona sorte. Eva era perfetta. Non poteva chiedere l’impossibile e non poteva non essere apprezzata ed amata da un uomo illuminato da sentimenti così nobili e profondi. Si aggiunga che il mio progetto era, in ultima analisi, rivolto alla salvezza dell’Umanità e, pertanto, non dovevo e non potevo lasciare niente di intentato. Tutto ciò che era nelle mie possibilità andava fatto. Il resto era al di fuori della mia sfera di volontà.

Mi recai così a Londra. Adesso sapevo cosa e chi cercare. Dentro di me sentivo di essere sulla buona strada. Sotto mentite spoglie e dopo mille travestimenti finalmente sentii di aver trovato l’uomo vagheggiato da Eva, nella persona di un giovane studente universitario che   era arrivato a Londra inseguendo i suoi sogni di libertà e di avventura, dopo avere abbandonato in Sardegna una promettente carriera universitaria. Ero entrato in contatto con lui e con gli  amici che frequentava, raccogliendo in modo soddisfacente un numero più che sufficiente di informazioni. Questo giovane sembrava incarnare tutte le caratteristiche richieste da Eva. Avevo già preso la decisione di contattarlo quando successe una cosa tanto strana quanto inattesa: il giovane prescelto assunse improvvisamente e inopinatamente un atteggiamento del tutto nuovo e diverso rispetto a prima,  prendendo a comportarsi come se fosse un altro. Cominciò quindi a presentarsi con  un nome diverso, cambiando contemporaneamente indirizzo, metodi e stili di vita. All’inizio fui così sorpreso e interdetto da questo suo repentino cambiamento, da non rendermi neppure conto completamente di ciò che stava avvenendo praticamente sotto i miei occhi. Soltanto quando lo persi di vista, mi resi conto di tutto. Seppure deluso, continuai a cercare e quando stavo sul punto di rinunciare, improvvisamente, un altro giovane, con le sue stesse, identiche caratteristiche psico-fisiche, incrociò la strada della mia ricerca. La somiglianza era tanta e tale che se non lo avessi colto, mentre in un bar del centro di Londra, si presentava  con  un nome diverso, avrei pensato sicuramente che si trattasse della stessa persona, pur se non potevo escludere che si potesse trattare  anche di un suo gemello omozigote.  Ma in fondo la circostanza si dimostrò davvero secondaria, soprattutto quando, con l’intensificarsi della mia oculata osservazione, mi resi conto che l’amico romano col quale si era conosciuto il giorno del mio primo contatto nel bar londinese aveva, in gran copia, quelle caratteristiche che tanto affascinavano la mia Eva. Li contattai entrambi e, seppure non senza difficoltà, domani li presenterò a Eva, che ci attende ad  Gehenna Geld. Sarà poi  Eva ad indicare il suo prescelto ed io spero di ottenere la loro piena ed incondizionata adesione per avviare finalmente la fase conclusiva del mio progetto.

Di più, oggi, non mi è dato di sapere. Trovo conforto e distrazione, nell’attesa del gran giorno, soltanto nelle mie osservazioni astronomiche. Guardo le stelle del mio telescopio. Ciò che vedo, io realizzo, è successo milioni di anni orsono e se fossi su Alpha Centauri, vedrei ciò che la Terra ha vissuto 40.000.000 di anni luce fa.

Ma il futuro, chi può predirlo? Se potessi volare, alla velocità della luce, verso quella stessa stella, vi arriverei per vedere esattamente ciò che vedrei standomene qui, sulla Terra, perché le immagini terrestri mi seguirebbero, fedelmente, alla mia stessa velocità. Non guadagnerei neppure una frazione di secondo in più. Meglio quindi volare con la fantasia. Al tramonto della mia vita, vedo vacillare uno dei miti della mia gioventù, rendendomi conto che gli abiti della scienza sono troppo stretti e soffocanti per un uomo che ami l’avventura.

Sono anche convinto che ogni uomo abbia il suo destino segnato e che il suo destino sia, in qualche modo, interdipendente col destino degli uomini con cui egli si incontri. Come ciò sia, io non so spiegare. So dire però per certo che questo destino non si compie per puro caso e per fortuiti eventi, ma in conseguenza degli impulsi che il  cervello imprime all’azione di un uomo dietro sollecitazione dell’ambiente esterno.  Il mistero del nostro destino risiede proprio nella perfetta, mirabile sintesi tra il nostro potenziale genetico e l’ambiente con cui egli si misura. Poiché non esistono in natura due cervelli uguali, identici stimoli esterni, provenienti da uno stesso ambiente, non produrranno mai analoghi  risultati. Così vi sarà chi si adagia alle abitudini della vita, povere o ricche che esse siano, senza chiedersi il perché di tante cose, pago del noto; e vi sarà invece chi, sospinto dalla irrequietezza e dalla smania di sapere, si muoverà in mille direzioni e farà fortuna, o perirà; e si dirà che diversi erano i loro destini ma, invero, erano diversi i loro cervelli. Eppure, al di là della misera scatola cranica, vi sono disegni occulti che noi trascendiamo e che agli uomini non è dato di conoscere. Il cervello, in fondo, proviene dal Cosmo, ed è una infinitesima parte di un unico sistema:  nella sua interazione con le altre unità che lo compongono, può soltanto esprimere una frazione di esistenza, necessariamente in armonia col Tutto, nel bene e nel male che,  pure, Esso, entrambi contiene. Ogni più piccolo, banale accadimento, ogni più grande, eclatante evento, accade perché deve accadere.

E così è per me, voi che leggerete questo scritto. Ciò che sarà dei miei programmi, delle mie ambizioni, dei miei desideri, accettatelo, perché così doveva essere. Quando avrò cessato di vivere, ogni mio sforzo per cambiare il mondo sarà stato vano, perché il mio cervello mi ha guidato verso i miei vani sogni, ed il Cosmo avrà assistito impassibile al declino di una dei mille miliardi di parabole che compongono la vita dell’uomo sulla Terra, utile e importante nel suo limitato spazio di azione, ma inutile e insignificante nei grandi disegni del Cosmo.

Stasera, al tramonto, mentre mi accingevo a vergare queste righe di commiato dal mondo materiale, ho visto tre corvi volare verso oriente, in direzione dell’Irlanda. Il loro canto mi è sembrato un presagio. Mi è tornato in mente quanto mi predisse una vecchia bruja messicana, nelle peregrinazioni della mia gioventù, e cioè che alla mia morte, il mio spirito sarebbe volato verso oriente, sotto forma di corvo, al seguito di altri tre corvi che sarebbero venuti a prendermi, per condurmi alla mia nuova dimora. Non so quanto tempo mi rimanga ancora, ma sento che quei tre corvi mi hanno preceduto in Irlanda, dove mi attendono per il mio ultimo viaggio.

Seppellite le mie spoglie materiali,   nel cimitero di famiglia, là, dove giacciono mia madre, il mio Adam, la sua Eva, che portava in grembo l’embrione di un futuro che mai vide la luce.  Ho vissuto nel tormento di mille perché ed ora, che i miei giorni si accorciano, sento che di tutti si avvicina la risposta e che con la morte scoprirò finalmente la vera essenza della vita.”

POSTFAZIONE

Quella stessa mattina lasciammo l’Irlanda  per Londra. L’aiutante di Lord Patrick Winningoes ci consegnò una busta a testa con cinquanta biglietti da 20 sterline cadauna. Nel consegnarcele ci disse che il suo padrone gli aveva chiesto di tenerle  pronte per noi,  come compenso per il disturbo che ci eravamo presi per lui, oppure come ulteriore acconto, per l’ipotesi in cui avessimo accettato di collaborare con lui. Diede un buffo colpo di glottide, prima di pronunciare, il verbo “collaborare”; in altre circostanze mi sarebbe apparso comico, ma in quella situazione mi sembrò semplicemente fuori posto; o magari fui io ad attribuirgli  un’intenzione che l’uomo non aveva affatto; quindi concluse che quei soldi erano nostri.

Alla luce di questo fatto e, soprattutto alla luce di quanto avevo letto in quella sorta di testamento spirituale che   avevo letto nell’immediatezza della notizia della morte del nostro eccentrico ospite, mi resi conto che le mie diffidenze e le mie paure nei confronti di quell’uomo, erano state completamente ingiustificate ed infondate. Big Joe ci accompagnò all’aereoporto e ci lasciò con un mesto augurio di buona fortuna.L’aereo della British Airways atterrò a Luton nel primo pomeriggio di un giorno grigio e piovoso. Continuammo in silenzio, così come l’avevamo iniziato, quel mesto viaggio di ritorno a Londra, da cui eravamo partiti soltanto alcuni giorni prima. Sembrava fosse passato un secolo da quando era iniziata quella strana avventura.

Con quello che ci restava delle mille sterline della liquidazione decidemmo di tentare il salto transoceanico. A me accadde come a  Cristoforo Colombo: anch’io avevo  l’India nel cuore e arrivai invece  in America. Mi consolava il fatto  che il Messico sarebbe stato più raggiungibile dal sudamerica che non dall’Europa. E siccome il mio compagno di avventura aveva un carissimo amico che viveva e lavorava in Venezuela, comprammo un volo charter per quel paese,   ma scoprimmo solo all’aereoporto di Caracas che eravamo sprovvisti del visto di ingresso e quindi non potevamo entrare. Per fortuna il volo prevedeva lo scalo a Panama, quindi sulla via del ritorno, ci fermammo nella capitale centroamericana per tentare di procurarci un visto. Non fu affatto facile e, dopo diverse  disavventure, che qui tralascio per brevità, il mio amico preferì tornarsene a Roma.

Io, dopo diverse peregrinazioni, decisi di continuare la mia ricerca personale nei luoghi della mia nascita. Avevo bisogno di ricollegarmi alla storia che avevo interrotto prima di partire per Londra, diversi anni prima, perché, non riuscendo a trovare la mia nuova dimensione personale, ero sprovvisto anche di quella antica,  rimasta in Sardegna e che io non ricordavo più esattamente quale fosse.

A pensarci bene anche la narrazione di questa storia  è stata una tappa della mia ricostruzione personale. Non a caso, e spero che il lettore non me ne vorrà, l’ho raccontata con gli occhi del mio compagno di viaggio, come se fossi un altro che guardasse verso  me stesso, raccontando la storia.

A questo proposito dirò che una delle  scene  iniziali del romanzo, quella  del bar di Leicester Square dove ho conosciuto il mio amico romano è successa veramente: ho riso davvero, quel giorno, mentre mi chiedeva da accendere con quella mimica tipicamente italiana e quel buffo accento che hanno gli italiani ed i romani in particolare, quando parlano l’Inglese. Confermo anche che egli rimase male della mia risata e dei miei commenti ad alta voce sul suo accento italofono, ma   io lo rincuorai subito, offrendogli la mia sincera amicizia e lui, di rimando, fu altrettanto sincero nell’offrirmi la sua.  Anche altre scene sono veritiere. Ma lo spunto della storia me l’ha fornita un sogno: ho descritto la scena nel romanzo nella maniera nitida in cui la ricordavo una volta svegliatomi e come, d’altronde, la ricordo ancora adesso, comprese le parole e gli atteggiamenti dei personaggi onirici. Ci trovavamo in un cantiere di Londra, non distanti dal nostro alloggio di Willesden Green,  il mio amico ed io, in uno dei nostri tanti pellegrinaggi di allora alla ricerca di un lavoro. Il cantiere era proprio come l’ho descritto nel racconto: con la recinzione in legno, le macchine ferme come mostri addormentati, la casetta in lamiera da cui apparve Mr Jocking che ci indirizzava all’Agenzia di Gehenna Geld, l’apparizione improvvisa di Big Joe e quella sua strana frase che tanto mi colpì nel sogno da restarmi impressa per molti giorni, sino alla sua trascrizione letterale, sonora e imprecisa, irreale e accattivante: “The hanger winning goes”. Chiunque abbia una conoscenza anche solo elementare della lingua inglese si sarebbe accorto che nessun anglofono, fosse pure un personaggio irlandese matto di un sogno, avrebbe potuto dire una cosa del genere. Magari avrebbe potuto dire, correttamente,  “ The hanger is going to win” oppure, in una forma dialettale “He goes to win”, ma io nel sogno, la udii pronunciare da Big Joe, proprio in quella forma, e l’effetto fu tanto dirompente che decisi di chiamare il personaggio principale della mia storia proprio “Winningoes”, per assonanza perfetta con quella strana, eppure efficace espressione.

Il resto del sogno si confonde con i ricordi, le idee e le invenzioni che ogni scrittore miscela nelle sue narrazioni, senza pensarci sopra. Io ricordo nitidamente che mentre scrivevo la storia, nei giorni immediatamente seguenti il sogno, la penna che tenevo in mano sembrava volare sui fogli bianchi, come se fosse stata dotata di una propria forza autonoma e sganciata dalla mia volontà. In certi momenti mi sembrava addirittura che la penna precedesse i miei stessi pensieri, così che la mia mente,  più che dettare al foglio, riceveva dalla penna i messaggi da registrare e da archiviare nella memoria. Non so dire se fui io quel ragazzo sardo di cui Mr Winningoes parla nel testamento. Non ebbi modo di chiederglielo, dato che egli, quando io lo lessi, era già morto. Certo le analogie con la mia storia a Londra  non  sono poche e mi farebbero pensare di sì! Ricordo, ad esempio, che effettivamente, ad un dato momento della mia vita avvenne in me come uno sdoppiamento di personalità che coincise, pressappoco, con il periodo in cui leggevo con passione il ciclo della iniziazione esoterica dell’antropologo e scrittore sudamericano Carlos Castaneda, la cui influenza, nel presente romanzo, dovrebbe essersi fatta sentire.

Non posso d’altro canto qui nascondere che l’anelito di riscatto dell’irlandese  Patrick Winningoes nei confronti degli invasori inglesi, nel periodo in cui scrivevo la sua storia, era il mio stesso desiderio di Sardo, di affermare la mia sardità nei confronti dell’Italia, con cui spesse volte l’Isola ha vissuto rapporti conflittuali.

  O più semplicemente anche la mia accentuata sardità di allora, fa parte del percorso personale di cui ho parlato prima.

Cosiccome la ricerca, ad un livello diverso (socio-antropologico, storico e politico), del potere matriarcale, da contrapporre al potere patriarcale che impazzava ed impazza sempre più,  nel mondo occidentale, con i risultati devastanti che sono all’ordine del giorno dei mass-media e sotto gli occhi di tutti, faceva parte (e forse fa ancora parte) di quel mondo ideale che ogni uomo vero non smette mai di sognare e, più concretamente, di quel cambiamento, anche graduale, cui  ciascun uomo di buona volontà anela e che si intreccia, anch’essa, con il mio essere sardo e con la ricerca delle origini preistoriche delle antiche religioni e culture sardo-mediterranee.

Ho scritto l’originaria stesura di questo romanzo nei primi anni ottanta. Chiedo scusa ai lettori se le descrizioni degli apparati informatici e dei marchingegni elettronici appariranno alquanto obsolete, ma ho preferito lasciare inalterato tutto l’impianto narrativo, particolari tecnologici e scientifici (o fantascientifici) compresi.

A distanza di oltre vent’anni ho deciso di pubblicare questa storia che ha dormito abbastanza, nel buio dei miei archivi cartacei prima, ed elettronici poi. Spero che il lettore l’abbia trovata  almeno piacevole, se non proprio interessante.

FINE


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