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Due opere, un percorso – Fabrizio Centofanti tra Calvino e la vita

Creato il 10 luglio 2011 da Fabry2010

Recensione di Giovanni Agnoloni

Due opere, un percorso – Fabrizio Centofanti tra Calvino e la vita
  
Due opere, un percorso – Fabrizio Centofanti tra Calvino e la vita

Di solito le recensioni si fanno di un libro. Questa, se è una recensione, lo è di due. Ma forse non lo è nemmeno. È la fotografia di un percorso. Umano, artistico e spirituale.
Fabrizio Centofanti è uscito con un saggio su Italo Calvino (Italo Calvino. Una trascendenza mancata, ed. Clinamen, 2011 – prefazione di Giuseppe Panella e postfazione di Antonio Sparzani) e con una raccolta di pensieri, Non superare le dosi consigliate (Effata’ Editrice, 2011). Opere che sono un po’ la summa del suo itinerarium mentis (e direi anche cordis).

Italo Calvino. Una trascendenza mancata, saggio scritto in realtà diciotto anni fa, è un percorso nelle pieghe nascoste delle opere e dello stile dell’autore di riferimento di Centofanti: un maestro di razionalismo e scientificità di pensiero, che però in controluce lascia trasparire tutta una rete di rimandi alla sfera intuitiva dell’essere umano, a quella parte della natura dell’individuo che la spiritualità offre la chiave per comprendere, ma che lui guardava con occhi “matematici”, come un al di là comunque avvicinabile solo in termini di limite, di “punto di tensione”. Eppure, Centofanti, che è sacerdote, non rinuncia a una prospettiva critica che si pone, se non altro in termini di “possibilità”, come alternativa rispetto al terreno solido sul quale, per quel che ci è dato di sapere, Calvino si mosse fino alla morte; e scava nel reticolo di tensioni e visioni che sostanziano il percorso del grande autore italiano, con l’occhio e l’anima vigili, per cogliere segnali. Realizza così un’opera critica che, pur mantenendo il rigore di un’analisi obiettiva, non esclude un oltre possibile.
E dello stesso oltre vive Non superare le dosi consigliate, raccolta di riflessioni (magistralmente prefata sempre da Giuseppe Panella) che sono la quintessenza della visione del mondo di un autore “problematico”, nel senso più nobile del termine. Ritengo che Centofanti incarni perfettamente – e quest’opera lo dimostra – la figura di sacerdote a cui Arturo Pérez Reverte faceva riferimento in La pelle del tamburo: quello che, appunto, vive sul confine teso tra il qui e il , assorbendo gli urti di entrambe le dimensioni. Ecco la fonte di queste considerazioni, in gran parte ispirate da quadri di Caravaggio – nel libro compaiono le illustrazioni in bianco e nero –, dove lo scrittore realizza qualcosa di simile a quello che Pascal fece nei suoi Pensieri, unendo l’esigenza di sfogo ai dolori e alle frustrazioni del quotidiano alla certezza che questi, come le gioie inattese, sono un segno presente e vivo della presenza dello spirito nella materia. Qui si realizza la dimensione del sacrificium, cioè del “rendere sacro”, o del “consacrare”: la vita spesa per il compimento di un’autenticità che non è Ego – come l’autore stesso ha osservato, a Firenze, in occasione della recente presentazione del saggio su Calvino al Gabinetto Vieusseux –, ma Tu, nella misura in cui, nella realizzazione del suo potenziale più profondo (il ), si apre all’altro e lo accoglie. Frequenti sono i riferimenti a passi evangelici, riletti in chiave molto vicina a noi, a testimoniare la ricerca di una presenza di Cristo nel quotidiano.
Insomma, Centofanti fotografa l’attimo dello smarrimento suscitato dal numinoso, del perturbante, dello scandalo della ragione. Solleva il velo sotto il quale entra e si manifesta ciò che sostanzia i sogni e le visioni degli artisti, ma ancor più quel soffio dello spirito che è impastato con la vita e, compromettendosi, compromette.



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