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Due parole su Andrea Zanzotto e un (altro) rimpianto

Creato il 19 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da L.R. Carrino su ottobre 19, 2011

Se io fossi un uomo di coraggio sarei di certo riuscito a bussare alla porta di Alda, ai Navigli, invece di restare immobile sotto casa sua, con uno zaino e La Terra Santa dell’edizione Scheiwiller tra le mani, esattamente la prima, quella che usci dopo vent’anni di internamento.
Invece, dal 2001 al 2009, nelle mie trasferte milanesi (di lavoro), non ho fatto altro che guardare la sua porta per ore. E poi andare via, pieno della sua assenza (stanare un poeta?, e perché? solo vanità). Poi Alda se ne è andata, e io mi sono addormentato con 40 poesie nel letto e nel buio mi immaginavo la sua foto, nuda, di vecchia, vanità della sua poesia messa come copertina di un disco che cantava suoi versi.
Chissà perché. Quell’immagine, dico, proprio quella, ad accompagnare il mio piccolo saluto alla pazza della porta accanto.
Se fossi il verso di una poesia, se potessi diventarlo, se ci riuscissi, mi metterei a scavare dentro ai vocabolari, nei miei sconosciuti istituti retorici, per trovare un pezzo di significato, un consumismo negato, un’umiltà paradossale, una schizofrenia di bellezza da regalare alla memoria di Andrea Zanzotto sotto le spoglie di un fiore di 90 colori, il fiore dei suoi anni tutti e che noi abbiamo annusato, il suo usmare di vita che ci ha insegnato.
Ma io non sono altro che un fortunato lettore e posso solo piangere la morte di un poeta che, infine, di mai morte muore.

Quanti poeti nascono in un secolo? Forse tre, magari cinque. Quando è morto Ungaretti io non c’ero. Quando è morto Pasolini io c’ero ma nemmeno sapevo cos’era la poesia. Per questo non ho pianto, non ho sofferto, non me ne è fregato niente.

Quando muore un poeta e tu sei ancora vivo, quando anche lui è vivo e sai che certamente scriverà ancora, tu pensi che potrai avere quello che ti ha dato in ogni curvatura del tempo, mischiando passato e futuro nella linea seriale del suo giorno-dopo-giorno.
E ti dici: “però… però… se scrive ancora, darà di più di tanto e quanto, più di quello”.
E ti dici: “ma sì, anche cosi è già assai, però magari se ne esce con una cosa nuova”.
E poi, un giorno di ottobre, ti devi per forza dire: “vabbè Andrea, grazie per ogni” e devi capirlo, devi accettarlo pure, che ti senti un pochino più piccolo.

Eh…


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