Una Plymouth Valiant esce dal garage e si avvia fuori città. In sottofondo, la radio comunica le previsioni del tempo e le ultime notizie. È un commesso viaggiatore, si deve recare a un appuntamento di lavoro, ma il tragitto da compiere per le strade assolate del deserto americano si sta per trasformare in un delirio.
Sono dell’idea che Spielberg abbia detto quasi tutto ciò che doveva dire in Duel e Lo squalo: il resto si tratta di ridondanza, sia pure con qualche vistosa eccezione. Il lungo duello che il protagonista ingaggia con una misteriosa autocisterna e il suo invisibile conducente (di cui conosciamo soltanto gli stivali e un braccio che sporge dal finestrino) ci incalza per tutto il film senza un attimo di tregua. Appostamenti stile western, inseguimenti al cardiopalma, tentativi di speronamento, si susseguono senza tempi morti sino allo schianto conclusivo. Incute angoscia la visione mostruosa di quel gigantesco veicolo nero, dal muso antropomorfo, rapidissimo nonostante la stazza, che incombe continuamente negli specchietti retrovisori. La minaccia tenebrosa che esercita dà corpo alle ossessioni più recondite, materializza i nostri demoni meridiani.
Mario Sesti (In quel film c’è un segreto, Feltrinelli) propone un’ulteriore chiave di lettura: “Ecco cosa c’era dietro la paura pazzesca evocata dai film di Spielberg, dietro i suoi camion folli di odio di un diesel inferocito…: c’era la memoria dell’Olocausto, la tragedia del Novecento che si agitava negli abissi del regista…, depositata nei suoi occhi e nelle sue orecchie sin da bambino dai racconti delle generazioni precedenti di parenti ebrei sfuggiti ai lager…” Un’interpretazione geniale, per certi versi sconvolgente, che getta una luce inedita sulla filmografia del re del cinema commeerciale. Ancora Mario Sesti: “Bastava cambiare una vocale, da Jaws (il titolo originale dello Squalo significa “mandibole”) in Jews (“ebrei”), per scoprire il più banale dei procedimenti con i quali l’inconscio si protegge da ciò che lo ferisce troppo profondamente e troppo dolorosamente per poterlo nominare: attribuire al carnefice il nome della vittima. A volte i film servono a tutte e due le cose, a preservare un’emozione troppo forte e a tentare di non finirne vittima”.
Duel, di Steven Spielberg, con Dennis Weaver, Jacqueline Scott, Eddie Firestone (Usa, 1973, 78'). Mercoledì 29 febbraio, ore 23,35, Iris Tv.