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DUEMILANOVECENTO EURO: le case editrici a pagamento non sono case editrici.

Da Vanessa Valentinuzzi
Una casa editrice  mi scrive -dopo aver ricevuto il mio manoscrittto- che vorrebbe iniziare una scommessa editoriale sul mio romanzo.  Il libro è attuale, interessante, crudo ma pieno di emozioni. Così lo descrivono. Mi inviano un contratto in cui mi si chiede la  cifra di 2900 euro per 300 copie. Naturalmente sono rateizzabili, perchè in questo modo man mano che si ricaveranno i guadagni dalle vendite, andranno a coprire questo ennesimo mutuo editoriale. Rispondo che se davvero hanno letto il libro, la situazione di precariato mi impedisce anche di poter pensare ad una spesa del genere. In ogni caso, aggiungo che lo trovo moralmente inaccattabile. Anche se avessi quella somma  non appoggerei mai un' iniziativa con  puro scopro di lucro: una vera casa editrice non proporrebbe mai  un contratto da tipografia. Un codice ISBN costa 7 euro, far stampare le pagine dalla copisteria di fiducia è più o meno la stessa cosa.  La casa editrice  non si arrende, mi invia un'email successiva in cui, addirittura, dichiara di conoscere la pesantezza e il senso di fatuità dei precari. Rilancia, quindi, con un'offerta magnanima:  mi allungheranno le rate per coprire le spese.  Chiudono l'email con un trionfante: "scommettiamo inseme sul suo libro e qualcosa esce fuori". Ricapitolando, senza il men che minimo scrupolo, una casa editrice è disposta a strappare i soldi dalle mani e a chi non ha un reddito neanche di mille euro, a farlo indebitare, ben sapendo che i ricavi dell'opera di cui è autore andranno tutti alla casa editrice. Mi chiedo, ma Charles Dickens lo hanno mai letto? Io di certo sì. E intravedo Hard times. Lo sfruttamento dei più deboli è storia antica e attuale, ma ci si può ribellare denunciando questo scempio. La rivoluzione in questi casi parte dal blog e non ha costi!

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