Dopo Mater Morbi e Il sorriso dell’oscura signora, i primi due tomi che Bao ha dedicato a ristampe lussuose di alcune delle migliori avventure dell’Indagatore dell’Incubo, ecco arrivare Cronache dal pianeta dei morti.
Il volume di 192 pagine contiene la trilogia scritta da Alessandro Bilotta, vincitore dell’ultimo premio Anafi come miglior sceneggiatore dell’anno, ed interpretata graficamente da Carmine di Giandomenico, Daniela Vetro e Paolo Martinello, che cala Dylan Dog in una cupa ed angosciosa realtà futura, in cui gli zombie sono una realtà conclamata, per responsabilità imputabili proprio allo stesso Old Boy. E per una volta questo nomignolo, da sempre utilizzato dall’ispettore Bloch per rivolgersi al nostro protagonista, è quanto mai azzeccato: infatti il Dylan protagonista di queste tre storie non è il 35enne giovanile che da 28 anni siamo abituati a vedere, bensì un uomo di mezza età disperato e pieno di rimpianti per quello che avrebbe dovuto essere e non è stato. Un Dylan roso dai rimorsi per gli errori che ha commesso, in particolare per non aver interrotto l’epidemia zombie, quando avrebbe potuto, seppure ad un prezzo altissimo.
E questo protagonista è purtroppo proprio quello che da molti anni manca nelle avventure che in copertina portano il suo nome: Bilotta recupera, o meglio prova a recuperare, il Dylan più vero, il Dylan che combatte, che agisce, non mero bambolotto in balia di eventi che gli accadono, ma forte e fondamentale perno delle avventure da lui vissute. L’operazione, nonostante tutte le differenze che comporta la decisione di Bilotta di calare il suo Dylan in un’operazione revisionistica più totale, ha nei suoi obbiettivi certamente un ritorno al personaggio che solo il suo creatore e pochissimi altri hanno saputo raccontare: quell’indagatore dell’incubo emotivo ma nel contempo dedito anche all’azione che Tiziano Sclavi ha consegnato agli annali.
Certamente, come accennavamo poco fa, l’operazione revisionistica di Bilotta sacrifica sull’altare degli obblighi narrativi la freschezza del protagonista, curvato proprio dagli errori commessi per vigliaccheria, o forse per meglio dire a causa dell’amore; ma il Dylan di Bilotta è sicuramente degno erede di quello lasciato da Sclavi al suo abbandono della testata.
Dylan Dog era il diario sentimentale della disperazione di Sclavi
ha dichiarato il creatore di Valter Buio durante uno dei suoi incontri-presentazione del volume, quello tenutosi presso la Scuola Internazionale di Comix di Napoli, dove, intervistato da Alessandro di Nocera, lo sceneggiatore romano ha più volta sottolineato la volontà di tornare al Dylan “classico”, al personaggio ricco di dubbi e di paure che ha fatto innamorare di sé un’intera generazione di lettori, purtroppo smarritosi nel corso degli anni. Quindi ritornare a quel Dylan così umano, e rimettere al centro del contenitore popolare bonelliano, un fumetto “d’autore”, fatto col cuore e che riesca ad emozionare e stupire il lettore. Nel corso dello stesso incontro, Bilotta ha anche raccontato della nascita di queste avventure e di come decise di presentarle alla Bonelli:
Potevo presentarle solo come un progetto ipotetico, non avrebbe mai avuto spazio all’interno della saga principale. Fortunatamente è andata bene, e hanno accettato la prima avventura, a cui poi sono seguite le altre due, visto l’interesse che l’opera ha calamitato.
Bilotta non rifugge dall’inserire in queste storie alcune delle tematiche classiche del suo immaginario narrativo: l’abbandono, la solitudine, l’incapacità di vivere il presente e la mancanza di mezzi di ancoraggio ad una realtà sempre più difficile da analizzare. Dylan praticamente interpreta, nelle varie parti del volume, tutti questi sentimenti e queste parti; è abbandonato a se stesso, deluso dal mondo che lo circonda e dall’implicita condanna a cui lo sottopone, anche se in misura minore a quanto non si condanni egli stesso; è incapace di capire il proprio tempo e ciò che lo circonda, soprattutto nella prima (ultima) avventura, prima che l’epidemia spazzi tutto via; ritorna addirittura a bere, vero e proprio tabù.
E man mano che si avanza nella lettura, ovvero che si torna indietro nella storia, il tutto si fa sempre più cupo e disperato, angosciante, in una sorta di “ritorno” al reale, espediente classico di un certo revisionismo fumettistico che, dall’altra parte dell’oceano ha fatto la fortuna di Miller, Moore, Morrison, e che trova forse la sua forza più dirompente proprio nell’ultima avventura del volume. Da qui, infatti scaturiscono tutti i guai che il mondo dovrà affrontare, e che Dylan si accolla, forse meritatamente, in un gioco di lontananza e vicinanza narrativa di quel mondo al nostro.
Il volume non chiude comunque l’esperienza di Bilotta con l’Old Boy: è già ufficiale la notizia, e l’autore stesso l’ha confermata durante l’incontro di cui si parlava poco fa, che il nuovo corso degli Speciali Dylan Dog sarà dedicato proprio alle avventure che parlano della terra popolata dagli Zombie immaginata dallo scrittore. E di parti da analizzare, interessanti aspetti tenuti sullo sfondo a causa della mancanza di reale spazio, ce ne sono: gli Immemori ad esempio, ai quali sembrava aver aderito Bloch, anche se permangono nel lettore dubbi se quest’ultimo sia sopravvissuto o meno all’ultimo, distruttivo attacco Zombie. Ma questa è una domanda che si deve riproporre per quasi tutti i protagonisti della serie.
Per quanto riguarda la parte grafica, si alternano tre straordinari e talentuosi disegnatori italiani: in ordine cronologico Carmine di Giadomenico, Daniela Vetro e Paolo Martinello. Vale la pena sottolineare l’importanza di Di Giandomenico e Martinello per la carriera di Bilotta. Di Giandomenico è stato la prima “spalla” grafica di Bilotta, a partire da Giulio Maraviglia e terminando con La Dottrina, opera della quale era stata annunciata la ripubblicazione in edizione absolute dalla Magic Press; ristampa alla fine mai partita, e pare essere proprio questo uno dei motivi del loro progressivo allontanamento. Paolo Martinello è stato invece l’autore delle copertine di Valter Buio, la miniserie Star Comics che ha lanciato Bilotta nell’olimpo degli autori preferiti dalla critica. Ed entrambi, hanno compiuto insieme alla Vetro, un ottimo lavoro, nonostante fossero esordienti totali, sia per quel che riguarda il personaggio che per la casa editrice meneghina.
Di Giandomenico conferma il suo tratto nervoso ma godibile, perfetto per quel mercato americano che ce l’ha “rubato” ormai molti anni or sono. La Vetro, a cui è toccato disegnare la storia più lunga delle tre, e l’unica senza l’ausilio del colore, riesce a trovare una buona sintesi tra le sue esperienze in Disney e il realismo in cui viene immediatamente calata. Le sue immediate fonti d’ispirazioni paiono essere Ambrosini, per rimanere all’interno dello staff dell’Old Boy, ma si possono rintracciare somiglianze con Walter Venturi.
Quella che colpisce di più è però sicuramente la prova di Martinello, che nelle 32 pagine disegnate e colorate (già per l’edizione originale, visto che la sua storia è stata pubblicata all’interno del 10° Color Fest) strabilia i lettori, soprattutto per il sapiente utilizzo di toni di colore caldi e freddi contrapposti all’interno della stessa vignetta, scelta grafica che paga e che regala una delle più belle interpretazioni grafiche di Dylan e di Groucho degli ultimi anni.
Il volume Bao, che come al solito è approdato anche nelle librerie di varia, oltre che nelle fumetterie, è un bel cartonato molto solido, ma solo leggermente più grande di un bonellide, sicuramente da consigliare come regalo a chi voglia tornare ad immergersi nel vecchio Dylan, me ne voglia scoprire anche nuovi autori.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog – Cronache dal Pianeta dei Morti
Alessandro Bilotta e AA VV
Bao Publishing, Giugno 2014
192 pagine, cartonato, bianco e nero e colore – 16,00€
ISBN 9788865432372
Intervista ad Alessandro Bilotta su “Cronache dal pianeta dei morti”: Inserire Dylan Dog in un Pianeta di morti