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USA, colore, 99 minuti Regia: Don Coscarelli Sceneggiatura: Don Coscarelli
La storia inizia come tante belle favole: nel 2001 Jason Pargin, sotto lo pseudonimo di David Wong, pubblica online un romanzo a puntate, una cosa stramba e fuori di testa che intimorisce gli editori ma entusiasma i web-lettori, tanto che John dies at the End troverà un veloce sbocco editoriale giusto quattro anni più tardi. Nel 2010, dopo uno status ormai di culto, una nuova versione riveduta, corretta e allungata e un sequel allora dal titolo assurdo, John and Dave and the Temple of X’al’naa’thuthuthu (poi rinominato This Book is full of Spiders), che Wong tenta disperatamente di mettere gratis online senza successo, Don Coscarelli esce dall’ibernazione in cui era sprofondato per ben 5 anni (tanti ne sono passati da Incident on and off a Mountain Road, addirittura 8 se si retrocede al suo ultimo lavoro per il cinema, l’indimenticabile Bubba Ho-Tep) e ne acquista i diritti, ci lavora un paio d’anni ed eccolo spuntare nel corso del 2012 per vagabondare tra i festival.
Scatenato e irriverente, John dies at the End vale tutta questa attesa, il film di Coscarelli è infatti un mix piuttosto riuscito di qualsiasi cosa strisciante, splatterosa e tentacolare ci possa essere, un buon banchetto di mostri, ultracorpi, fantasmi, zombie, dimensioni parallele, divinità lovecraftiane e parecchia altra roba succulenta scardinata e sballottata da una narrazione frammentaria, contorta e totalmente non-lineare che dona un fascino tutto suo alla pellicola. Una scatola cinese piena di scatole cinesi, John dies at the End è un continuo cambio di marcia, è una storia apparentemente priva di direzione che aggiunge, accumula, conserva ed estrae al momento opportuno una tale mole di spunti che da soli basterebbero a sostenere tre o quattro film, e per quanto ci sia tanto, troppo materiale che sborda e non sempre è sotto controllo, la narrazione è talmente fresca e godibile nella sua ironia intelligente, esagerata ma studiata, strampalata ma efficace (parliamo di cose tipo una maniglia che si trasforma in un pene gigante, o di una creatura fatta di carne surgelata, o di un morto che comunica attraverso un hot dog), che si perdona il mancato bilanciamento complessivo di un comunque eccellente Coscarelli.
Da una parte si trovano infatti bislacche sottotrame lasciate a se stesse, dall’altra ci sono momenti talmente convulsi e attorcigliati da perdere il filo degli avvenimenti, ne esce quindi qualcosa di folle e a suo modo innovativo che pecca di un certo strafare o, forse, della voglia di inserire l’intero romanzo in appena 99 minuti di girato, causando saltuaria confusione e/o una leggera superficialità in momenti che potevano essere sviluppati meglio. Ma si parla pur sempre di un prodotto con una sceneggiatura spumeggiante, che gira vorticosamente attorno alla storia principale per poi colpirla con una splendida parte finale di grande classe, dove non si contano le invenzioni narrative e visive. Sì, se Coscarelli fosse riuscito a tenere le redini di tutto il materiale a disposizione poteva uscirne un capolavoro, ma John dies at the End è cinema frizzante e inventivo sotto qualunque aspetto lo si voglia analizzare, criticare o elogiare. E poi ci sono Paul Giamatti e Clancy Brown, cosa chiedere di più?
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